Guido Picelli e l’NKVD. Parte seconda

di Franco Ferrari

Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di Franco Ferrari che continua a scavare negli ultimi anni di vita di Guido Picelli. La prima parte, uscita il 5 gennaio scorso, la potete leggere a questo link [ndr].

 Spiato dall’NKVD?

A metà ottobre Picelli va a Parigi. Sul suo dissidio col Partito comunista e il suo avvicinamento ai Socialisti massimalisti e tramite questi al POUM, abbiamo già scritto in un precedente articolo[1]. Dobbiamo però riprendere un dettaglio che si trova nella testimonianza di Julian Gorkin, che del POUM era uno dei massimi dirigenti. Gorkin, le cui ricostruzioni sono purtroppo poco attendibili e inficiate dalla sua diretta e ben compensata partecipazione alla causa anticomunista, racconterà questa storia:

Il mio colloquio con Picelli a Parigi si era tenuto nel locale occupato dalla Delegazione del Governo della Generalitat, alla cui testa stava un ex collaboratore di Nin alla Consejeria de Justicia: Leon Dalty. Lo stalinismo era riuscito a introdurre la receptionist e una segretaria: i loro servizi di spionaggio, sia in Spagna sia all’estero pervadevano tutto. Non c’era dubbio: la NKVD era venuta a conoscenza del mio colloquio con il capitano italiano e lo aveva pedinato[2].

Julian Gorkin

Queste informazioni sarebbero il frutto di “una serie di accertamenti” fatti dallo stesso Gorkin. Il pedinamento da parte dell’NKVD serve a sostenere la ricostruzione dello stesso autore, secondo la quale Picelli sarebbe stato portato ad Albacete “con le peggiori minacce”, una tesi palesemente infondata. Anche se non si può escludere quanto riportato dall’ex dirigente del POUM, non ci sono altre fonti che lo confermino e gli possano dare credibilità. Lo stesso Gorkin, che pure pubblica questo testo a molte decine di anni dai fatti e potrebbe essere più esplicito sulle sue fonti, rimane sul vago.

Sui possibili contatti o interessi dell’NKVD nei confronti di Picelli quando si trovava in Spagna abbiamo solo le informazioni fornite da Bocchi in alcuni interventi giornalistici. Senza citare alcuna fonte, sostiene che Pavanin fosse “affiliato” all’NKVD[3]. Ma anche la descrizione del contesto generale esposta da Bocchi è basata più su leggende che non sul risultato della ricerca storiografica. Scrive Bocchi:

Non bisogna dimenticare che il generale Leiba Lazarevich Feldbin alias “Alexander Orlov”, colui che arruolò e addestrò Ramon Mercader, l’assassino di Leon Trotsky, ordinò in Spagna l’eliminazione di più di 500 tra poumisti e anarchici tra i quali Andreu Nin, il capo del POUM ex segretario di Trotski a Mosca[4].

La responsabilità dell’NKVD, non è quindi basata su fatti concreti, ma su una sorta di teorema generale dal quale si può dedurre qualunque cosa. Inoltre il teorema è basato su, quanto meno, una scarsa conoscenza di quanto già ampiamente accertato dalla storiografia più attendibile. Orlov non era “generale”, grado che non esisteva nell’NKVD del tempo[5]; ad arruolare e addestrare Ramon Mercader fu un altro agente dell’NKVD, Naum Isaakovich Eitington[6]. Quanto ai più di 500 poumisti e anarchici la cui eliminazione sarebbe stata “ordinata” da Orlov sono frutto di fantasia. Probabile che Bocchi faccia riferimento alle vittime dei fatti del maggio 1937 quando gli scontri fra una parte delle milizie anarchiche e i militanti del POUM da una parte e le forze di polizia della Generalitat, insieme a miliziani dei partiti che la sostenevano (Esquerra, Estat Català, PSUC e UGT) dall’altra causò effettivamente un consistente numero di vittime. Ma contrariamente a leggende spesso ripetute anche da altri, la ricerca ha da tempo definito con notevole precisione sia il numero dei morti che la loro affiliazione politica: caddero 122 anarchici, 36 componenti della forza pubblica (di cui due dello PSUC, il locale Partito comunista), 16 militanti di PSUC e UGT, 4 dei partiti catalanisti pro-Generalitat, 4 del POUM, 8 passanti e altri 28 non identificati[7]. In ogni caso in quella vicenda Orlov non ebbe alcun ruolo, mentre, come vedremo nel capitolo successivo, è stata accertata la sua responsabilità nell’assassinio di Nin e di altri militanti, soprattutto stranieri, collegati al POUM.

Modus operandi dell’NKVD

La branca estera dell’NKVD (l’INO, il Dipartimento dell’Intelligence Estera) era presente in Spagna e ad essa va ricondotta indubbiamente la responsabilità di alcuni crimini commessi in particolare contro esponenti di formazioni comuniste o marxiste dissidenti. Il caso più noto e clamoroso è quello di Andreu Nin, che guidava il POUM dopo che il principale leader, Joaquin Maurin, era rimasto imprigionato nella parte della Spagna controllata dai golpisti.

Andreu Nin

Sul rapimento e l’assassinio di Nin esistono ormai ricostruzioni largamente attendibili e dettagliate, basate sui documenti dell’NKVD emersi dopo la caduta dell’Unione Sovietica[8]. Si ritiene poi che il gruppo di agenti dell’NKVD di cui Orlov assunse la guida dal febbraio 1937 sia stato responsabile di un certo numero di assassinii, ma il suo ruolo e la sua importanza è stata largamente esagerata dagli autori critici o ostili alla Spagna repubblicana. Autori come Volodarski e Vinas indicano come non più di una ventina le liquidazioni di oppositori attuate dagli agenti sovietici nel corso della guerra civile spagnola[9]. Su alcuni nominativi delle vittime esistono delle supposizioni mentre in altri casi si sono ritrovati documenti negli archivi sovietici, quando ne è stato consentito l’accesso, che hanno permesso di individuarle con ragionevole certezza. Ai fini della nostra ricerca si può rilevare che queste azioni vengono messe in atto a partire dalla primavera del 1937 e sono per lo più concentrate dopo i fatti di maggio a Barcellona, quando accompagnano con azioni illegali la repressione legale nei confronti del POUM. Il rapimento e l’assassinio di Nin risale alla seconda metà di giugno del 1937.

Va anche rilevato che coloro che cadono sotto i colpi del ristretto gruppo di agenti dell’NKVD sono persone che svolgono un ruolo attivo di opposizione alla politica sovietica e del governo repubblicano. È il caso ad esempio di Kurt Landau, un trotskista austriaco entrato in dissenso con la costituenda Quarta Internazionale, a cui il POUM affida il compito di interagire con i volontari internazionali che confluiscono a Barcellona. Anche in un altro caso significativo, quello di Erwin Wolf, si trattava di un militante del movimento trotskista che aveva svolto la funzione di segretario di Trotsky.

Tutte le ricerche finora svolte sull’azione degli agenti della polizia sovietica in Spagna, compresa quella di due autori che hanno potuto consultare, nei primi anni ’90, tutto il materiale contenuto nei fascicoli relativi ad Orlov presso gli archivi dell’allora KGB, non hanno riscontrato alcun interesse per Picelli e in generale nemmeno verso gli altri italiani presenti in Spagna[10]. Mentre contatti più diretti ebbero con i comunisti tedeschi, i quali disponevano di un vero e proprio servizio di intelligence (secondo Orlov anche lo scrittore comunista tedesco Gustav Regler aveva contatti con l’NKVD, ma è un’informazione di cui non si ha conferma[11]). Lo stesso si può dire delle memorie, pur spesso infarcite di invenzioni, di quegli agenti sovietici che in momenti diversi hanno disertato dalle file dell’NKVD e che fanno riferimento alle vicende spagnole.

Si tratta evidentemente di una conclusione provvisoria ma sulla base di tutto quanto conosciamo oggi, e non è pochissimo, non risulta alcun interessamento dell’NKVD al comportamento di Guido Picelli in Spagna, tanto meno un coinvolgimento nella sua morte.

A questa considerazione possiamo aggiungere altri due fatti, utili a comprendere il contesto nel quale va inserita la vicenda di Picelli e illuminano su quanto e come si esercitava la repressione sovietica in quegli anni. La prima riguarda il caso di almeno due comunisti polacchi (Kazimierz Chichowski e Gusav Reichert) che finirono nel mirino dell’NKVD e che si trovavano in Spagna, nelle fila delle Brigate Internazionali. In quel caso, l’NKVD non mise in piedi un complicato complotto per eliminarli, ma ne chiese e ottenne il rientro in Unione Sovietica per “colloqui”[12]. Lo stesso Orlov disertò nel 1938 dopo essere stato convocato per un incontro fuori dalla Spagna, avendo il fondato sospetto che si trattasse di una trappola per riportarlo in Urss e lì sopprimerlo, come accadde a molti altri. Abbiamo anche il caso interessante di Gildo Belfiore. Militante comunista italiano si era avvicinato ai bordighisti. Nell’agosto del 1936 partì per la Spagna assieme ad un gruppo di militanti della Frazione di Sinistra e si inquadrò nella Colonna Internazionale Lenin del POUM. Rimasto ferito aderisce poi alle Brigate Internazionale e dal settembre del 1937 combatté nella Brigata Garibaldi (ex Battaglione). Dopo la guerra tornò in Italia e militò nel Partito comunista. L’aver combattuto nelle milizie del POUM non determinò nei suoi confronti alcuna persecuzione.

Non fu l’unico perché quando la 29.a divisione, nella quale erano confluiti i miliziani del POUM, venne sciolta, un certo numero di italiani si spostarono nel “Garibaldi”. In un documento del 5 ottobre 1937, Pavanin segnala: “deve essere giunto il compagno Traverso, responsabile di un gruppo di 50 compagni, codesto individuo è uno di quelli che vengono dal POUM – Occhi aperti e via.” Il ligure Mario Traverso, qui citato, caduto in Estremadura nel febbraio 1938, come segnala Marco Puppini, sarà poi promosso capitano[13]. Anche per chi ha combattuto per diversi mesi nelle file del POUM non si va oltre un richiamo ad una certa attenzione, nonostante il pesante clima politico che si è progressivamente inasprito nei confronti dei “trotskisti” o presunti tali.

Che cosa pensava Picelli dell’Unione Sovietica?

Gli elementi che abbiamo finora esaminato ci dicono che Picelli sicuramente fu al centro di polemiche e critiche nella fabbrica in cui lavorava e che dividevano la piccola comunità degli emigrati italiani. Fu oggetto di qualche tipo di indagine o verifica (come accadeva per tutti in quei mesi) da parte dell’NKVD ma non abbiamo elementi per dire che fosse oggetto di particolari sospetti o anche di specifiche attenzioni da parte dei servizi di polizia sovietici, soprattutto dal momento in cui lasciò l’Urss. Ebbe sicuramente delle difficoltà, visse il clima pesante di sospetto ma non si può dire che fosse vittima della repressione che si stava avviando a diventare sempre più indiscriminata. E per quanto riguarda il Partito italiano, la sua valutazione, in Unione Sovietica, fu certamente positiva. Naturalmente critiche e sospetti lo coinvolsero per il comportamento tenuto tra Parigi e Barcellona, quando entrò in conflitto con il Centro estero del Partito e si avvicinò prima ai socialisti massimalisti e poi al POUM. Un avvicinamento che però si concluse dopo pochissimi giorni di presenza a Barcellona. Con l’arrivo ad Albacete riprese il suo posto nelle fila delle Brigate Internazionale e del Partito Comunista Italiano.

Guido Picelli nel dicembre del 1936 a Madrid con Randolfo Pacciardi e due ufficiali del Battaglione Garibaldi.

Quali tracce queste vicende lasciarono su Picelli? Come giudicava l’Unione Sovietica? Per tentare di rispondere a queste domande abbiamo alcuni elementi su cui basarci.

Il primo rimanda alle sue stesse parole contenute nell’ultima lettera inviata dalla Spagna a Paolina Picelli che si trovava a Parigi e che verrà poi pubblicata da “l’Unità” clandestina, dopo la sua morte. Datata 11 dicembre 1936, la missiva contiene il seguente passaggio:

Sì, compagna, bisogna voler bene al nostro Partito e al paese dove abbiamo trascorsi quattro anni di vita, perché è il più grande paese del proletariato, il paese delle più grandi vittorie rivoluzionarie, che sono le vittorie del mondo intiero. Bisogna difenderlo. Sempre![14]

La foto segnaletica di Giorgio Braccialarghe nel Casellario politico centrale della polizia fascista (ACS, Roma).

Un’altra fonte significativa, anche se a volte lascia qualche dubbio sulla sua totale affidabilità, è quella di Giorgio Braccialarghe, che fu vicino a Picelli nelle settimane dell’addestramento ad Albacete e mantenne rapporti di amicizia fino alla notte precedente alla morte sulla collina di El Matoral. Nella testimonianza raccolta e pubblicata da Fiorenzo Sicuri nel 1987, Braccialarghe, dichiaratamente anticomunista, scrive:

Della Russia mi raccontava con linguaggio schietto, mai esageratamente condito di quell’apologetica che offende il buon senso di chi la tesse ed umilia l’intelligenza di chi la ascolta. Non nascondeva difetti, contraddizioni di una società in divenire e protesa, secondo lui, nella giusta direzione. Di fronte alle mie riserve mi ricordava l’epopea dell’ottobre rosso, enfatizzava l’opera titanica compiuta dai bolscevici per fare uscire dal caos e dotare di nuove, valide strutture un Paese cui secoli di zarismo avevano lasciato solo gli occhi per piangere. Per lui i comunisti russi avevano aperto la strada verso il socialismo: si trattava di migliorarla, ampliarla affinché fosse agevolata la marcia di avvicinamento alla meta[15].

Un’altra citazione interessante di Braccialarghe è contenuta nella prima versione dattiloscritta del suo Diario Spagnolo, conservata presso l’Istituto Parri di Bologna:

Come diceva il povero Picelli: un partito che diventa Stato, è obbligato ad essere spietato verso i suoi iscritti che sbagliano, perché ciò che sarebbe considerata una negligenza nei riguardi del partito, diventa tradimento e sabotaggio contro lo Stato stesso, una volta che le due istituzioni si confondono[16].

Nella versione finale del testo di Braccialarghe, quella pubblicata, il paragrafo viene riformulato eliminando il passaggio “come diceva il povero Picelli”. Quella che nella prima versione appare come una sorta di giustificazione della durezza del regime, viene trasformata in una opinione dell’autore preceduta dalla frase “non perché Stalin sia un criminale, cosa indiscutibile, ma perché il sistema lo richiede”[17].

Per Picelli, fino alle ultime settimane della sua vita, l’Unione Sovietica era “protesa nella giusta direzione”, “bisognava difenderla, sempre”, e il Partito al potere “era obbligato ad essere spietato verso i suoi iscritti”. Sembra di poter dire che le vicende che pure lo avevano lambito negli ultimi mesi trascorsi a Mosca non avessero lasciato tracce nella sua valutazione complessiva della direzione sovietica, tale da configurarlo come politicamente dissidente.

L’ultimo viaggio di Picelli

Dopo la sua morte a Picelli vengono tributati importanti onori dai partiti del Fronte Popolare, ai quali si associano anche gli anarchici della CNT. Si è parlato spesso, sulla base di una informazione fornita da Achille Benecchi (“Frisé”) dei “tre funerali”[18].

Il funerali di Guido Picelli a Barcellona: al centro la moglie Paolina, alla sua destra il console sovietico a Barcellona Antonov Ovseenko e il dirigente comunista nonché rappresentante della Generalitat Miquel Valdés, alla sua sinistra la famiglia Grossi con la moglie Maria Olandese, la figlia Ada e Carmine Cesare che avrebbe conosciuto Picelli durante le Barricate di Parma.

In realtà il vero funerale fu uno solo, quello di Barcellona, dove Picelli venne sepolto. A Madrid, come riportato dalla stampa, si tenne una manifestazione pubblica di commemorazione da parte dei partiti antifascisti, mentre di una iniziativa a Valencia (che era la sede del Governo) non ho ritrovato traccia nella stampa dell’epoca.

È noto che la tomba di Picelli venne poi distrutta dai franchisti e il suo corpo finì in una fossa comune. I tentativi di ritrovare le spoglie, tentati dopo la caduta del franchismo, non hanno portato a nessun risultato, come raccontato dettagliatamente da Vincenzo Baldassi, che fu sindaco di Parma[19].

Ritratto di Picelli pubblicato dal settimanale illustrato madrileno “Cronica” il 17 gennaio del 1937.

Ma si era pensato ad una diversa destinazione per ospitare la tomba di Picelli e, nel caso, quale poteva essere? È una domanda alla quale è difficile al momento dare una risposta definitiva ma disponiamo di qualche informazione interessante che quanto meno sollecita l’interrogativo.

Nell’archivio di Pietro Nenni, che allora era in Spagna con funzioni di collegamento tra le Brigate Internazionali e il governo spagnolo, abbiamo rintracciato un telegramma del 1937, inviato da Giuseppe Modigliani, un dirigente socialista che si trovava a Parigi, nel quale “si avvisa che per il trasporto del cadavere di Guido Picelli, bisogna far intervenire il consolato di Francia”[20]. È evidente che Nenni si stava muovendo per portare la salma di Picelli fuori dalla Spagna e il riferimento al consolato francese lascia intendere che la Francia fosse la destinazione o un punto di passaggio necessario per il trasferimento.

L’intenzione sembra quindi certa, mentre più difficile è rispondere a quale dovesse essere la destinazione finale. Si deve escludere l’Italia, dato il contesto politico. Potrebbe essere la Francia, e questa è la tesi riferita da De Micheli il quale scrive: “in un primo tempo si pensava di portare la salma di Picelli a Parigi, dove avrebbe dovuto essere inumata: poi questo proposito fu abbandonato”[21]. Con questo paese Picelli non aveva legami particolari, ma vi erano molti emigrati italiani e anche parmensi, alcuni dei quali l’avevano conosciuto personalmente.

Un’altra possibile ipotesi potrebbe emergere dalla lettera inviata da Paolina Picelli a Teresa Noce (Estella) appena saputo della morte del marito e pubblicata da “Il Grido del Popolo” del 16 gennaio 1937. Il breve messaggio includeva questo paragrafo finale:

La lettera di Paolina Picelli pubblicata il16 gennaio 1937 su “Il Grido del Popolo”, settimanale del PCI pubblicato a Parigi.

Chiedo di potere, dopo il mio ritorno da Madrid, raggiungere con Guido la nostra Patria: l’U.R.S.S.[22]

Non può non sorprendere quel richiamo così enfatico all’Unione Sovietica indicata come “la nostra Patria”, ma anche significativa l’intenzione di tornarvi “con Guido”. Solo una metafora per indicare la volontà di portarlo nel ricordo o un’indicazione più concreta: portare in Unione Sovietica anche le spoglie di Picelli? In mancanza di altre informazioni non possiamo che lasciare aperto l’interrogativo.

Certamente, e si può aggiungere anche per sua fortuna, Paolina non tornerà a Mosca dove si sarebbe trovata nel pieno della tempesta del “Grande Terrore”. Almeno fino all’aprile del 1939 si trovava a Parigi e riceveva aiuti dal Partito per l’affitto e altre spese ma, per una serie di ragioni, non si riteneva opportuno il suo invio in Unione Sovietica, come comunicava Athos Lisa a Nenni per lettera[23].

La nostra ricostruzione ci sembra chiarisca alcuni aspetti della vicenda politica di Picelli nel suo ultimo anno di vita basandola il più possibile su fatti certi piuttosto che su supposizioni, fantasie o vere e proprie falsificazioni. Il quadro complessivo è sufficientemente chiaro anche se una serie di dettagli potrebbero essere meglio illuminati da ulteriori ricerche.

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* * *

[1] F. Ferrari, Franco, Guido Picelli e l’amico sconosciuto, su “Voladora”,  23 novembre 2022.

[2] Gorkin, Julian, El proceso de Moscu en Barcelona: el sacrificio de Andrés Nin, Aymà, Barcelona, 1974, p. 54.

[3] Bocchi, Giancarlo, Risposta alla lettera di William Gambetta a parma.repubblica.it, www.dallapartedeltorto.it, 20 gennaio 2022.

[4] Ibidem.

[5] Volodarski, Boris, El caso Orlov. Los servicios secretos sovieticos en la Guerra civil espanola, Critica, Barcelona, 2013, pp. 99-100.

[6] “Hispania”, septiembre-diciembre2013, vol. LXXIII, n. 245, págs. 789-816, p. 111.

[7] Povedano, Manuel Aguilera, Los hechos de mayo de 1937: efectivos y bajas de cada bando, in “Hispania”, settembre-dicembre 2013, vol. LXXIII, n. 245, p. 804.

[8] Documentario Operacion Nikolai, 1992, https://www.youtube.com/watch?v=nyvHKR6yjgo

[9] Si vedano Volodarski, Boris, El caso Orlov, cit.; Id., Stalinìs Agent. The Life & death of Alexander Orlov, Oxford University Press, Oxford, 2015; Vinas, Angel, El escudo de la Republica. El oro de Espana, la apuesta sovietica y los echos de mayo de 1937, Critica, Barcelona, 2010.

[10] Costello, John e Tsarev, Oleg, Deadly Illusions, Century, London, 1993.

[11] Volodarski, Boris, El caso Orlov, cit., p. 261, che cita Gazur, Edward P., Secret assignment : the FBI’s KGB General, St Ermin’s Press, London, 2001, p. 126.

[12] Firsov, Fridrikh I., Dimitrov, the Comintern and Stalinist Repression, in McLoughlin, Barry e McDermott, Kevin, Stalin’s Terror, High Politics and Mass Repression in the Soviet Union, Palrave Macmillan, Basingstoke – New York, 2003, pp. 72-73.

[13] Puppini, Marco, Apparati comunisti di vigilanza e repressione nelle Brigate Internazionali. Il caso della “Garibaldi”, in “Spagna Contemporanea”, 2016, n. 49, p. 33.

[14] L’ultima lettera di Guido Picelli, “l’Unità”, n.2, 1937.

[15] Sicuri, Fiorenzo (a cura di), Guido Picelli, Centro di documentazione Remo Polizzi, Parma, 1987, pp. 112-113.

[16] Braccialarghe, Giorgio, Diario spagnolo, s.n., s.d, fotoriproduzione della prima stesura del dattiloscritto, p. 95.

[17] Braccialarghe, Giorgio, Diario spagnolo, SEGE, Roma, 1982, p. 141.

[18] La testimonianza di Benecchi si trova in Gorreri, Dante, Parma ’43: un popolo in armi per conquistarsi la libertà, STEP, Parma, 1975, p. 71.

[19] Baldassi racconta del viaggio a Barcellona quando era assessore in: Terracini, Umberto, Guido Picelli nel 30° anniversario della sua scomparsa, Federazione ANPPIA di Parma, Parma, 1969, pp. 9-10. Su tutta la vicenda e sui suoi significati simbolici si veda Baldassari, Marco, La sacralizzazione dell’eroe. La ricerca della salma di Guido Picelli, in Gambetta, William e Giuffredi, Massimo (a cura di), Memorie d’agosto. Lettura delle Barricate antifasciste di Parma del 1922, Punto Rosso, Milano, 2007, pp. 127-138.

[20] Archivio Pietro Nenni, Unità 631, Carteggio Modigliani Giuseppe Emanuele.

[21] De Micheli, Mario, Barricate a Parma, Libreria Feltrinelli di Parma, Parma, seconda edizione riveduta 1972, p. 176.

[22] Una nobile lettera di Paolina Picelli, “Il Grido del Popolo”, 16 gennaio 1937.

[23] La missiva è stata digitalizzata: https://www.lazio900.it/oggetti/32680-lisa-athos-adone-pseudonimo-porto/