University box, quando l’università diventa un supermercato

da Aula Tsunami

Quando stamattina siamo arrivati in Università, ci siamo ritrovati di fronte una specie di Luna Park. Musica, un tavolo da ping-pong, pop corn, stand, cartelloni pubblicitari e tante ragazze e ragazzi che promuovevano prodotti di vario tipo. Incuriositi ci siamo avvicinati e abbiamo scoperto che si stava svolgendo una delle tappe del University box tour.

Cos’è University box? Sul sito ufficiale troviamo questa descrizione: «University Box è la piattaforma, dedicata esclusivamente agli universitari, che mette a disposizione vantaggi, sconti, lavoro e possibilità di guadagno in modo semplice, veloce e dedicato. Dal 2005, lo University Box Tour è il roadshow più atteso dagli studenti universitari. 20 edizioni e 2 wave per anno: Spring break e Back to school. Il tour si svolge in alcune delle città più importanti d’Italia e ha raggiunto oltre 2 milioni di studenti. Una campagna di promozione a 360°che ha come obiettivi la partecipazione attiva del target, la promozione dei prodotti e delle attività degli sponsor e naturalmente… tanto divertimento!».

Come loro stessi ci dicono, l’university box tour è una forma di experiential marketing. «Come suggerisce il nome, l’experiential marketing è una tecnica che permette di ingaggiare in maniera diretta il vostro target, invitandolo a vivere delle esperienze positive e a conoscere un brand in prima persona. Quello che cambia è quindi la posizione e il punto di vista del cliente (acquisito o futuro) in quanto non è più confinato al ruolo di spettatore di una campagna come nel marketing tradizionale, ma ne diventa primo protagonista».

Nello specifico, il target di clienti a cui si rivolge l’University Box Tour sono proprio i Millennials, come loro stessi sottolineano. «Uno studio ha evidenziato come il 72% dei Millenials preferisca spendere i propri risparmi in “esperienze” piuttosto che nell’acquisto di beni materiali, sull’onda dell’esplosione di Instagram e sulla corsa alla condivisione dell’emozione di un qualcosa di straordinario vissuto sulla propria pelle. Questi dati devono far riflettere non solo le agenzie di marketing sulla necessità di adeguarsi alle esigenze di un mercato in rapida evoluzione, ma soprattutto devono far aprire gli occhi ai produttori di beni su un cambio di pensiero radicale: non più dare al cliente ciò che vuole (o, perlomeno, non solo), ma dare al cliente il ricordo che desidera».

Alcune studentesse e alcuni studenti hanno trovato un’opportunità di guadagno facile in questo evento, di certo la nostra critica non è rivolta a loro, essendo pure noi studenti-lavoratori e vivendo le stesse condizioni di precarietà: sappiamo bene di questi tempi quanto può essere prezioso un salario. La nostra critica, invece, è rivolta direttamente al rettore Paolo Andrei e al consiglio di amministrazione dell’università, che se da una parte prova a soffocare le esperienze di autogestione, dall’altra è all’opera per mutare l’Università in un grande supermercato per le aziende, dove non solo si scambiano prodotti di ricerca di alta qualità in cambio di qualche briciola di finanziamento, non solo si avviano stage, tirocini e workshop dove gli studenti sono usati come bassa manovalanza (spesso non pagati), ma siamo addirittura arrivati al punto di favorire il consumo delle merci all’interno degli spazi universitari, conditi per lo più di tutto quella parte di socialità (musica durante gli orari di lezione, ping pong ecc…) che il rettore ci contesta.

Qui emerge il movente politico che c’è dietro alla mossa di Andrei, non sono certo gli eventi sociali che lo disturbano, ma chi e in che modo le organizza queste attività. Per lui la socialità dev’essere bandita e repressa se promossa in modo gratuito e non mercificato da studenti autorganizzati, mentre va favorita se posta nei termini di Experiential Marketing promossa da multinazionali come Apple, Microsoft, Samunsung ecc…