L’opprimente pericolosa “normalità”

di Margherita Becchetti

Il problema non è quella parte di società che davvero vorrebbe un ritorno alla medievale subalternità femminile, quelli che – da Fontana a Pillon ‒ ci vorrebbero chiuse in casa a far figli, meste e ubbidienti. Loro sono una piccola parte, retrograda e irrispettosa certo, ma facilmente arginabile se… Se non ci fosse un altro pezzo di società composto da uomini e donne, quello sì pericoloso e insidioso, che rimane pressoché indifferente di fronte al sessismo diffuso, che non lo riconosce, che ride a battute volgari, che le inoltra sui social. Che di fronte a una pubblicità come quella esposta dal negozio di elettrodomestici e ferramenta Chiastra di Langhirano, sorride con un’alzata di spalle e dice «ma che vuoi che sia», rinunciando a riflettere sul senso delle cose.

Ecco, quando vedo pubblicità come questa, io penso che il problema vero siano loro, e non quelli che coniugano le proprie politiche di marketing alla loro superficialità. Perché uomini e donne che tirano dritto, che alzano le spalle, che sorridono alla battuta non colgono il senso profondo di ciò che, giorno dopo giorno, stiamo tollerando. Per molti, infatti, è “normale” vedere corpi femminili denudati in televisione, essere circondati da pubblicità fitte di stereotipi, con le donne regine della casa o ridotte a oggetti sessuali da sfruttare secondo la propria volontà; è normale imbattersi in pezzi di corpo femminile stampati su manifesti e riviste, utilizzati come oggetti, come se il corpo di una donna fosse altro, non la donna stessa, e se ne potesse disporre come si vuole. Eppure negli anni ’70 molte donne hanno avuto l’ardire di prendere in mano la propria vita, di rivendicare rispetto per il proprio corpo, di liberarsi da una mentalità misogina e sessista che sembrava granitica e che invece si è progressivamente sgretolata di fronte ai loro no e ai loro basta. Molte leggi sono cambiate, molte abitudini si sono trasformate, gran parte degli uomini della mia generazione, allevati da quelle madri, non sono come i loro padri, non ne condividono l’autoritarismo, la cultura patriarcale, la convinzione dell’indiscutibile superiorità maschile.

Noi donne di questo tempo godiamo ancora di una condizione privilegiata rispetto a quelle del passato, eppure non possiamo non accorgerci di ciò che, giorno dopo giorno, insidia la nostra libertà. Pillon e i maschi alfa come lui, certo. Ma non solo Pillon.

Più di lui dobbiamo temere il qualunquismo di uomini e donne, quello che impedisce loro di mettere in relazione il clima di violenza diffuso intorno all’autonomia femminile e una pubblicità come questa. Pubblicità che, giocando sul doppio senso, ammicca ad allusioni sessuali per veicolare un’idea di donna sottomessa e assoggettata ai desideri dell’uomo. Desideri cui diventa sempre più difficile sottrarsi, se consideriamo, ad esempio, che la gran parte dei femminicidi avvengono per mano di ex mariti o ex fidanzati che non accettano la libera scelta delle loro ex compagne di cambiare vita.

E allora, forse, in tanti dovrebbero smetterla di sorridere e, al contrario, imparare ad indignarsi, a non tollerare, a mettere in campo campagne di boicottaggio verso aziende come quella di Langhirano, come verso chiunque pensi di usare l’immagine femminile per veicolare messaggi sessisti e svilenti il nostro ruolo nella società.