Reddito di base: c’è vita oltre la merce

di Federico Chicchi ed Emanuele Leonardi

I due autori del “Manifesto per il reddito di base” (Laterza) riassumono premesse, definizione e implicazioni di uno strumento possibile, su cui da tempo diversi studiosi dibattono ma che nell’immaginario comune in Italia è per gran parte confuso con il reddito di cittadinanza dell’attuale governo giallo-verde. Ecco incipit, tesi e conclusione di quella che non va intesa come politica di contrasto alla povertà, ma come uno strumento di lotta vera e propria.

 Incipit

Da un po’ di anni viviamo – probabilmente per la prima volta nella storia – in un sistema sociale che, se si dotasse di modalità eque di distribuzione e ragionevoli di programmazione, potrebbe facilmente provvedere ai propri bisogni, lavorando molto meno che in passato. Perché allora veniamo sempre più indotti a trasformare il tempo di vita in tempo di lavoro, nonostante quest’ultimo non garantisca più né integrazione sociale né riduzione delle diseguaglianze?

È sullo sfondo di questo paradosso che la proposta del reddito di base (da non confondere con quell’inganno che risponde al nome di reddito di cittadinanza!) acquisisce il suo senso e la sua praticabilità. A chi sostiene che si tratti di un’idea buona ma irrealizzabile, è sufficiente ribattere che nel 2008 il governo americano ha trovato senza troppi tentennamenti 700 miliardi di dollari per salvare le banche, che nel 2015 erano diventati quasi 5mila miliardi. Ben più di quanto richiesto da un reddito di base non solo universale, ma pure sostanzioso!

Tesi

Il reddito di base è un trasferimento monetario incondizionato, finanziato per via fiscale, erogato a tutte e tutti i residenti in una determinata comunità politica, spendibile sulla base delle preferenze dei destinatari, volto ad assicurare una somma di denaro sufficiente a condurre un’esistenza autonoma e degna. Ma questo non basta. Il reddito di base prende significati diversi a seconda del contesto in cui viene a trovarsi: non è desiderabile in sé, ma lo diventa solamente se inserito in un processo di demercificazione della società capitalistica.

Il reddito di base, in primis, non va confuso con una politica pubblica di contrasto alla povertà: è piuttosto uno strumento di lotta alle nuove forme di sfruttamento dell’operosità sociale, dove per operosità intendiamo tutte quelle pratiche cooperative e/o produttive che si svolgono senza essere necessariamente inquadrate e remunerate secondo un formale contratto di lavoro. Allo stesso tempo è un’arma affilata da impiegare nei conflitti sindacali a difesa della dignità di lavoratrici e lavoratori. In più, come già rivendicato dai movimenti femministi, il reddito di base promuove l’autodeterminazione soggettiva e la libertà di scelta. Ha inoltre, in un’epoca di esasperata frammentazione, una straordinaria capacità compositiva: fornisce infatti un terreno comune su cui far convergere la miriade di lotte anti-capitalistiche che esplodono ovunque, ogni giorno, a livello sia locale che globale.

La posta in gioco sono i rapporti di forza tra sfruttati e sfruttatori nella società contemporanea. L’obiettivo è favorire l’autonomia dei produttori, la loro capacità di incidere dal basso sulla composizione qualitativa della produzione, cioè sul come, cosa, quando, dove e per chi si produce. La nostra tesi si sviluppa in sette punti. […]

Conclusione. Ma quale pane e lavoro? Vogliamo ozio e champagne (molotov)!

Oggi l’integrazione sociale e la soddisfazione dei bisogni di base (pane) non hanno più necessità di passare esclusivamente dal salario-istituzione, cioè dall’accesso al reddito fornito dal lavoro. Questo terreno rimane importante, ma deve essere affiancato da uno spazio sociale e politico inedito, in cui la sperimentazione di forme alternative di operosità (ozio) permette di moltiplicare i modi in cui singoli e collettività fanno esperienza del benessere (champagne). Si tratta però di una possibilità: renderla effettuale richiede la ripresa di un conflitto sociale ampio e plurale (molotov) volto a invertire la tendenza all’allargarsi delle disuguaglianze. La parola conflitto serve a ribadire che il reddito di base non è un’opzione ‘ragionevole’ per tutti: questo è ciò che vorrebbero far credere quanti lo sostengono fra i fautori del modello turbo-capitalistico,

i quali, mentre con una mano concedono un accesso minimo a ozio e champagne, con l’altra derubano i più di pane e lavoro. In realtà il reddito di base come presentato in questo manifesto è ‘ragionevole’ solo per una parte: bisogna strapparlo collettivamente, non domandarlo sommessamente. Uno spettacolare processo di redistribuzione dalle élites finanziarie alle masse proletarizzate è la condizione necessaria perché il reddito di base possa sostenere la produzione della ricchezza sociale contro l’imperativo capitalistico del profitto a ogni costo.

 

Emanuele Leonardi interverrà all’incontro “Reddito di cittadinanza: sudditanza o liberazione?in programma mercoledi 10 aprile nella sala civica di via Argonne, 4 a Parma