Concorso straordinario bis

di Marco Severo

Nell’atrio ombroso di una scuola silente una donna reca un foglio tra le dita. Il pomeriggio di mezza estate declina con il batticuore dei candidati, fermi immobili e in attesa. La donna fa cenno di pazientare, sorride. In quell’istante una figura svelta sfila nel corridoio, spinge la porta d’uscita quindi si dilegua. Il riso delle cicale e la luce esterna ne ingoiano la figura e il frettoloso in bocca al lupo.

“I commissari preferiscono uscire prima che io affigga i voti” confida la donna, ancora sorridente.

Sono quasi le 18 d’un giorno di fine luglio. Al pian terreno di un grosso istituto scolastico – in una città che lasciare anonima è bello – si è appena concluso un turno d’esame dei candidati che aspirano a diventare insegnanti di ruolo nella scuola italiana, come da procedura indetta dal Dl 73/2021 art. 59 comma 9 bis: lo “straordinario bis”, il concorsone per docenti che già sono docenti (magari da dieci, quindici anni) ma ancora sono precari, assunti fin qui di settembre in settembre.

Tra un attimo gli aspiranti della tornata odierna avranno noto il destino professionale. Sul foglio che sta per essere affisso è scritto un numero: se superiore al 70, diciamo, sarà benevolo. Se inferiore, viceversa, arrivederci a settembre.

A quel numero è appesa tutta un’aspettativa, o addirittura una pretesa di riconoscimento quasi che l’esito del concorso non possa essere infausto dopo tutto. Il genio arbitro delle cose umane, ora addensato in un tratto di penna custodito dalla donna che avanza e sorride, non può che essere grato dopo gli anni passati a fare l’insegnante “on demand”, il supplente a richiesta, unica app davvero indispensabile nella scuola digitale.

Ad essere sinceri il prof on demand, classe di concorso A022, Italiano Storia e Geografia alle medie, ha svolto un colloquio dal registro indefinibile. Forse l’ottimismo infantile basato sull’idea di un fato antropomorfo pseudo-cattolico e manzoniano, che tutto vede e tutto ricompensa in proporzione alla sofferenza patita non ha motivo d’essere fino in fondo.

A ben riflettere, delle tre professoresse che compongono la commissione due hanno tenuto per l’intero esame un atteggiamento oppositivo (come il prof ha imparato che si dice, in realtà, per gli alunni poco malleabili). La presidentessa ha concesso al candidato una frase minima di benvenuto: “Attento al filo del condizionatore”. Per il resto, puro formalismo. Secchezza nei modi, secchezza nell’aria. Nella piccola stanza ci saranno stati dieci gradi meno che fuori, oltre a una penombra da ritiro postprandiale a casa dei nonni.

Il prof on demand ha optato comunque per la strategia dell’assecondamento quasi ruffiano. Qualsiasi cosa accada, compiacere la commissione. Sempre. Sono corse voci di colloqui finiti in polemica e proteste isteriche, che hanno condannato i candidati in modo persino imbarazzante. Quindi la consegna vincolante è “yes sir”, anzi “yes miss”, a tutti i costi.

L’unico effetto collaterale è che la scarsa attitudine a questo tipo di modulo relazionale produce un’evidente rigidità nel candidato che, di conseguenza, esagera e sorride anche se non serve.

“Prego si accomodi”.

Sorriso.

“Prego, prego”

L’effetto di recitazione ebete è accentuato dal plico che tiene in mano, una copia del giornale scolastico prodotto dai suoi alunni.  Vorrebbe che le commissarie chiedessero “cos’ha portato?” ma si capisce subito che non è aria. Oltretutto, in mattinata una candidata ha estratto la traccia d’esame “Didattica laboratoriale con il giornale scolastico”. L’ipotesi di giocare facile è andata, l’asso nella manica bruciato. La provvidenza di Manzoni perde colpi.

“Scelga una busta, estragga il contenuto e legga”.

Sulla cattedra le buste con le tracce d’esame fanno l’effetto delle pinze del dentista. Qualcuno le guarda per razionalizzare mentre altri, come testimonierà molto soddisfatto un candidato, si voltano con plastica rotazione del busto più distensione dell’arto superiore in esecuzione della raffinata tecnica del do’cojjo cojjo.

Il prof on demand appartiene alla prima scuola di pensiero. Punta una busta che galleggia sulla superficie del mucchio, apre e legge.

“Ad alta voce prego”.

“Componimento poe…”

“No, legga tutto. Da capo”.

“Il candidato imbastisca una unità didattica sull’argomento di seguito indicato. Componimento poetico ‘Meriggiare pallido e assorto” di Eugenio Montale. L’unità didattica sarà riferita alla classe terza di una scuola di periferia tenendo conto della presenza di due alunni Bes, di cui uno con certificazione Dsa”.

“Da questo momento ha…cinque minuti per pensare. Via!”.

La presidentessa pigia con scatto atletico sul cronometro del cellulare. Silenzio, a parte il soffio artico del condizionatore nulla si muove. La seconda commissaria ha assunto una lieve espressione di pena, l’angolo della bocca deflesso, gli occhi illanguiditi distolgono lo sguardo come davanti a un inquisito senza scampo.

Nella testa del candidato una deflagrazione di pensieri scompiglia l’ordine tattico, anche perché a “Meriggiare pallido e assorto” il prof non è arrivato col ripasso. È arrivato, in Letteratura, fino ai crepuscolari. Se avesse estratto una traccia di Storia, inoltre, si sarebbe sentito più agile, in Geografia qualcosa avrebbe improvvisato (povera la sorellastra Geografia!). Invece è uscito Montale. Montale per una terza media. Poco prima del suo turno l’aspirante aveva raccattato un’antologia buttata in uno scatolone e aveva integrato il ripasso “prêt-à-porter” con Svevo, Pirandello, Ungaretti, Quasimodo e Montale. Meglio di niente.

“È pronto?”

La traccia chiede di illustrare le figure di suono e la metrica di “Meriggiare”. Il testo però non è dato: si fa appello alla conoscenza mnemonica, solo che si fa appello invano giacché il candidato non legge la poesia dagli anni dell’università. Montale gli è sempre stato francamente sui coglioni. La sola cosa che l’esaminando ricorda è la pappardella delle “parvenze scialbe, morte, abbaglianti ma ingannevoli” protagoniste del testo. Ricorda un muretto citato nei primi versi.

“Non è un muretto. È un muro” ribatte la presidentessa che deve essere invece una montaliana della prima ora.

Così non si va lontano. Meglio sparigliare, fare teatro, uscire dall’angolo. Uscire proprio dalla stanzetta artica.

“Si potrebbe portare la classe fuori, leggere la poesia all’aperto, il quartiere qualcosa di scialbo-morto-abbagliante ce l’ha”.

Il condizionatore ha un sussulto.

Davanti alla scuola, in effetti, un cantiere enorme ha divorato l’orizzonte, le ruspe grufolano sul cratere di un nascente super megastore e nei dintorni residuano pezzi di strada e cordoli provvisori, semafori rotti, rotonde tutte da interpretare che buttano traffico su strisce d’asfalto assolate. Insegne al neon “Pizza e kebab” lampeggiano accanto a una lavagettoni, un’agenzia di pompe funebri chiusa per ferie è stata praticamente inglobata dal plateatico del bar “Da Totò” gestito da una giovane cinese che serve Estathè a due operai indiani o cingalesi. Poco oltre, un market di quartiere ha deciso di tenere chiuso in orario meridiano, ormai rassegnato al futuro predetto dalle ruspe.

“Sì, ma Montale parla di mare. Qui non c’è il mare”.

Sorriso.

“Quindi? Come ce la portiamo al mare, questa terza di periferia?”

(E come ce la portiamo? In treno ce la portiamo). “Magari con una flipped classroom, o con un gioco di ruolo, un’intervista a Montale interpretato da un alunno…”.

La commissaria, quella dall’aria sconsolata, scuote la testa, non tanto contrariata quanto mossa da autentica totale compassione.

“Suvvia, ‘Meriggiare’ è una poesia troppo difficile” taglia corto la presidentessa.

“Peer to peer allora”

“…”

“Cooperative learning?”

“…”

“Brainstorming?”

Mentre la commissaria dagli occhi tristi fa no col capo, sull’orlo del pianto, nella testa del candidato balena per un attimo il ricordo di certi suoi alunni presenti e passati. Risente la voce di Alessia che esclama “prof vado a pisciare” tra le acclamazioni cretine dei compagni, la voce di Isaac il giorno in cui disse “a noi della scuola non frega niente, prof”; rivede Rhama che si addormentava sul banco derisa dagli altri finché non si appurò che sua madre la lasciava sola di notte con i fratelli piccoli, Davide che scrisse “il pontefice convocò l’utero a Roma per scomunicarlo”, Federico nella pluriclasse di montagna che voleva fare il calciatore “così mi compro un bel trattore prof”.

A saperlo, il prof on demand se lo sarebbe ristudiato Montale. Padroneggiare la differenza fra muro e muretto avrebbe fornito competenze da spendere con Alessia, Isaac, Rhama, Davide, Federico.

“Passiamo a inglese ché è meglio, va” dispone la presidentessa.

A questo punto la terza commissaria, lingua inglese, vorrebbe risollevare il morale ma se ne esce con un buffetto consolatorio che è un colpo di grazia esemplare. Dovrebbe chiedere i metodi didattici, la pedagogia tutta in lingua estera livello B2 e invece domanda: “Where-are-you-frome?”. Con lo spelling, proprio.

In corridoio, più tardi, non restano che le solite scene da post-esame rancido e contorto. Un collega dalle ascelle forti maledice tutti quindi si consola con un “chi me ne futte: tante ci ho avute il ruolo a Benevente, io!”. Una candidata piuttosto matura, aria elegante ma sguardo ermetico, sedicente ex manager di una multinazionale convertita all’insegnamento, ascolta le perplessità sulla poesia da commentare a memoria, sembra condividere il disorientamento del collega, annuisce solidale finché non senza charme in effetti porta le stecche degli occhialetti alle labbra, volge con enfasi le pupille verso un punto lontano e, con regolare mano sul cuore, prende a recitare in versione integrale con effetti sonori e tutto quanto “Meriggiare pallido e assorto”. Un terzo figurante, infine, per ragioni che sfuggono alla comprensione dei più, senza preavviso alcuno si unisce alla conversazione già abbastanza criptica declamando l’intera genealogia dei Borbone-Napoli dal Seicento fino a oggi “ché i Borbone ancora ci stanne eh, ci hai presente ‘o re ‘e Spagne?”.

Poi finalmente arriva la donna con il foglio tra le dita. Segue qualche istante di silenzio, il batticuore, quindi la richiesta di pazientare e poi la fugace apparizione della commissaria che svicola verso l’uscita e le cicale e le ruspe e i dieci gradi in più della realtà là fuori.

“I commissari preferiscono uscire prima della pubblicazione dei voti”.

In internet i curricula della commissione d’esame elencano competenze affilatissime in materia di votazione e valutazione. La commissione è preparata, esperta, e sa che la valutazione è valida se è formativa, democratica e trasparente. Orientante. Capace di valorizzare le attitudini. Umana, inclusiva, modellata sulle forme delle possibili intelligenze gardneriane. Non è furtiva, né punitiva. È giusta, equa e in questa sua consapevolezza serena, appagante anche per l’insegnante, quasi gioiosa e bla bla e questo e quello e tric e trac.

La porta d’uscita alle spalle della commissaria ha prodotto un botto esagerato. Il colpo ha riecheggiato come una fucilata in questo enorme corridoio che senza i ragazzi sembra la carcassa di una balena attorniata da quelli con i secchi che provano penosamente a salvarla. Una parvenza scialba e ingannevole, appunto.

Forse Montale dovremmo rileggerlo davvero. Ma tutti e tutte.

Nell’attesa, tutto sommato, può bastare anche un Estathè al bar “da Totò” con affaccio sul becchino chiuso per ferie. Il prof on demand ciuccia e guarda le ruspe, omaggia la ragazza cinese del giornale fatto dai suoi alunni e quella pare apprezzare giacché s’inchina addirittura. Quindi l’aspirante “posto fisso” saluta e si avvia verso casa in santa pace, sebbene un poco pallido e assorto.