da Potere al popolo Parma
Da tempo a Parma non si vedeva un corteo come quello di ieri. Un migliaio di persone hanno scandito slogan ininterrottamente, per lanciare un grido di dolore che arrivasse alle orecchie intorpidite dei nostri governanti, della nostra società, che assiste in prima serata ad un massacro senza precedenti negli ultimi decenni, quello dell’esercito israeliano nella striscia di Gaza, arrivato alla triste conta di 10 mila vittime, senza risparmiare, scuole, ospedali, ambulanze, tendopoli. La chiamata della comunità palestinese di Parma a cui abbiamo aderito e contribuito con entusiasmo ha chiamato il concentramento in Piazzale Picelli, un richiamo all’antifascismo e alla resistenza che ha permeato tutto il corteo, terminato proprio sotto il monumento al Partigiano.
Un corteo così non si vedeva da tempo perché è raro vedere italiani e stranieri in gran numero insieme in corteo, perché è sempre più raro vedere ragazzi e ragazze così numerosi. Un pezzo di città spesso invisibile alla cronaca della stampa locale, che li considera soltanto negli articoli sulle baby gang o la criminalità, mentre fa finta di non sapere che molti marchi dell’industria locale, la tiritera sulla food valley e le “eccellenze alimentari” non potrebbero esistere senza il lavoro, spesso sfruttato, di queste persone. Un pezzo di città che ieri ha provato a richiamare l’attenzione facendo irruzione nel sonnacchioso salotto del centro di Parma. “Ci siamo anche noi!”
Una questione, quella palestinese, che coinvolge, anche emotivamente, molte persone, di origine araba, ma non solo: la lotta del popolo palestinese polarizza e divide non soltanto per l’efferatezza dello scontro in atto, per un popolo martoriato da oltre settant’anni, ma anche perché è una questione che tocca da vicino non soltanto il medio oriente, ma riguarda la nostra storia.
Lo stato di Israele rappresenta l’ultimo progetto coloniale europeo ed ha inquietanti punti di contatto con le più feroci esperienze coloniali come quella sudafricana, tanto che diverse organizzazione umanitarie parlano apertamente di apartheid per descrivere la situazione dei palestinesi nei territori occupati. Singolare che gli eredi politici dell’antisemitismo fascista in tutta Europa, che tanto ha contribuito a dare forza al movimento sionista, siano oggi i più fedeli sostenitori delle peggiori politiche del governo Netanhyau.
Una situazione resa ancora più odiosa dalla cortina di indifferenza che ha circondato questa situazione per oltre 15 anni, in cui la questione palestinese è scomparsa completamente dal nostro dibattito pubblico. Una frustrazione, un senso di marginalizzazione palpabile ieri in corteo: tanta rabbia, tanta voglia di partecipare, di gridare, di far sapere. Un momento importante che speriamo possa essere l’inizio della fine di quella separazione che viviamo anche qui e che rischia di diventare molto pericolosa se a prevalere saranno i pifferai della destra (ma anche di certa “sinistra”) che invocano lo scontro di civiltà, come ieri Salvini a Milano, che in un momento dal sapore lisergico ha definito i partecipanti al corteo per la Palestina gli ultimi fascisti…
Dopo questo silenzio complice durato decenni oggi l’informazione italiana si distingue per un servilismo stucchevole, tanto che i numeri delle partecipatissime manifestazioni a sostegno della Palestina in tutta Italia vengono sistematicamente dimezzati, i contenuti stigmatizzati, costruendo un muro di gomma vergognoso che purtroppo dobbiamo constatare anche sul piano locale. La mobilitazione serve anche a questo, a cercare di superare questo muro. Perché la causa palestinese è importante anche per noi che siamo qui, scendere in piazza per la Palestina significa costruire un futuro diverso anche per noi.
Per parte nostra possiamo dire con fierezza che la vicinanza alla causa palestinese non è una moda del momento, a gennaio di quest’anno abbiamo sollevato il problema della collaborazione di Iren con Mekorot, società statale israeliana di gestione idrica, che, come documentato da Amnesty International partecipa alle politiche di segregazione e discriminazione tramite la gestione di un bene primario come l’acqua. Essendo Iren partecipata dal comune di Parma crediamo sia necessario a maggior ragione in un momento come questo che questa collaborazione venga interrotta immediatamente.
Per questo crediamo che sia assolutamente importante proseguire la mobilitazione, per la Palestina e per tutti quelli che non si riconoscono in una “civiltà” che fa del razzismo e dello sfruttamento i suoi marchi distintivi.
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