«Allo stadio funziona così»… ma anche no!

di Irene Grossi – Casa delle donne di Parma

Sono donna e vado allo stadio. Nel fine settimana vado al Tardini per tifare la squadra della nostra città, il Parma, come fanno tante altre persone. Ricordo la prima partita come fosse oggi, ricordo l’adrenalina e la voglia di cantare a squarciagola che ogni volta mi fa tornare a casa senza voce. Vado allo stadio perché il calcio mi piace e lo seguo da diverso tempo, anche grazie a mio fratello che mi ha trasmesso questa passione.

Per tanti anni ho pensato che lo stadio non fosse un posto adatto a me. Ora vado in Curva perché i novanta minuti del match sono anche un’occasione per incontrare persone, dai vecchi amici di scuola alla vicina di casa che ogni volta, prima della partita, mi dà un sacchetto di caramelle «perché portano fortuna». Per me vivere la Curva Nord è qualcosa che fa bene al cuore, perché il tifo fatto spalla contro spalla, il giallo ed il blu delle bandiere che si mescolano, il modo in cui le nostre voci si uniscono in coro mi trasmettono sensazioni ed emozioni positive. Essere una tifosa della Curva per me non è nient’altro che un enorme piacere, poiché mi permette di staccare dalla routine facendo qualcosa di diverso e che mi diverte, peccato però che a volte questo momento di divertimento sia disturbato da episodi di natura sessista.

Rimanendo con i piedi sui gradoni dello stadio Tardini di Parma, vorrei raccontarvi come io vivo, in quanto donna, la Curva Nord.

Potrei riportarvi una serie di frasi sessiste che mi sono state rivolte, oppure potrei raccontarvi di quella volta in cui sentii una mano sul fondoschiena. Quest’ultimo episodio mi è rimasto particolarmente impresso soprattutto perché, dopo aver fatto presente il problema al diretto interessato, la risposta è stata «tu sei pazza». Quel giorno sono tornata a casa molto amareggiata, ma oltre alla delusione per l’accaduto, la rabbia mi ha pervaso perché mi sono sentita violata e, come se non bastasse, la mia pronta reazione è stata giudicata esagerata.

Ricordo anche una conversazione avuta con alcuni tifosi e alcune tifose in merito ai cori contro la madre di un giocatore della squadra avversaria in occasione di Parma-Roma, cosa che succede dall’alba dei tempi all’interno degli stadi di calcio. Episodi come questo sono sempre trattati con tanta superficialità, la gente non dà peso alle parole che vengono urlate perché «allo stadio funziona così» e tante persone sostengono che «aspettiamo il week end per andare allo stadio e sfogarci dopo una settimana di lavoro». Capite che c’è un problema?

Possiamo dire che negli ultimi anni il dibattito sul gioco del calcio sia particolarmente acceso, dal momento che tante persone oggi considerano questo sport poco educativo per una serie di ragioni, dalle liti dei genitori che guardano le partite dei figli in tribuna agli episodi di razzismo, che non interessano solo la Serie A, ma anche le categorie inferiori, fino ad arrivare al settore giovanile.

In Curva Nord non sono presenti solo uomini e donne, ragazzi e ragazze; sono tante, infatti, le famiglie che assistono alle partite, per cui sono tanti i bimbi e le bimbe che seguono la loro squadra del cuore, e alla luce di questa riflessione mi domando come la Curva possa essere un luogo di sano e puro divertimento per persone adulte, così come per bambini e bambine. E’ possibile “diffidare” il sessismo?

Io credo che la risposta sia proprio su quei gradoni, su quei seggiolini gialli e blu, in mezzo a quelle grandi bandiere sventolate, perché è proprio nei luoghi in cui si verificano episodi sessisti e azioni indesiderate che bisogna intervenire e trovare il coraggio di proferire parola, nonostante magari il contesto non lo consenta a pieno. Per questo è necessario un cambio di mentalità, è fondamentale il rispetto di ogni tifoso come di ogni tifosa. Ed è proprio dalle parole che bisogna partire. 

Il linguaggio utilizzato sul campo e sugli spalti costituisce le radici di una società patriarcale e sessista, che implica diverse forme di violenza di genere, da quella verbale a quella fisica. Quando poi le parole si traducono in gesti e diventano vere e proprie molestie, ci rendiamo conto di quanto sia fragile il limite tra linguaggio e azioni. Questo non è più accettabile, perché non si tratta né di uno scherzo né di uno sfogo, ma di un atto che offende e limita la libertà femminile, che offende il corpo della donna, ritenuto un oggetto da poter toccare come e quando si vuole.

Sono proprio questi i motivi che mi spingono ad alzare la voce. Scrivo queste riflessioni in veste di tifosa sfegatata e ci tengo a condividerle perché sono affezionata alla Curva Nord, come lo sono tante persone, e desidero che continui ad essere un luogo di partecipazione e di divertimento aperto a tutti e tutte.

Per una volta, e per tutte quelle che seguiranno, lasciamo fuori dai tornelli il sessismo e il non rispetto, pensiamo alle parole che urliamo e ai gesti che facciamo perché in questo modo potremmo trarne beneficio tutti e tutte.