Fianco a fianco per la Palestina!

di Mimmo Colaninno

È strano svegliarsi la domenica mattina senza voce, tua madre che ti dice: “Ancora con questa Palestina”. Eh sì, perché sabato più di mille persone hanno sfilato a Parma per ribadire che siamo al fianco del popolo palestinese.

İl corteo è stato deciso, colorato e soprattutto combattivo. La rabbia per un genocidio in corso, quello palestinese, non lascia spazio ad interpretazioni. “Palestina libera”, “Gaza libera” e “Falastin hurra, İsrail barra” sono slogan urlati a squarciagola da arabi di prima, seconda e terza generazione, dai giovani italiani, da facce che sempre meno vedi in piazza. Forse il 25 aprile, qualche volta. Speso disilluse dalla politica.

È quel pezzo di città che è sempre più difficile intercettare ma che sabato 4 novembre si è stretto in un abbraccio col popolo palestinese. Parma è anche questo quando sa, quando vuole, quando decide. Fianco a fianco con la famiglia dell’amica di asilo di tua figlia degli studenti dell’istituto professionale.

E mentre il corteo urla e sfila, pensi che in questo momento potresti essere a Nablus o ad Algeri, a Londra, a New York, comunque saresti stato al fianco dei palestinesi che soffrono. In mezzo alle migliaia di persone scese in piazza contro l’occupazione di Gaza. Spesso i media tacciono o minimizzano la solidarietà col popolo palestinese.

Quando dal microfono parla una ragazza araba o quando davanti ai (finti) feretri di bimbi martoriati portati in piazza e deposti sotto il monumento al Partigiano, vedi donne e bimbi che piangono ti rendi conto che sei dalla parte giusta della storia. Il corteo passa e si ferma innanzi al Partigiano riconoscendone la valenza, il simbolo di liberazione e di libertà. La storia che si trasmette, oltre i confini della storia, oltre le nazioni, tra generazioni. Questo è l’insegnamento di un popolo fiero, per cui ti viene spontaneo dire: “yalla Falastin yalla”.

Al corteo ho visto compagne e compagni che non vedevo da tempo. Simpatizzanti, antifascisti, democratici, persone che hanno detto: “Ora è troppo!”. Facce viste anni fa, magari contro la guerra in Iraq, per cercare di fermare con la semplice protesta i massacri in Afghanistan. Non si contano le guerre nel mondo per esportare la “democrazia” più o meno occidentale.

Si vedeva rabbia negli occhi neri avvolti dalla “kefih” delle ragazze appena diciottenni che sfilavano con le madri, coi parenti, con amici e compagni di classe. Una rabbia giusta, contenuta, una rabbia che accomuna generazioni di nordafricani che sono qui a lavorare nelle nostre fabbriche di prosciutti (e non mangiano nemmeno il maiale), nella logistica, nei trasporti. Piaccia o no, questa è la realtà. Li accomuna la questione palestinese, la sofferenza di un popolo martoriato da oltre mezzo secolo e relegato in un immenso carcere a cielo aperto.

C’erano tante persone, sabato. Ho visto anche medici, professionisti, professori, lavoratori dello spettacolo, artisti, operai, cooperatori. Non ho visto la politica in piazza. Non ho visto o sentito prese di posizioni da parte di quella sinistra istituzionale che sembra narcotizzata ma che in altri tempi si è schierata senza esitare.

Per esempio, era il 2014. Il Consiglio comunale di Parma vota all’unanimità una mozione (unico caso in Italia) in cui “condanna dell’offensiva sionista sulla Striscia di Gaza, evidenziando la barbara uccisione di massa di civili palestinesi”, così come riportato dal giornale cittadino “Parma-Today” il 24 luglio 2014. Mozione presentata dal consigliere Ettore Manno in quota ai Comunisti italiani. Dal 2014 sono passati anni ma i massacri continuano, a testimonianza e smentendo tutti quelli che considerano il conflitto iniziato da poco.

Quando la politica vuole sa trovare le parole, sa trovare la solidarietà e la vicinanza. Non è poco. Vero che poi servono le azioni concrete, quelle dei governi che facciano proprio l’art. 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

L’Onu è una di quelle limitazioni di sovranità necessaria: il 27 ottobre 2023 l’Assemblea Generale Onu ha adottato una risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza; l’Italia si è astenuta.