Appello dei popoli originari, afrodiscendenti, indigeni e organizzazioni popolari dell’America latina

a cura di Giselle Sartori

L’idea di tradurre l’Appello dei popoli originari, afrodiscendenti, indigeni e organizzazioni popolari dell’America Latina, pubblicato il 6 aprile del 2020 dalla Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (Conaie), nasce dalla condizione di lockdown di questi giorni, dalla necessità di condividere idee, dubbi, riflessioni e notizie da un capo all’altro del mondo.

Da qualche giorno mi trovo rinchiusa in un Airbnb, in Colombia, dove sono stata evacuata a causa del coronavirus, nell’attesa di riprendere la mia vita. Trascorro le giornate leggendo, cucinando, facendo esercizio e bevendo vino mentre ascolto quasi in loop la canzone Otro Mundo di Manu Chao: “¿Y ahora que vamos a hacer? ¿Y ahora qué?”. che ripeto nella mia mente come un mantra. Immagino che molti di voi si staranno chiedendo lo stesso: “E ora che facciamo?” per riempire le giornate, per distrarre i figli, per non perdere il lavoro, per risollevarci dalla crisi che stiamo vivendo e che in parte deve ancora arrivare.

Durante il tempo dilatato dall’isolamento, in molti si interrogano su come sarà la società del post-Covid. L’Ilo (International Labour Organization, cioè l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ndr) definisce l’attuale crisi come “la peggior crisi globale dopo la Seconda Guerra Mondiale”, che avrà effetti devastanti sull’economia “spingendo milioni di persone alla disoccupazione, sottoccupazione e povertà lavorativa”.

La verità è che l’emergenza ha rivelato l’incompatibilità del sistema capitalistico con la protezione dei diritti fondamentali di milioni di esseri umani. E, di fatto, il nostro modello economico sta portando alla rovina del pianeta. Se alziamo lo sguardo oltre i confini europei non occorre soffermarsi troppo a pensare sulle conseguenze irreparabili che il virus potrebbe avere in quelle aree del Sud del globale già troppo flagellate dalla guerra e dalla povertà estrema. Il Sars-CoV-2 è stato definito da molti il detonatore delle disuguaglianze economiche e sociali, che aumenta in maniera esponenziale la pericolosità del virus.

Alla crisi economica, si aggiunge il timore che molte persone di fronte alla paura del virus siano disposte a cedere la libertà in cambio della sicurezza. Coprifuoco, tracciabilità, forze armate, nazionalismo, isolazionismo. La tentazione di un ritorno all’autoritarismo da parte dei governi di tutto il mondo è un rischio quanto mai allarmante.

Osservandola da un’altra prospettiva, però, la crisi si configura come un’opportunità storica per avanzare come umanità in materia di protezione dei diritti: come garantire l’accesso universale alla salute, al cibo, al lavoro, alla casa? Come ridurre il divario sociale? In che modo assicurare il rispetto dei diritti delle donne, della comunità Lgbtq+ e delle minoranze etniche?

Questa traduzione vuole essere un tentativo di rispondere, da una prospettiva dei popoli originari, indigeni e discendenti afro dell’America Latina, all’insieme di queste domande. Uno sforzo per fecondare il tempo dell’attesa con idee nuove, saperi ancestrali, posizioni anticapitaliste e antimperialiste. Un modo per decolonizzare il pensiero e permetterci di decostruirci come individui e collettività insieme. ll seguente comunicato esprime lo sdegno e la denuncia per un sistema definito ormai in “decomposizione”, il quale minaccia la vita in ogni sua forma.

Tutta questa situazione deve cambiare radicalmente la coscienza delle masse. Allora, e solo allora, la domanda “cosa facciamo?” acquisirà un’accezione positiva. Nel futuro che ci aspetta dovremmo porci questo interrogativo con forza, partendo dal basso, per non farci soffocare ancora una volta dalle pressioni della classe dominante, “ma anche per proiettare una via d’uscita da questa crisi che non sia un ritorno alla selvaggia normalità capitalista”.

 

Appello dei popoli originari, afrodiscendenti, indigeni e organizzazioni popolari dell’America Latina

Traduzione di Giselle Sartori

La crisi che ha provocato globalmente il COVID-19 pone a un bivio noi popoli di Abya Yala – America Latina. Le organizzazioni popolari sono in prima linea nella resistenza di fronte alle peggiori espressioni di un sistema in decomposizione.

Stiamo attraversando una crisi integrale che minaccia la vita in tutte le sue forme. Il Covid-19 si è trasformato in pandemia nel momento di inasprimento della crisi capitalistica e dei reiterati intenti da parte del potere economico che la classe lavoratrice carichi sulle sue spalle il ricomponimento della tassa decrescente dei profitti imprenditoriali; che confluisce con l’indebolimento del sistema di salute, il deterioramento delle condizioni di vita e lo spoglio del pubblico come risultato della svolta neoliberale. L’asfissia alla quale ci sottomette il debito esterno, gli organismi internazionali e l’oppressione permanente dell’imperialismo contro la nostra sovranità danno forma ad uno scenario che anticipa gravi conseguenze.

In un’America dove non accettiamo gli adeguamenti strutturali e lo sbarco di nuove politiche imperialiste, e dove i nostri popoli hanno incarnato importanti insurrezioni popolari negli ultimi mesi, la pandemia si è convertita in una scusa per legittimare la presenza delle forze armate nei nostri territori e implementare misure di adeguamento e deterioramento delle condizioni di vita della classe lavoratrice.

Altresì, questa crisi ha evidenziato nuovamente la brutalità della violenza patriarcale sulle donne e dissidenze sessuali, così come l’esclusione storica dei popoli indigeni e afro-discendenti esposti ad affrontare la pandemia in condizioni di vulnerabilità estreme.

Come vuole la migliore tradizione della nostra gente, siamo le organizzazioni del popolo, operaie, contadine, delle popolazioni autoctone, femministe, discendenti afro, piqueteras, coloni, dei quartieri, quelli che stiamo mettendo il corpo, la testa e il cuore nello sviluppare risposte immediate, ma anche per proiettare una via d’uscita da questa crisi perché non sia un ritorno alla selvaggia normalità capitalista, ma un percorso verso una società diversa. Questo sarà possibile se prendiamo il meglio di noi come popolo, i legami comunitari e di unità popolare, territoriale e regionale, che alimentiamo durante questa battaglia, saranno parte del tessuto che costruirà gli orizzonti di trasformazione di Abya Yala (nella lingua del popolo Kuna significa “terra matura”, “terra viva” o “terra fiorente” ed è sinonimo di America, ndt).

Di fronte la mancanza di alloggio occupiamo territori e costruiamo case; di fronte alla mancanza di lavoro organizziamo cooperative, recuperiamo fabbriche e affrontiamo chiusure, licenziamenti e sospensioni; dinanzi agli attacchi padronali lottiamo per migliori condizioni di lavoro attraverso gli scioperi; di fronte alla mancanza di educazione generiamo scuole; davanti all’oppressione verso le donne e minoranze costruiamo femminismi popolari; dinanzi allo sfruttamento costruiamo organizzazioni sindacali di base e lottiamo contro la precarizzazione e per salari degni fino alle ultime conseguenze; contro la fame costruiamo mense e merenderos popolari; di fronte alla crisi climatica sviluppiamo l’agroecologia; davanti alla monocoltura e il

monopolio del cibo, costruiamo territori contadini agroalimentari per garantire la sovranità e autonomia alimentare; dinanzi alla militarizzazione, paramilitarismo e il narcotraffico portiamo avanti la sostituzione delle coltivazioni4 e lottiamo contro la violenza statale. La nostra alternativa è la vita contro chi ci propone la morte.

Dinanzi alla politica delle frontiere chiuse e della frammentazione, e di fronte alla xenofobia e il neofascismo che propongono dall’alto, riprendiamo l’orizzonte di solidarietà continentale e l’unità dei popoli. Dinanzi alle politiche dei e delle capitaliste, di usare la crisi come copertura per l’adeguamento, approfondiamo e ripensiamo le nostre lotte storiche per la difesa dei territori, la vita e la socializzazione della ricchezza, costruiamo il potere popolare e comunitario.

Per questo, esigiamo dai governi e chiamiamo i popoli a:

  1. Dare la priorità alla vita rispetto al debito. No al pagamento del debito estero, indagine esaustiva e cancellazione della stessa. È criminale che si risparmi sui fondi per la salute e i diritti, per pagare gli obblighi con il Fmi e altri creditori. I sistemi sanitari e la protezione sociale per affrontare la pandemia sono la priorità. Dobbiamo recuperare la nostra ricchezza strategica e la gestione delle banche e del commercio all’estero, una fonte permanente di sanguinamenti economici per i paesi latinoamericani. Soltanto una politica di sovranità economica, emergente dal potere popolare, può alleviare la crisi economica e globale che stiamo iniziando a sperimentare.
  2. Combattere le disuguaglianze. Tasse straordinarie ai ricchi, ai profitti delle banche, alle grandi imprese, a quelli che hanno fugato i capitali all’estero. Che i governi si assumano il ruolo di eliminare le disuguaglianze promosse dal mercato, che gli investimenti necessari nelle politiche di emergenze siano finanziate affrontando la concentrazione della ricchezza, non con tagli salariali ai lavoratori. Riorientare le linee di produzione delle grandi aziende per la produzione di forniture destinate a combattere il coronavirus, nonché le malattie che sopportiamo senza assistenza da parte dello Stato come malnutrizione, dengue, chagas e tubercolosi.
  3. Rafforzamento urgente dei sistemi di salute pubblici. Investimento urgente e prioritario nel sistema di salute pubblico, statalizzazione della salute privata e rafforzamento delle misure di contenimento pandemico da parte degli stati. La pandemia riafferma la necessità che tutti e tutte possano ricevere assistenza medica universale, consolidando la promozione pubblica di questi servizi. Che gli Stati prendano controllo della produzione e amministrazione di tutte le forniture necessarie per affrontare la crisi con la partecipazione e controllo dei e delle lavoratrici. Eliminazione del sistema dei brevetti sui medicinali per sviluppare pienamente la ricerca e applicazione scientifica per risolvere i problemi umani, e riconoscimento della medicina originale e ancestrale.
  4. Lavoro con tutti i diritti. Reddito universale garantito per tutti, divieto di licenziamenti e sospensioni. È essenziale riconoscere i diritti delle e dei lavoratori di vivere una quarantena dignitosa. Che questa emergenza non sia la scusa per continuare ad avanzare nella precarietà del lavoro. No alla chiusura delle aziende, sostegno statale alla loro occupazione e ripresa da parte dei lavoratori.
  5. Alloggio e habitat dignitoso come diritto sociale. La quarantena può essere eseguita solo sotto un tetto, con servizi di base garantiti e in un quartiere sano. È necessario sospendere gli sfratti, i canoni di affitto e i servizi; le politiche dell’habitat dovrebbero essere dirette verso una riforma urbana globale che garantisca l’accesso alle abitazioni in quartieri decenti per tutte le famiglie lavoratrici. Accesso universale all’acqua, elettricità e gas e urbanizzazione dei quartieri popolari: non c’è lotta contro la pandemia senza che tutti abbiano accesso all’acqua potabile, al gas e all’elettricità in casa, quartiere o comunità. Né case senza persone, né persone senza case. Confisca delle proprietà vuote da destinare ai senzatetto e alle persone nei rifugi popolari.
  6. Affrontare la fame e garantire l’alimentazione universale. Dare priorità al finanziamento e al ruolo dell’agricoltura familiare cooperativa, comunitaria e agroecologica nella fornitura di cibo per il popolo, le mense, le aree picnic e le cucine comunitarie: è necessario avanzare nella promozione dell’accesso al cibo, come mezzo per stimolare l’economia e non causare una crisi di approvvigionamento. Garantire un paniere basico con prezzi regolamentati ed esenti da tasse. Chiedere sanzioni per la speculazione sui prezzi dell’accaparramento di supermercati e intermediari. Condono dei debiti dei contadini e contadine, ridistribuzione della terra produttiva e implementazione dei sistemi di protezione e colonie agro-ecologiche con finanziamenti statali.
  7. Contro la mercificazione della natura. Dobbiamo recuperare la sovranità sui nostri beni comuni come acqua, gas, petrolio, terra, ricchezza strategica che è usurpata da polpi economici con la complicità dei governi e della borghesia locale. Pieno rispetto dei territori dei popoli e ripensamento del modello economico ed estrattivo. Lo sfruttamento delle risorse naturali deve rispettare la madre terra e le persone che la abitano.
  8. Rafforzamento della recinzione sanitaria e assistenza umanitaria con garanzia di sovranità dei territori alle popolazioni indigene, alle nazionalità indigene e afro. Soprattutto a tutti coloro il cui habitat si trova in ecosistemi vitali come l’Amazzonia, per i quali la minaccia epidemiologica può significare etnocidio. Rafforzamento dell’autogoverno e dei suoi sistemi per la sopravvivenza territoriale e culturale della vita delle popolazioni indigene e afro. Divieto di espulsioni e azioni che violano la sovranità delle popolazioni indigene.
  9. Politiche reali per affrontare la violenza machista. Con le misure di isolamento sociale, esiste la possibilità di aggravare la violenza domestica e altre forme di violenza contro le donne. Che per le donne, cis e trans, l’espansione delle piattaforme tecnologiche per garantirne l’uso quando la violenza contro le donne è un dato di fatto non è sufficiente per prevenirla e sradicarla. Budget per prevenire femminicidi e trans-femminicidi. Rifugi per le persone in situazioni di violenza, consegna di un sussidio economico speciale ai sopravvissuti. Piani di occupazione e istruzione rivolti alle donne e alle dissidenze.
  10. Una prevenzione maggiore, no alla repressione. Molti governi hanno utilizzato il contesto del coronavirus per intensificare la logica repressiva e di sorveglianza, così come per aumentare l’incarcerazione dei più poveri, dei leader comunitari, dei difensori e delle difensore dei diritti umani. È tempo di ridurre la popolazione carceraria come problema di salute pubblica. È inoltre necessario rivalutare le proprie autorità e le guardie comunitarie, indigene e popolari che si prendono cura dei territori ancestrali e sono un efficace organo comunitario per la protezione della vita nelle campagne e in città.
  11. No all’intervento politico, economico e militare imperialista. Respingiamo categoricamente l’uso della crisi come scusa per un’interferenza militare in Venezuela da parte dell’imperialismo yankee e dei suoi partner, l’assassinio permanente di leader indigeni e popolari in Colombia, la feroce repressione dei regimi di colpo di stato in Bolivia e Honduras, il Il governo anti-popolare di Piñera in Cile, nonché l’espansione di progetti estrattivi nei territori indigeni e contadini. Chiediamo che i blocchi economici contro Cuba e Venezuela vengano revocati.
  12. Aiuto Umanitario Internazionalista. Chiediamo ai governi di richiedere aiuti umanitari da Cuba e da altri paesi che hanno sviluppato competenze tecniche per affrontare la pandemia e che possono aiutare a contenere lo scoppio di Covid-19 nelle città in cui la pandemia si è diffusa più duramente, come Guayaquil e San Paolo.

Contro la ricchezza di pochi, per la lotta dei popoli! Per la vita, non per l’Fmi! Come combattono i popoli latinoamericani: Dicendo-facendo, dicendo-facendo, dicendo-facendo, dannazione! Solidarietà internazionalista, adesso!

Quito, 6 aprile del 2020

Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador CONAIE