Stupro. La Parma “bene” in cortocircuito

È difficile centrare il punto per parlare di ciò che è accaduto a Parma il mese scorso e di cui in questi giorni abbiamo avuto notizia. Difficile perché in esso si mischiano molte cose. C’è uno stupro, inaccettabile come ogni stupro, c’è un uomo violento che considera il corpo femminile un oggetto di cui disporre per le proprie perversioni, c’è l’abuso di droghe che esaltano gli istinti più brutali e il delirio di onnipotenza e c’è una buona parte di città, ben vestita, abbronzata, trendy, che da decenni cresce all’insegna di poche parole chiave: denaro (sporco o pulito poco importa), apparenza, serate da bere e da sniffare, indifferenza.La città di Federico Pesci, che considera Pesci un vincente, un figo, un modello da imitare e adulare, non un drogato, non un violento, non uno stupratore. Una città che vediamo sotto i nostri occhi quotidianamente, nei bar e nelle enoteche della movida, nei negozi del centro, figlia di una borghesia che non sporca i marciapiedi, non lascia in giro bottiglie di birra ma sorseggia spritz o moskow-mule nei locali alla moda e sniffa nel cesso o sul retro o, ancora meglio, si fa recapitare la coca a domicilio. E poi urla contro i barboni, i marginali o i neri che spacciano e rovinano il decoro urbano, riversa bile razzista sui social e si accontenta di poche e superficiali spiegazioni circa la complessità del
mondo.

Una Parma in cui non è difficile inciampare a vent’anni, come la ragazza
caduta nelle grinfie di Pesci. Per parlare di ciò che è accaduto, dovremmo dunque parlare di questo, ma non solo, perché in Federico Pesci ha agito ‒ come continua ad agire in molti uomini ‒ anche un’idea di virilità che non riusciamo a metterci alle spalle, e che anzi fa della nostra provincia un triste primato in termini di stupri, violenze e femminicidi, ben 24 negli ultimi 12 anni. Una cultura machista che impedisce ai maschi di accettare debolezza, sconfitta o fallimento e che li spinge ad affermare e riaffermare dominio, anche nei modi più brutali. Per parlare di ciò che è accaduto dovremmo dunque anche dire che
l’eterna questione della violenza sulle donne non è solo un problema femminile ma dei maschi, e che contro di essa soprattutto gli uomini dovrebbero essere più fermi e mettersi in discussione, rinunciando a quelle logiche maschiliste e patriarcali che ancora segnano profondamente la nostra quotidianità, le nostre relazioni, il nostro linguaggio.

Ma ancora non basta, perché non solo di questo è figlia la brutalità di Pesci, visto che in lui è straripata anche una distorsione dell’umanità, senza dubbio liberata dall’abuso di sostanze stupefacenti e devastanti che circolano in mezzo a noi, che affollano le nottate degli insospettabili e che fanno parlare di sé solo in termini di degrado urbano.Lo spaccio di strada in viale Vittoria o al San Leonardo è un problema, certo, ma forse ci sarebbe più utile imparare a ribaltare la prospettiva di un’opinione pubblica sempre più impoverita dalle vulgate giornalistiche, e cominciare ad affrontare il problema della droga anche dal punto di vista del consumo. Chiederci e dirci pubblicamente a chi viene venduta, chi ne fa uso quotidiano, per quali canali la sua dipendenza passa di mano in mano.

Si intrecciano tanti elementi in ciò che Federico Pesci e Wilson Ndu Anihem hanno fatto a quella ragazza di 21 anni e tutti sono il segno di un declino di civiltà in cui, sempre più, il nostro tempo ‒ e la nostra città con lui ‒ precipita. Lo stesso declino, però, che anima la maggior parte dei commenti indignati che in questi giorni affollano i social e che rivendicano pena di morte, evirazione o lapidazioni su pubblica piazza per i due colpevoli. Di fronte a tutto ciò, ritrovare un barlume di ragionevolezza per comprendere i problemi e un briciolo di umanità è il minimo che possiamo fare.

Margherita Becchetti