Essere un rider

di Marco Severo

Ti vedi riflesso sulle vetrine e non sai più chi sei. Abbassi lo sguardo per schivare l’immagine che di te la gente ha imparato a conoscere. “C’è quello delle pizze!”. Sei quello, adesso. Uno dei tanti, una scia fosforescente nella sera, traiettoria inquieta specialmente in questi giorni, quando il Covid e il Natale, combinati, allungano la lista degli ordini e vi fanno filare per la città. I passanti vi riservano pensieri distratti, siete quelli che vanno di moda, di voi hanno parlato i giornali. Ecco, ti guardi sulle vetrine e poco alla volta familiarizzi con il nuovo te. Adesso sei uno di loro. Adesso sei un rider.

Pedalare sulla superficie scivolosa del mondo è una circostanza che non avevi messo nel conto. Il fatto è che un paio di sogni tirati fuori dal cassetto sono subito inariditi, bruciati dal cinismo di certi venditori di fumo: “Fai quello che ti piace, sei un privilegiato e vuoi anche un contratto?”. Col cuore in tempesta, allora, hai detto basta. Ti sei messo a rovistare sul fondo, i curriculum inviati con rabbia. Hai voluto punirti, infliggerti la pena che merita chi ancora crede nei sogni. Così adesso eccoti qua, la tua ombra mobile sull’asfalto lucido. Spingi sui pedali contro la pioggia, nascosto dietro uno scaldacollo che funge anche da mascherina anti-Covid. Le mani gelate, i guanti che sputano acqua a stringere forte il manubrio. Sulle spalle lo zaino sgargiante tiene al caldo i piccoli desideri a domicilio, desideri sempre altrui. Lavori con foga e cavalchi a pelo la vita.

Stasera nel retro della pizzeria i colleghi dai diversi colori, Glovo, Just Eat, Deliveroo eccetera erano una folla. In questo lavoro più siete e meno soldi mettete in tasca, aumenta la disponibilità dei ciclofattorini e scende la probabilità che l’algoritmo scelga te. Stesso discorso per l’attesa alle cucine. L’attesa è un nuovo ordine che va in fumo, la probabilità di portare a casa quei 50 euro netti a serata – almeno cinque consegne – che ti sei imposto come soglia della salvezza. Il tuo numero di ordine tardava a essere chiamato e hai perso la pazienza, il proprietario della pizzeria ti ha urlato di abbassare la cresta davanti a tutti. Ora speri che quello non riferisca l’episodio in ufficio, e che il tuo ranking reputazionale non ne patisca le conseguenze. Più cala il ranking reputazionale, la classifica personale insomma, meno probabilità hai di essere chiamato in futuro. Almeno così dicono i veterani di questo lavoro, e così denunciano i sindacalisti.

La verità è che in pochi ci capiscono, con voi riders. Se ne sono occupati i politici, i giudici del lavoro. In definitiva siete ancora quello che siete, manodopera a cottimo. Più lavorate e più guadagnate. Perciò adesso pedali forte, cerchi di recuperare tempo e punteggio.

Ce la metti tutta per essere disponibile, non rifiuti gli ordini, lavori con la nebbia e con la pioggia che regalano minimi incentivi sulla paga e, soprattutto, fanno il vuoto tra i colleghi. Solo i più svitati escono con questo tempo. Siano benedetti anche l’acqua e il freddo, se servono a ricevere più notifiche sul cellulare. Magari proprio benedetti no, ma insomma. Meglio che il silenzio della app sicuramente. Quando il cellulare non riceve ordini, anche solo per venti, trenta, quaranta minuti l’anima va in subbuglio: ecco è finita, non ti chiamano più, ti hanno messo in black list, ti hanno sloggato addirittura. Nell’attesa micidiale vai alla deriva, pedali sterzando a caso, ti siedi a riposare su una panchina fredda, solchi la superficie di una vita che in quei momenti è e non è.

Poi il cellulare vibra. Stavolta il ristorante è fuori mano, ma non ci pensi neanche a rifiutare. Accetti tutto. Una settimana fa hai messo il record, 425 chilomentri per 90 consegne. A fine mese vuoi raggranellare almeno 600, 800 euro. È vero che di recente il contratto nazionale firmato da Assodelivery (la sigla che riunisce le piattaforme di consegna a domicilio) e la Ugl (il sindacato di destra), ha assicurato ai riders una retribuzione di 10 euro all’ora. Ma un’ora da riders vale solo 10 euro? L’accordo non è piaciuto a nessuno, criticato dai sindacati confederali e dal governo che parlano, stringi stringi, di ratifica del principio del cottimo.

Quindi meglio stare pancia a terra e continuare a evadere ordini. Più pedali più consegni più consegni più guadagni. Avanti e indietro dai ristoranti ai citofoni. È come svuotare il mare con un secchiello, ma ormai sei nell’ingranaggio e l’ingranaggio è una specie di trance mentale. Il cottimo ce l’hai dentro. Il ritmo del suo battito regola la tua andatura. Lo senti crescere con la fretta e con l’ardire. Se sbrighi presto questa consegna puoi prenderne un’altra e fare 60 euro, stasera. Allora ti alzi sulla sella, come i ciclisti al Gran premio della montagna. Affondi destro e sinistro sui pedali, la bicicletta ondeggia, lo scaldacollo ormai è fradicio. Il semaforo, là in fondo, è verde da un po’ e ti chiama alla sfida. Soffi forte, dai l’ultimo strappo con le gambe, abbassi lo sguardo e lo rialzi. Ad un tratto i colori si mischiano in un vortice, l’arancione-rosso del semaforo con il bianco della linea di mezzeria, con i fari e il lunotto posteriori di un’auto sbucata da dove, poi. La bici schizza via sotto il sedere, vedi l’asfalto avvicinarsi a un velocità spaventosa. L’ultima cosa che ricordi è la tua immagine di rider, a terra, riflessa su una vetrina.