Foibe e fascismo: quando studiare la storia diventa scomodo

Comunicati di Anpi Parma, Potere al popolo, Rifondazione comunista e Officina popolare

Da quando è stata istituita la Giornata del ricordo del 10 febbraio, ogni anno, dal febbraio 2005 a Parma un comitato antifascista si è preoccupato di organizzare un appuntamento di riflessione sulle vicende delle terre del confine orientale italiano, prima e durante la seconda guerra mondiale. Ogni anno, dunque, il Comitato antifascista per la memoria storica – insieme ad altre associazioni, tra le quali l’Anpi e l’Anppia – invita ricercatori e studiosi a contestualizzare gli eventi che portarono alla fucilazione e all’infoibamento di molti italiani, militari fascisti ma anche civili, e all’esodo da quelle zone della popolazione italiana con l’affermazione del potere delle truppe partigiane di Tito, nelle quali peraltro avevano operato anche molti combattenti italiani. Un tema, dunque, piuttosto complesso che non può limitarsi alla retorica per i morti ma deve essere compreso in relazione a quanto la dittatura di Mussolini fece in quelle terre prima e dopo l’invasione della Jugoslavia del 1941. Del resto la stessa legge 92/2004, che istituì la Giornata del ricordo, parla esplicitamente di «complessa vicenda del confine orientale».

Anche quest’anno, dunque, il comitato ha organizzato per domenica 10 febbraio (Cinema Astra, ore 10:30) il tradizionale appuntamento su Foibe e fascismo. L’iniziativa, però, non è stata gradita dai deputati parmigiani della Lega e, tramite loro, dal ministro degli Interni Salvini che, alcuni giorni fa, si sono scagliati contro l’Anpi di Parma, colpevole – a loro dire – di «negazionismo». Un’aggressione che si è spinta fino a minacciare il taglio dei contributi statali all’associazione.

Sono seguite molte dichiarazioni, da più parti politiche, piuttosto contraddittorie e vaghe, soprattutto quelle espresse dal Partito democratico. Tra le tante devono senz’altro essere ricordate quella del sindaco di Parma Pizzarotti che, con un lungo post su facebook, è riuscito a non schierarsi, difendendo contemporaneamente l’Anpi ma sgridando chi fa “negazionismo”; così come deve essere segnala la presa di distanza di Carla Nespolo, presidente nazionale dell’Associazione dei partigiani d’Italia, dalla sua organizzazione parmense.

Di seguito – visto che non è stato fatto da altre testate – riportiamo i comunicati stampa dell’Anpi provinciale e di Potere al popolo, Rifondazione comunista e Officina popolare di Parma. Tutti, in diverso modo, a sostegno dell’iniziativa del 10 febbraio.

Comunicato dell’Anpi provinciale di Parma

La Segreteria dell’Anpi provinciale di Parma, preso atto delle accuse di negazionismo mosse nei suoi confronti in riferimento alle foibe e alle vicende che hanno interessato il confine orientale, rigetta con forza tali accuse, dettate solo da un uso ideologico e politico della memoria pubblica che non guarda ai contenuti della ricerca storica ma che, invece, li ignora. Far luce sulla complessità degli eventi della seconda guerra mondiale, contestualizzandoli, non significa volerne negare l’effettiva realizzazione, bensì consegnare al Paese gli strumenti critici utili a decodificare il passato per comprendere il presente. Questo è ciò che, con grande impegno, l’Anpi provinciale di Parma, ispirandosi alle posizioni ufficiali dell’Anpi nazionale, fa sul territorio locale, in rete con associazioni, forze politiche e sindacali, e con la comunità, nell’ottica di una cittadinanza consapevole in grado di lavorare per i valori della democrazia e della libertà contro ogni forma ricorrente di fascismo. L’eredità ricevuta dai partigiani e dalle partigiane ci legittima a continuare il nostro impegno civile, ci rende determinati a perseverare nel raggiungimento di questi obiettivi con onestà e passione. Pertanto, diciamo ad alta voce che noi non ci stiamo.

Comunicato di Potere al popolo – Parma

Se non fosse che ormai ci stiamo drammaticamente abituando, verrebbe quasi da sorridere di fronte al tentativo delle forze di destra (con la Lega in prima fila, alla ricerca di voti anticomunisti) di continuare a manipolare la storia del confine orientale italiano. Manipolarla non tanto per raccontare la sofferenza della popolazione civile che in quelle terre visse guerra e dopoguerra, quanto per interessi esclusivamente propagandistici.

I morti nelle foibe o le sofferenze di coloro che condivisero l’esodo istriano non sono scaturiti dal nulla: anche uno studente delle medie sa che nella storia tutto trova un senso nel rapporto tra causa ed effetto. Ma la politica dalla facile chiacchiera sembra voler piuttosto convincerci tutti che, a scontrarsi in quel periodo, non siano stati altro che la “luminosa civiltà italica” e la “sanguinaria barbarie slava”.

Eppure non si possono comprendere foibe ed esodo dall’Istria estrapolandoli dal contesto nel quale presero corpo, ben prima della dissoluzione del fascismo nel settembre 1943 o della fine della guerra nella primavera 1945. Tutto trova un senso se pensiamo alla politica del Regno d’Italia, avversa al nascente stato di serbi-croati e sloveni al termine della prima guerra mondiale nel 1918, poiché si immaginava la vicina Jugoslavia una possibile area da sottomettere alla propria influenza e al limite da disgregare a proprio tornaconto. Una politica che si concretizzò effettivamente con la dittatura mussoliniana, vale a dire con la nazionalizzazione forzata delle popolazioni istriane e, successivamente, con l’occupazione militare della Jugoslavia nel 1941. Un’aggressione che accordò mano libera alle più atroci violenze tanto contro la legittima resistenza jugoslava (alla quale, peraltro, si associarono anche molti soldati italiani dall’autunno del 1943), quanto verso la popolazione civile, con fucilazioni di massa, deportazioni, torture e campi di concentramento.

E allora, in questa ennesima polemica del “giorno del ricordo”, nauseati dal conto delle cifre gonfiate a dismisura per fare colpo sull’opinione pubblica e per ragioni che nulla hanno a che vedere con la comprensione del passato, non possiamo che ribadire una necessità: quella di considerare il problema delle foibe nel quadro della risposta ai crimini del fascismo prima e dopo il 1941. Un’altra scomoda eredità che la dittatura di Mussolini ci ha lasciato, un altro danno morale di cui chiedere conto a chi, di quel regime, sente nostalgia.

Comunicato di Rifondazione comunista di Parma

Esprimiamo la nostra solidarietà all’Anpi di Parma, all’Anpi nazionale e al Comitato antifascista e antimperialista per la memoria storica di Parma, vittime di una vera e propria aggressione mediatica, scatenata, ancora una volta dall’orrido ministro degli interni Salvini. Al centro dell’attenzione e delle accuse della Lega il convegno in programma domenica 10 Febbraio a Parma.

Le accuse di negazionismo e revisionismo rivolte dalla Lega all’Anpi, accompagnata dalla minaccia di taglio ai contributi, oltre ad essere inaccettabili e vergognose sono paradossali. Incredibile che una forza come la Lega, che va a braccetto con formazioni politiche dichiaratamente fasciste, possa accusare l’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, di revisionismo storico.

Siamo al ribaltamento della realtà. L’unica vera operazione di revisionismo, in corso ormai da anni, è l’istituzione del “giorno del ricordo”. Questa sì è un’operazione revisionista, sponsorizzata dalle forze di estrema destra in Italia. Con il giorno del ricordo si è istituzionalizzata per legge una lettura parziale e ideologicamente orientata della storia. Non si può parlare del dramma delle foibe senza inserirlo nel contesto storico. Noi ricordiamo tutto e rivendichiamo la nostra convinta partecipazione al convegno che il Comitato antifascista e antimperialista per la memoria storica di Parma organizza, ogni anno, da quattordici anni, il 10 Febbraio al Cinema Astra e cogliamo l’occasione per invitare l’intera città a partecipare anche il 10 Febbraio di quest’anno. Un’occasione preziosa per chi voglia provare a comprendere la storia e i drammi del ‘900 e respingere ogni tentativo di legittimazione del fascismo e della sua propaganda, ricordandone i crimini spesso taciuti.

Noi ricordiamo tutto: l’occupazione fascista dei territori istriani ed ex-jugoslavi, la ventennale dittatura, le politiche coloniali con cui si costrinsero le popolazioni a processi di italianizzazione forzata, l’odio razziale, le esecuzioni sommarie, gli incendi di interi villaggi, le operazioni squadriste, i campi di concentramento fascisti. Mentre ogni anno si parla solo di foibe, in pochi in Italia, hanno mai sentito parlare, ad esempio, del campo di concentramento di Rab, oggi località turistica, ma 70 anni fa lager fascista nel quale persero la vita migliaia di civili jugoslavi, bambini compresi.

Il convegno del 10 Febbraio, da anni, ha avuto il merito di non cedere ad una ricostruzione parziale ma di contribuire a far conoscere ad un vasto pubblico in città le atrocità commesse dai fascisti italiani in Ex-Jugoslavia e rispetto alle quali non esiste, oggi, nessun giorno del ricordo. Guerra, violenza e morte seminate dal fascismo in tutta Europa non possono essere rimosse con un colpo di spugna, con i libri di Pansa o con i giorni del ricordo parziale. A supporto di queste considerazioni, invitiamo all’approfondimento della complessa vicenda istriana e jugoslava e alla visione, tra i tanti materiali disponibili anche online, del documentario “Fascist Legacy” realizzato qualche anno fa dalla BBC, un utile contributo per non cadere nelle semplificazioni e nelle forzature revisioniste che l’estrema destra porta avanti da anni.

Comunicato di Officina popolare – Parma

Dal giorno della sua istituzione ad oggi, “la giornata della commemorazione dei martiri delle Foibe” è diventata uno strumento politico per mettere in cattiva luce il movimento partigiano. Più precisamente non in cattiva luce, ma sotto la luce sbagliata. Una ‘luce’ a cui manca l’accurata ricostruzione di un contesto e di una memoria storici senza i quali non può darsi alcun dibattito sul tema. Dopo la Prima guerra mondiale, col trattato di Rapallo, l’Istria, la città di Zara e alcune isole del Cuarnero vennero annesse all’Italia. Qualche anno più tardi, la stessa sorte toccò a Fiume, tutti territori a maggioranza croata. Con la salita al potere di Mussolini inizia “la caccia allo slavo” e la politica d’ italianizzazione forzata della popolazione autoctona. Le camicie nere bruciano le scuole croate e slovene, distruggono le case del popolo, italianizzano nomi e cognomi locali dei vivi e perfino dei morti nei cimiteri. Decine di villaggi vengono dati alle fiamme, le case distrutte e saccheggiate, pestaggi,torture e arresti sono all’ordine del giorno. Vengono inoltre abolite le associazioni e gli enti di cultura locale, quelle sociali e sportive, è vietato l’insegnamento del croato e dello sloveno nei luoghi pubblici, viene imposta la chiusura delle testate giornalistiche e la pubblicazione di libri in lingua. Si agisce dunque con efferata violenza contro l’identità di un popolo, se ne estirpano le radici in profondità: dal 1927 al 1943 furono eseguiti 978 processi dal Tribunale speciale contro gli antifascisti slavi. Particolare interessante, il gerarca fascista Cobolli Gigli scriveva che chi tra i croati si fosse ostinato a parlare nella propria lingua sarebbe stato sepolto nelle foibe. Numerose in Istria le foibe in cui i fascisti gettarono centinaia di persone, fucilate o ancora vive, a testimoniare che i primi a programmarne l’ uso furono i fascisti stessi.

Se la storia, oltre che di fatti, è fatta anche di numeri, è dovere celebrare la memoria storica con un elenco preciso dei crimini neri. Durante i 22 mesi di occupazione italiana del Cuarnero e della Dalmazia furono internati 23 mila civili, di cui 3 mila bambini. Il più grande campo di detenzione era sull’Isola di Rab, con 10 mila persone, tra le quali a morire furono in 1500. 15 mila furono i deportati jugoslavi nei campi di sterminio di Arbe, Palmanova, Gonars, Renicci, con più di 4 mila morti per fame e stenti. Atroce destino per gli internati della Risiera di San Sabba, comunisti, ebrei e rom, che a morire furono in 5 mila.

E se si guarda fuori dai confini italici, la dimensione dell’abominio che fu quel regime assume dimensioni mostruose, che diventa anche faticoso e doloroso mettere per iscritto. Durante l’occupazione in Libia, le vittime civili libiche furono 120 mila e tra il 1935 e il ’36 furono versate sulla popolazione etiopica 600 tonnellate di gas asfissianti. Il telegramma di Mussolini a Graziani era chiaro : “Autorizzo ancora una volta Vostra Eccellenza a condurre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio”.

Questi, in breve, il contesto e la memoria che fanno da sfondo alle foibe. Perché la Storia va conosciuta e fatta propria, la Storia non è un libro e nemmeno una raccolta di numeri. È il racconto degli uomini e delle donne che l’hanno fatta e l’hanno portata fino a noi. Ed è una memoria da conservare e tramandare con forza e rispetto. Altrimenti si corre il rischio di andare a vedere Red Land e di credere di aver assistito ad una ricostruzione storica. Di chi, la Storia, la legge con un occhio solo. E quello sbagliato, per giunta.