I buchi di Lunardi

di Francesco Antuofermo

Alzi la mano chi di voi non ha mai provato a scavare una buca, almeno da bambino. In spiaggia, ad esempio, siamo stati tutti costruttori: affondare le mani nella sabbia in profondità e sfruttare l’arena per erigere un forte, un castello, una pista per le biglie. Anche l’homo sapiens alle origini del suo cammino ha dovuto ovviare a questa incombenza. Quando i nostri progenitori circa 12.000 anni fa, cominciarono a scavare buche in Mesopotamia, per dissodare e piantare il Triticum beeoticum (piccolo farro), capirono l’importanza di diventare sedentari e impararono a fare gli agricoltori: il buco come preludio alla creazione di città complesse come Babilonia.

Più recentemente, durante gli anni della rivoluzione industriale i profitti ricavati dall’estrazione del carbone usato come fonte di energia, ha costretto milioni di persone ad una esistenza terribile nelle miniere, come descritto magistralmente da Zolà in Germinal, lasciandoci spesso la pelle come avvenne per molti minatori italiani nel 1956 nei pozzi di Marcinelle in Belgio.

Fare buchi, quindi, nel bene e nel male, appartiene alla nostra indole. Si può tranquillamente affermare che scavare è parte immanente del genere umano, soprattutto se devi farlo sotto la minaccia della pistola di Clint Eastwood come nel film Il buono, il brutto e il cattivo, del grande Sergio Leone, o sotto il fuoco incrociato di amici o nemici in una trincea.

Ma mentre la maggior parte delle persone ad un certo punto smette di fare buche, ci sono quelli che con gli escavatori ci vivono e fanno fortuna. È il caso dell’ex ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi da Basilicanova, acclamato “Man of the year in construction field” dalla rivista statunitense “Engineering News-Record”. Il principe dei buchi, grande protagonista della politica nazionale e locale di venti anni fa al servizio anche di Silvio Berlusconi.

Come spesso succede, nel nostro triste panorama politico parmigiano, dove evidentemente scarseggia la materia prima, personaggi diventati impresentabili in passato per essere stati colti con le mani nella marmellata o per aver fatto sperpero della ricchezza pubblica, sono pronti a lanciarsi di nuovo in avventure politiche proponendo la propria candidatura addirittura alla carica di primo cittadino a Parma. La politica, si sa, corre insieme agli affari e la proposta di Lunardi o di Vignali non può prescindere da questo assioma. Così, spinto forse dalla speranza della mancanza di memoria dei nostri concittadini e dalle necessità del proprio portafoglio, in un’intervista concessa a Pietro Rinaldi, il proprietario della Rocksoil Spa, ha annunciato il suo ritorno sulla scena e lo fa mettendo al centro del suo programma proprio il buco, anzi, di più: una enorme voragine da scavare sotto le città dentro la quale costruire grandi centrali nucleari. La città pilota prescelta potrebbe essere addirittura Parma e i lavori naturalmente dovrebbero essere assegnati all’azienda di famiglia che vanta una grande esperienza in buchi e gallerie. Una proposta incredibile, avvincente, imprescindibile, a cui nessuno aveva mai pensato. Illustrata con estremo candore all’intervistatore affascinato da tanta audacia:

“La crisi energetica impone di ripensare – senza indugi – all’energia nucleare. Se partissimo oggi, entro dieci anni saremmo praticamente autonomi, anche integrando con altre fonti tradizionali”.

È una necessità – a suo dire – che la crisi Ucraina ha reso ancora più urgente ma la novità della proposta è che la strada da percorrere è una sola: andare sottoterra dove i “I rischi di una catastrofe dovuta a fuoruscite di materiale radioattivo saranno pressoché nulli e anche il problema delle scorie potrà essere risolto nel migliore dei modi”.

Lunardi ne è convinto: “la particolare natura delle rocce garantisce la quasi completa gestione della radioattività, impedendo fughe”. Così, accecato da un impeto di entusiasmo gli avverbi di dubbio, quasi e pressoché, si trasformano in certezza: “Il discorso, allora, può essere esattamente invertito: se la roccia protegge dalle radiazioni, ne impedisce anche la fuoriuscita”. Ecco perché “si potrebbe perfino pensare di avere centrali nucleari ecologiche e sicure perfino in città, scavando alla profondità giusta”.

Un affare stimabile in circa 10 miliardi a centrale, dice, da affidare alla sua società che: “ha gestito la progettazione di opere in sotterraneo per metropolitane (Singapore, Grecia, Francia, Arabia Saudita, Brasile e Danimarca; in Italia Milano, Roma, Genova, Napoli) e grandi trafori (Gran Sasso e Frejus), per l’Alta velocità Bologna-Firenze”. Ma soprattutto nella TAV della Val Susa, dove l’azienda di famiglia, ora amministrata dal figlio Giuseppe, è stata ovviamente implicata con l’accusa di corruzione nell’inchiesta sulle tangenti nell’alta velocità.

I cittadini di Parma sono quindi avvertiti. Potranno dormire sonni tranquilli sapendo che appena sotto il loro buco del culo una centrale nucleare lavorerà a pieno ritmo. Del resto, siamo già stati vaccinati con le grandi opere inutili del duo Ubaldi-Vignali che volevano traforare il sottosuolo della città per costruire la metropolitana da 16 milioni di viaggiatori all’anno in una città di 170 mila abitanti. Viviamo in un Comune che non riesce a porre rimedio e a dare una funzione utile all’imponente abuso edilizio da 20 milioni di euro realizzato col ponte Nord e che si appresta a rivoluzionare tutta la zona di Baganzola per portare a Parma aerei cargo dall’impatto ambientale devastante.

Dopo l’inceneritore, quindi, che doveva bruciare solo i rifiuti della provincia, arriva la centrale nucleare da costruire nel sottosuolo della città, a 300 metri di profondità a stretto contatto con Lucifero e con Cerbero assunto nelle veci di guardiano a tre teste. E tutto per riempire le tasche senza fondo di un costruttore megalomane che aspira ad essere il becchino della città ad ogni costo. Che tristezza.