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Il viaggio del Centro studi movimenti e di Istoreco Reggio Emilia a Berlino, sui luoghi «mimetici» del terrore nazista fra gli anni Trenta e il 1945. Famiglie, insegnanti e pensionati in visita nel cratere della storia del Novecento, miglior antidoto al cinismo e al torpore sociale dell’Italia di Salvini.
C’è un gruppo di donne e uomini, giovani o dai capelli bianchi, seduti in terra in cerchio. Nel salone dalle pareti di vetro si snoda una teoria di pannelli sui quali sono esposte grandi fotografie in bianco e nero. Alcune di queste fotografie appaiono insostenibili allo sguardo. Una voce e poi un’altra si staccano dal gruppo, voci tese o tremanti. Sembra una cerimonia religiosa e forse in parte lo è, come in certi pellegrinaggi quando si arriva alla meta. Berlino, ottobre 2018, tramonto bellissimo non lontano da Potsdamer Platz. È l’ultima tappa del Viaggio della memoria organizzato come ogni anno dal Centro studi movimenti di Parma insieme all’Istituto storico della Resistenza di Reggio Emilia. Alcuni viaggi, del resto, vanno raccontati partendo proprio dalla fine. «Qui davvero si avverte la consistenza della storia del Novecento perché davvero qui i cittadini hanno fatto i conti con il proprio passato» dice una delle voci del gruppo, mentre un’altra fa notare come «le cronache dei giorni nostri, con il Mediterraneo trasformato in un cimitero per i migranti, rischino di assomigliare pericolosamente alle storie banali e terribili che siamo venuti a riscoprire qui», in questo pomeriggio d’autunno, nell’ampio e luminoso museo costruito dove fino al 1945 sorgevano i comandi della Gestapo e delle SS e che i tedeschi di oggi hanno chiamato “Topografia del terrore”.
I 58 viaggiatori provenienti da Parma, Bergamo e Milano – famiglie, insegnanti pensionati, ricercatori – approfittano dell’ultima mezzora di apertura del salone per un momento di «restituzione», cioè di riflessione su questi cinque giorni di pellegrinaggio laico a Berlino, cratere della storia del Novecento. Sono partiti il 5 ottobre da Parma, ore 23, parcheggio scambiatore nord (presenti due diversi drappelli con valigie. «Scusate, andate con il Centro studi?». «Perbacco no! Quali “studi”, noi andiamo all’Oktoberfest!»). Lento il tragitto nella notte e nella pancia dell’Europa: Brennero, Innsbruck, Monaco, Norimberga, Lipsia, Berlino e una consapevolezza guadagnata chilometro dopo chilometro, l’attesa dell’arrivo nutrita dal paesaggio che muta fuori dai finestrini. La storia è anche geografia, senz’altro lo fu nel “secolo breve”. Per questo «ci piace l’idea dell’avvicinarci alla meta poco alla volta, di conoscere tutto, spazio e tempo, in modo graduale» chiosa Ilaria La Fata del Centro studi movimenti, mentre i passeggeri ripiegati tra i sedili fanno scrocchiare le ginocchia anchilosate da 16 ore di immobilità. E va benissimo così. Non è improprio che il corpo sperimenti il disagio se sta per accedere a luoghi come quelli elencati sul programma, luoghi come Ravensbrück ad esempio, il più grande campo di concentramento femminile della Germania nazista, a nord di Berlino, prima tappa dell’itinerario. In un paesaggio incantevole e struggente lago-campanile-cottage, in cui è evidente il sovvertimento dell’ordine dei significati del bello e della morte, si contò in sei anni il passaggio di 110mila donne prigioniere, diverse migliaia delle quali uccise proprio su questi prati tra gli aceri dorati. Vi iniziò la sua carriera di nazista la 22enne ausiliaria delle SS Irma Grese, detta “la bella bestia”, divenuta famosa per il sadismo oltre che, appunto, per una certa avvenenza.
Quelli scelti dal Terzo Reich sono luoghi mimetici dove il male della storia mostra un volto seducente, così a Ravensbrück e così anche allo stadio olimpico di Berlino o al lago di Wannsee, che sono le tappe successive del tour. «Ai giochi di Berlino del 1936 le delegazioni internazionali videro nel braciere olimpico il simbolo dello sport e della pace, ma per Hitler e il suo popolo le fiamme erano l’annuncio della guerra imminente, il cui simbolismo pervadeva l’intera architettura dello stadio, costruito per l’occasione» spiega Salvatore Trapani, storico e accompagnatore italiano residente nella capitale tedesca. «Nel dopoguerra, come si sa, i gerarchi nazisti si difenderanno dalle accuse sostenendo di aver semplicemente eseguito degli ordini, se in ufficio arrivava una pratica, loro si limitavano a mandarla avanti», rammenta Tommaso Speccher, altro membro della folta comunità di ricercatori italiani in Germania, incontrato a Wannsee, ancora sulle sponde di un lago, dove nel 1942 una manciata di gerarchi decise di mandare a morte 11 milioni di uomini scrivendo su una circolare due parole: «Soluzione finale». Quella circolare ora è esposta al pian terreno della villa dove si incontrarono gli ufficiali. È riprodotta e appesa alle pareti in formato poster, all’interno e anche in giardino. Perché i tedeschi ce l’hanno fatta (diversamente dagli italiani): hanno messo le cose in chiaro con la storia. L’intera Berlino è una testimonianza di ciò. In una città dove oggi la libertà è praticamente una molecola disciolta nell’aria, la leggerezza e l’audacia si coniugano spontaneamente con la gravità dei numerosi e quasi ossessivi monumenti dedicati alla Shoah, agli orrori del nazismo e anche – naturalmente – al grottesco dispotismo comunista incarnatosi nel muro fra l’est e l’ovest del periodo 1961-1989, ferita tuttora visibile in alcuni tratti e ricordata da un suggestivo memoriale in Ackerstraße.
Così a Berlino si avvicendano gli umori in un’insolita sensazione di equilibrio interiore, lo sgomento e l’ammirazione, le lacrime e l’esuberanza. I chilometri e la fatica non smorzano il fervore dei 58 viaggiatori, che nelle ore lasciate libere neppure vanno in birreria ma al museo della Stasi o della Ddr, al monumento del Soldato sovietico oppure al Museo ebraico. Chi parla di apatia e torpore sociale nell’Italia di Salvini-Di Maio evidentemente non ha mai trascorso una mattinata con questi marciatori della memoria, miglior antidoto al cinismo e allo spegnimento di cuori e cervelli. In pullman dormono con un occhio e guardano con l’altro film come “The Reader”, “Il labirinto del silenzio”, “Operazione Valchiria”. Mentre il tramonto su Potsdamer Platz si spegne velocemente e il pullman punta verso sud, devono intervenire quelli del Centro studi per dire «basta film sul nazismo, adesso scendiamo almeno per mangiare!». È appena finito l’Oktoberfest della storia e della più confortante delle forme di cittadinanza attiva. Appuntamento al 2019.
Marco Severo