Arrestato il presidente di Svoltare Onlus. Pap: “I bisogni delle persone non possono essere business”

da Potere al Popolo Parma

È notizia di oggi che il rappresentante legale di Svoltare Onlus sia agli arresti domiciliari con l’accusa di diversi illeciti compiuti tra gli altri nell’attività dell’accoglienza ai migranti. Al di là, delle accuse specifiche, che sarebbero gravissime se venissero confermate, riteniamo interessante la notizia come cartina di tornasole per le condizioni del welfare nella nostra città.

Lo scandalo e l’indignazione morale per chi si arricchisce alle spalle di persone bisognose spesso impediscono di vedere il problema sociale, che è all’origine di tutto questo: se i bisogni delle persone diventano oggetto di business, inchieste come questa saranno sempre più frequenti, diventando il naturale paesaggio di un sistema che ha scelto di trasformare i diritti sociali in beni da comprare sul mercato.

Assisteremo all’attacco sul tema “invasione” da parte della Lega, che farà finta di dimenticarsi quanto ha contribuito ad alimentare quel business emergenziale ogni volta che è stata al governo, emanando decreti urlati che generano sofferenza e corruzione. L’abitudine a questa ipocrisia non ha ancora superato l’orrore che crea chi costruisce capri espiatori e se ne avvantaggia non solo in termini elettorali. Ma l’ipocrisia non è una prerogativa esclusiva del “fascismo social” di Lega e Fratelli d’Italia. L’ipocrisia maggiore è quella di chi non ha problemi a considerare il business delle disgrazie come un’opportunità di fare impresa sociale. La distruzione del welfare pubblico, in atto da oltre trent’anni è la grande opportunità di lavoro per tante cooperative che non sono più sociali da tempo e nemmeno cooperative. Basta guardare le pessime condizioni di lavoro degli operatori e i loro stipendi scarsi: diretta conseguenza di tutto questo sono servizi a dir poco scadenti. Certo, ci sono alcune realtà cooperative piccole che resistono eroicamente, ma per quanto riusciranno a resistere in un contesto che le vuole aziende competitive e non erogatori di servizi pubblici?

L’ipocrisia che il sociale possa essere un business ma debba restare pulito, che la cooperazione sociale e le associazioni siano i “buoni” della nostra storia, è il contraltare politically correct della propaganda salviniana. E contribuisce a nascondere quello che per noi è il vero problema: le necessità del welfare non possono essere oggetto di business plan, relegate a progetti e progettini spesso e volentieri improntati all’emergenzialità, fuori da programmazioni e strategie a lungo termine. In ambito di welfare, i finanziamenti di privati e fondazioni bancarie stanno inesorabilmente sostituendo il pubblico, sempre più sullo sfondo e meno competente, sempre meno in grado di fornire risposte. Il risultato è che la qualità dei progetti sono spesso parole su un foglio di carta, più marketing e comunicazione per distrarre dalla sempre maggiore inefficacia e sporadicità degli interventi sociali. Mentre va in onda questo show del sociale, dall’altra parte, nel silenzio mediatico più assoluto, a pagare il prezzo più alto sono gli operatori sociali e le persone di cui si prendono cura. Queste ultime non sono più titolari di diritti, ma clienti nel mercato della necessità sociale.

E infatti, giova ricordarlo, la cooperativa in questione fu insignita del premio Sant’Ilario poco tempo fa, per i suoi meriti nell’offrire innovativi metodi di intervento nel sociale: tradotto, servizi pret-a-porter che tolgono le castagne dal fuoco all’amministrazione su un argomento scottante come quello dell’accoglienza ai migranti, offrendo soluzioni quantitativamente efficaci. La qualità non è misurabile dai “like”, non è vendibile numericamente e quindi bastano due parole in fondo alla brochure pubblicitaria delle meraviglie del welfare privato.

Tocchiamo un problema gigante, siamo consapevoli che problemi complessi difficilmente hanno risposte semplici, ma siamo di fronte ad una situazione sociale già di per sé grave, alle porte di una crisi economica e sociale a seguito della pandemia che si preannuncia devastante: pensiamo davvero che la carità dei privati e l’imprenditoria sociale saranno in grado di dare risposte efficaci? Evidentemente no. Tutti gli attori in gioco, a partire dalle persone titolari di quei diritti conquistati con lotte durissime fino ad arrivare a quelle cooperative sociali che ancora credono nella missione sociale prima che economica del loro agire, hanno la responsabilità di iniziare a pensare un futuro del welfare fuori dal mercato, perché la vita è un diritto non è un bene di lusso che dipende da quello che possiamo permetterci.