La verità (scomoda) dietro al disastro ambientale

Pochi giorni fa il Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico -Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) – ha dato alle stampe un nuovo rapporto speciale. Nuovo solo nei dati, naturalmente: la soglia degli 1,5° potrebbe essere superata in soli 12 anni. Piuttosto ripetitivo, invece, rispetto alla sostanza. Come di consueto, ci si dice che il pianeta è messo male e che giorno dopo giorno si restringe lo spazio di manovra a disposizione dell’umanità per evitare il disastro. 

Ora, non c’è dubbio che si debba essere grati alla comunità scientifica che mette il proprio sapere a disposizione di cittadini, movimenti e istituzioni. Da lì bisogna partire. Però è importante anche essere chiari, perché non saranno i dati a cambiare le cose. Anzi, delegare alla scienza i compiti della politica è un’ottima strategia per rimanere impantanati nello stato di cose presente. Pensiamoci: cosa viene subito dopo il dato allarmante? Immancabilmente, la manfrina moralistica, sullo stile “Mangia meno carne”, “vola di meno!”, “compra l’auto elettrica”, ecc. Tutto vero, per carità. Ma anche tutto inserito in un contesto che più falso non si può. Questi messaggi si rivolgono ai singoli individui in quanto membri della specie homo sapiens. Ma il cambiamento climatico non è causato né dalle persone né dall’umanità in generale! Queste non sono altro che astrazioni che nascondono le responsabilità. Il riscaldamento globale, nei fatti, è l’esito di una strategia di accumulazione capitalistica perpetrata da élite iper-minoritarie, perlopiù distribuite nel Nord globale.

Le cause sono sfruttamento e neo-colonialismo, altro che tracotanza umana. Insomma, è la disuguaglianza sociale che fa alzare la temperatura. Ora, la disuguaglianza si combatte con la lotta di classe. Quindi, benissimo ridurre il consumo di carne e l’impronta ecologica, ma sarebbe molto meglio supportare le lotte per la giustizia climatica e ambientale che spuntano dovunque nel mondo. Per restare in Italia, pensate ai No Tav, ai No Triv, ai No Tap. Tre “no” al capitalismo del petrolio e del cemento, tre “sì” alla giustizia ambientale e alla democrazia ecologica. Tre “sì” alla sostenibilità di classe, solidale, per tutte e tutti.
Approfondiamo questi temi alla Libera Università del Sapere Critico nel ciclo “Giustizia ambientale e democrazia ecologica − Paradigmi alternativi, nuovi movimenti e conflitti per i diritti”, che inizia lunedi 15 ottobre.

Emanuele Leonardi