Cani da guardia o cani da compagnia

di Marco Severo

Anni fa, una storica casa editrice cittadina ricorse a uno slogan piuttosto efficace per pubblicizzare il proprio marchio: «Battei legge Parma, Parma legge Battei». Elementare e funzionale. Compariva anche sui segnalibri dell’allora libreria di via Cavour. Era facile da ricordare, inconfutabile nella sua logica. Ma al di là di ciò, l’aforisma colpiva l’attenzione per la forma perfettamente circolare e per l’autosufficienza della sua sostanza semantica. Ben vestendo l’abito dell’autoreferenzialità parmigiana, infatti, lo slogan, oltre che affermare l’affidabilità della Battei in materia di lettura, denunziava, anche, l’autonomia se non proprio l’autarchia di un intero sistema culturale.

Il sottotesto dell’aforisma sosteneva cioè che alla città di Parma, da leggere, non occorresse molto altro. Bastava la Battei. La Battei e la “Gazzetta di Parma”, possiamo aggiungere ora qui. Libri più giornale. Anzi. Il bisogno di disporre di un palco sul quale esibirsi e ammirarsi era e continua ad essere l’istinto base della città, al quale proprio la “Gazzetta di Parma” – per tutti “Lagazzetta” – da tre secoli assicura il più ampio e fenomenale spazio di espressione. Non è casuale, del resto, che “Lagazzetta” continui ad essere l’unico quotidiano diffuso in città. La capitale europea della cultura 2020 non garantisce ormai da anni lo svolgimento del più semplice esercizio culturale: la pluralità d’informazione.

Come un grosso ragno in attesa delle sue prede, da decenni “Lagazzetta” osserva i suoi concorrenti ronzargli attorno, posarsi, poi dimenarsi e infine, invariabilmente, perire. Senza tanti patemi, il forse più antico giornale d’Italia ha assistito alle parabole fuggevoli delle diverse imprese editoriali che spavalde e talvolta piene di testosterone hanno tentato di contendergli il primato giornalistico. Sempre senza scomporsi. E sempre vincendo. Prima divorando “Il Resto del Carlino”, nel formidabile assalto iniziato negli anni sessanta del secolo scorso e conclusosi nel lontano 1991, con il ritiro da Parma del foglio bolognese. Poi di volta in volta scoraggiando, oppure alla lunga fiaccando, nuove iniziative editoriali, qualcuna certo improbabile e avventata di suo, tutte però apprezzabili nel tentativo di far parlare la Parma critica e senza voce: da “Polis Quotidiano” a “L’Informazione di Parma” fino a “La Sera” e al settimanale “Il Nuovo di Parma”. Tutte ormai cessate da tempo.

Tre sono le armi a disposizione dell’unico quotidiano. Uno: la capillarità della penetrazione e l’identificazione praticamente simbiotica con i lettori dell’intera provincia di Parma (dalla sagra della torta fritta fino alla celebre pagina dei necrologi nulla sfugge all’occhio del forse più antico quotidiano d’Italia); due: l’incetta di inserzioni sul mercato della pubblicità (del resto, chi affiderebbe il proprio marchio aziendale ad un qualsiasi “vuvuvùparmanews.it” piuttosto che a “Lagazzetta”?); tre: la potenza economica e la forza politica dell’Unione parmense industriali, sua editrice (che elargisce a tutti generosi spazi sulle pagine del giornale, sempre che questi “tutti” stiano buoni e quieti al posto loro).

La somma dei tre requisiti sopraelencati è appunto l’autoreferenzialità che sazia e delizia i parmigiani. La «parmigianite acuta», l’ha definita qualcuno. Non c’è bisogno di una seconda voce, basta la torta fritta e la pagina dei necrologi. Parma legge “Lagazzetta”, “Lagazzetta” legge Parma. Se la stampa è per definizione «il cane da guardia del potere», “Lagazzetta” assolve amabilmente al suo ruolo di cane da compagnia. Asseconda e vizia i lettori, costruisce un senso comune, impacchetta la complessità e apparecchia ogni giorno una realtà che ha colore-profumo-sapore suoi propri, con un contorno stufato di comunicati stampa dalla questura serviti a cucchiaiate. Pusher arrestati o ancora a piede libero, volanti lanciate in inseguimenti e solita notte da lupi nel bronx.

Gli applausi dei lettori scrosciano. Anche se sempre meno, per la verità. Perché anche “Lagazzetta” vive nel nostro tempo, dunque anche “Lagazzetta” sa cos’è la crisi dell’editoria. Le rotative che stampano il giornale unico non stanno più a Parma, in via Mantova, ma a Bologna (la rivincita del capoluogo…). Le copie vendute non sono tante come un tempo. I giornalisti collaboratori sono ridotti al rango di operai-massa, come raccontano due di essi alla trasmissione Rai Report.

L’alternativa possibile al quotidiano unico popola di piccole stelle la galassia dei giornali online. Sono ben otto in città i notiziari web. Oltre naturalmente alla gazzettadiparma.it sono attivi Repubblica Parma, Parmadaily, Parmapress24, Il Parmense, Parmatoday, Parmaonline, Parmareport. Sono cessati invece di recente Parma Quotidiano (settembre 2018) e Rosso Parma (ottobre 2018). Sono tutti e otto simili o molto simili tra loro. Come nelle regole del giornale web comanda quasi sempre il rullo delle notizie. La gerarchia equivale alla cronologia, le news semplicemente si avvicendano non tanto per importanza e significato quanto per freschezza, l’ordine e il lavoro di selezione da parte della redazione non è decisivo. Spesso gli articoli non hanno firma, oppure sono firmati genericamente «la redazione». Non sono frequenti le produzioni proprie, il grosso del rullo è riempito da comunicati stampa o da “brevi” di cronaca politica e cronaca nera.

Parmatoday è parte di una rete di giornali online diffusi in tutta Italia editi dal gruppo Citynews: dichiara 624.000 visite e 212.600 utenti unici al mese. Parmaonline costituisce un network insieme ad altre quattro testate emiliane, con le quali «ogni giorno raggiunge oltre 25 mila utenti unici nelle province di Reggio Emilia, Parma e Modena». Parmadaily, sponsorizzato dalla società Proges e diretto da Andrea Marsiletti, è probabilmente il più politico fra i sette giornali web. Repubblica Parma è poi l’unica edizione del quotidiano “la Repubblica” ad essere presente solo in rete, priva com’è del dorso cartaceo locale: è nata nel 2008 e nel tempo ha subito un progressivo assottigliamento della redazione.

Discriminante per tutti, in ogni caso, è la logica del clic. Più clic si ottengono da parte dei lettori più credito si può vantare presso gli inserzionisti. Più credito si può vantare presso gli inserzionisti e più pubblicità e dunque introiti giungono nelle tasche dell’editore. Il quale editore, di conseguenza, decide alla luce dei dati (dei clic) se il gioco vale la candela oppure no, ovvero se continuare a finanziare oppure no la testata. Altre fonti di guadagno non esistono. A meno che non si decida di richiedere una sottoscrizione ai lettori, sul modello americano adottato di recente dal portale nazionale di Repubblica.

Il punto è che per ottenere tanti clic e vantare tanto credito presso gli inserzionisti non serve necessariamente, anzi non serve quasi mai, produrre pezzi di grande giornalismo. Video e gallerie fotografiche funzionano molto meglio. Se intrattengono più che informare, di norma, funzionano anche di più. Via libera allora alle gallery curiosity: «Guarda com’è ingrassata la tale star di Hollywood» (sui giornali nazionali), «Torrechiara innevata, dal nostro lettore Vincenzo» (su quelli locali). Ma sembra che a Parma – e non solo a Parma – vada benissimo così. Il giornale unico è sufficiente. Nessuno sente il bisogno di una stampa adulta, critica, bella, libera dalla «parmigianite acuta» o dalla schiavitù del clic. Ed è tantopiù improbabile che un editore volenteroso lo senta proprio adesso, il bisogno, con i tempi grami che corrono per il giornalismo a livello internazionale, con la confusione che grava sul ruolo dei giornalisti e con i social network che stanno sconvolgendo il quadro di riferimento dell’era Gutenberg (sopravanzata ormai dall’era Zuckerberg).

Poco è cambiato a Parma dal 1735, anno in cui “Lagazzetta” nacque. Il 2020 della cultura capitale, o della capitale della cultura, sorgerà con una sola locandina esposta nelle edicole – quelle poche che ancora restano.

“Lagazzetta” legge Parma, Parma legge “Lagazzetta”. E vissero felici e contenti.