Nella solitudine, la Resistenza

di Marco Severo

Se una somma di solitudini non fa una comunità, un accordo di spiriti può al contrario nutrirsi di quelle solitudini per rinsaldare il senso dello stare insieme. Diverso dal vedersi online, in questa emergenza da Coronavirus, è il connettersi attraverso idee e azioni condivise. Così quest’anno, nell’imminenza del 25 aprile, 75esimo anniversario della Liberazione, al Centro studi movimenti di Parma abbiamo deciso di tendere fili di pensiero tra le nostre case e darci un compito comune, da svolgere ciascuno per proprio conto nel mezzo della quarantena. Ragionare sul significato della Resistenza. E poi registrare un video col telefono. Questo il compito. Regole per lo svolgimento: poche, quasi nessuna. Ammessi, e anzi caldeggiati, la soggettività e l’approccio multidisciplinare. Resistenza intesa come lotta partigiana collocabile storicamente oppure come?

Quest’esperimento di sintonie eterogenee si è pensato di chiamarlo “25 aprile… sempre”, come lo slogan del celebre manifesto realizzato da Bruno Munari negli anni Sessanta. Il video, contenente il distillato di un collettivo ruminare di cuori e menti, avrebbe dovuto limitarsi, ecco una regola, ai cinque minuti. Conclusione del compito: pubblicazione delle singole clip resistenziali sui canali del Centro studi (youtube, facebook e instagram), una al giorno dal 21 aprile al 5 maggio, alle ore 14,30.

E così, come amanti che nella distanza consumano lo stesso pasto e guardano lo stesso film, abbiamo trascorso gli ultimi giorni a pensare e a pensarci. Ci siamo messi a cercare una ridefinizione – non che quella tradizionale non andasse, ma insomma potevamo provarci – del significato del 25 aprile e della Resistenza. L’iniziativa ci è parsa la più attivante e la più distante dalle celebrazioni istituzionali (le quali pur non essendo nel codice genetico del Centro studi, quest’anno mancheranno molto anche al Centro studi: un 25 aprile azzittito, miniaturizzato e messo in quarantena non ci pare proprio concepibile).

I partigiani e le partigiane sono venuti così a interrogare il nostro presente, a domandarci cosa ne è stato di quei venti mesi di fremito e fango marchiati con le date 1943-1945: davvero la Resistenza è “la narrativa fondante delle istituzioni e della storia recente di questo Paese”, come si domanda uno dei video realizzati dal Centro studi? Il 25 aprile, data lacerante, ancora urticante per quanti ad ogni giro tornano alla carica con grotteschi tentativi di strumentalizzazione, ci è parsa una ricorrenza alla quale stringersi forte attorno. La solitudine e il silenzio prodotti dal virus, adesso che l’urgenza della cronaca ha rallentato il battito, hanno cullato il pensiero della Resistenza fino al raggiungimento di un’intimità e una delicatezza forse nuove nella riflessione, almeno per il Centro studi movimenti.

Nella dozzina di contributi per “25 aprile…sempre” hanno prestato gli attrezzi del mestiere non solamente la storiografia, ma anche la filosofia, l’antropologia, la politologia, insomma i saperi che il Centro studi movimenti sente suoi e che da sempre prova a maneggiare con un’impugnatura non scolastica, ottimale nell’infondere un effetto critico nell’analisi del passato e del presente.

Nella ricerca di un angolo di casa presentabile, nella scelta di uno sfondo simbolico per il video, all’aperto col sole in faccia ovvero al chiuso con il maglione della quarantena, con i libri, senza libri, una kefiah, un vaso, la gatta, i giochi dei figli, la collezione di Harry Potter; nell’indossare una camicia o una t-shirt, nel mettere un filo di trucco e nel rifiutare di radersi;  nel parlare a braccio o mandare a memoria si intuisce quel misto fra cura e improvvisazione che significano affetto per ciò che si fa: per la Resistenza, per il 25 aprile, oggi, sempre.

Sono venuti fuori piccoli grani di un rosario laico, da snocciolare uno al giorno in questo aprile di festeggiamenti senza popolo. Ciascuno dei grani illumina una prospettiva dell’argomento, mette in pubblico una sensibilità personale e prova, nell’esercizio individuale, a fare comunità. Anche se l’esito assomiglia, o forse è un “prodotto social”, persino a rischio autoreferenzialità, “25 aprile… sempre” vorrebbe non appartenere alla famiglia ansiogena del “dobbiamo parlare non possiamo stare soli cavolo ci vediamo in videochiamata andrà tutto bene” della quale tutti, bene o male, abbiamo fatto parte in questi mesi. Preferirebbe rifiutare la parentela con il lessico social da lockdown, non è un webinar, non è una Dad (quelli fichi a un certo punto si sono messi a chiamare così la Didattica a distanza, nonostante già la formula estesa del nome fosse una bella prova di nonchalance), non è un aperitivo sulla Resistenza online.

Piuttosto le clip sono il prodotto di una riflessione che prova a starci, nel silenzio e nella solitudine. La resa momentanea di una normalità non sostenibile, imposta dal virus, è stata accettata. Forse segretamente apprezzata dagli autori dei video. L’esito è un’antologia di sguardi sulla Resistenza preziosa e rara, come certi frutti della terra nelle annate di magra. Il retrogusto, immediatamente avvertibile, instabile, porta dentro gli umori del tempo. Il 25 aprile 2020 sarà, è, fu così. Ognuno, guardando e ascoltando i video, potrà prendere ciò che preferisce. Perché il rischio di autoreferenzialità sia solamente un’improbabile controindicazione è necessario il riscontro del pubblico, non necessariamente nella forma di un forse sbrigativo “mi piace” quanto nella disponibilità a far sedimentare una parola, un’intuizione o un’impressione fra quelle messe in mostra sui fili tesi fra le nostre case.

Sta nella ricomposizione personale dei pezzi, disseminati nella sintonia dei diversi, la coralità di un 25 aprile senza cori.