di Francesco Antuofermo

Qualsiasi uomo di scienza che voglia affrontare un esperimento, sa bene che la verità non andrà ricercata in ciò che appare evidente in superficie. Le apparenze giocano brutti scherzi e si trasformano spesso in mistificazioni. Lo sapeva bene Marx ad esempio, che ha speso metà della sua vita a cercare di decifrare le leggi di movimento del capitale facendosi largo tra mille falsità e manipolazioni. Ma nonostante questo assunto elementare sia praticamente accettato in tutte le scienze, nel campo della storia sembra che molti abbiano ottenuto la licenza per agire in piena libertà, spacciando per verità assolute delle mere osservazioni personali, piegando ai propri interessi la disciplina.
A questo gioco non si è sottratto neppure Marco Travaglio il quale durante il programma di Luca Sommi “Accordi & Disaccordi”, ad un certo punto sale in cattedra e comincia, con indiscussa abilità a sciorinare la sua verità sulla questione palestinese. Ma non una, tante verità. E tra le tante presunte verità, una in particolare suona così stonata da meritare una risposta adeguata.
Secondo il giornalista, una delle verità sarebbe che “nel 1947 l’ONU avrebbe offerto ai palestinesi non solo Gaza e la Cisgiordania, ma molto di più e loro, questi arabi impenitenti, avrebbero rifiutato l’offerta. Quindi la colpa della mancanza dello stato palestinese sarebbe da imputare agli antichi vertici arabi e ai loro stati”.
Dopo aver sciorinato così tanta cultura ed essersela presa con “quei cattivi maestri che proprio in virtù della loro ignoranza spingono oggi migliaia di giovani inconsapevoli a manifestare sentimenti antisemiti”, Travaglio si ritira sornione. Ma la sua presunzione ricorda tanto il dogma del buon capitalista: io sono ricco perché ho risparmiato e sono stato intraprendente; tu invece sei povero perché hai sperperato e non sei stato previdente. Quindi la colpa è tua. Così la lotta contro il colonialismo di insediamento israeliano diventa una guerra contro i mulini a vento e gli aggrediti non hanno che da reclamare contro loro stessi e i propri predecessori.
Ma per stravolgere le certezze di Travaglio non occorre essere “un grande storico”: basta consultare un membro di qualsiasi comitato pro Palestina.
Intanto non si può leggere la storia del 1947 con gli occhi dei giorni d’oggi. In quegli anni il rapporto tra popolazione araba ed ebrea era nettamente a favore dei primi. In Palestina vivevano circa 1,3 milioni di arabi e poco meno di 700 mila ebrei.

Al termine della seconda guerra mondiale si cercò una soluzione per dirimere la questione palestinese con innumerevoli incontri tra le parti e i rappresentanti inglesi. I palestinesi puntavano alla creazione di un unico stato con istituzioni rappresentative alla pari per entrambe le etnie e parità di diritti e partecipazione politica. I sionisti invece si opposero alla proposta di un unico stato e finsero di puntare alla creazione di due stati separati, con il subdolo intento di non mettere mai confini definiti ai loro obiettivi, che erano quelli di prendersi tutta la Palestina e non solo.
L’ONU sotto la spinta degli ebrei decise per la partizione assegnando i territori migliori e più estesi del paese ai neo israeliani e relegando gli arabi nelle zone meno ambite.
Il nascente stato di Israele si prendeva così il 55% della Palestina, il territorio più fertile, le sorgenti d’acqua, i porti sul mare e tutta la zona sud del deserto del Negev, strategico per lo sbocco al canale di Suez, nonostante quel territorio impervio fosse abitato da 27 mila beduini nomadi e da zero ebrei.
Ma la parte più tragica la divisione consisteva nel fatto che avrebbe comportato la deportazione di oltre 750 mila palestinesi dalle loro case per garantire che la popolazione ebraica avesse la maggioranza numerica nei territori loro assegnati dall’ONU. Era un’offerta inaccettabile.
La storiella dei due stati poi è diventata una barzelletta. Ancora oggi viene usata come pretesto per non fare nulla, come dice lo storico ebreo Ilan Pappè: “come un cadavere tenuto in obitorio sotto ghiaccio che viene riesumato e abbellito per farlo vedere a tutti per qualche ora e poi rimesso nel congelatore per essere rispolverato alla occasione successiva”.
Suggeriamo quindi al paladino della legalità, di informarsi meglio. Magari potrebbe scoprire un’altra verità, molto più terribile e aberrante.
A Gaza infatti, ci sono finiti gran parte dei Palestinesi espulsi dalle loro terre proprio nel 1948 durante la Nakba, la catastrofe susseguitasi a quella sciagurata decisione dell’ONU. Dopo le guerre del 1967 che hanno permesso agli israeliani di sottrarre il controllo della striscia agli egiziani, Israele l’ha poi circondata con muro di cemento e filo spinato e sottoposta a un blocco navale illegale che dura tuttora. Gaza è diventata così la più grande prigione a cielo aperto del pianeta.
Il ritiro israeliano da Gaza del 2005 promosso da Sharon, che costrinse 9.000 coloni israeliani a lasciare la striscia, non era un atto di buona volontà o di tentativo di conciliazione. Era in realtà una operazione funzionale solo a un macabro progetto militare: trasformare quel campo di concentramento in un poligono di tiro sugli esseri viventi. Una zona per esperimenti militari simili a quelli tristemente praticati dai nazisti, per testare le diavolerie e gli armamenti di nuova generazione sui gazawi, sotto lo sguardo attento dei piazzisti di armi di ogni paese. Così l’industria militare israeliana oggi può scrivere ammiccante sui propri dépliant pubblicitari “arma già testata sul territorio vivente di Gaza”.
Contrariamente a quello che sostiene il nostro impenitente giornalista, il problema dei palestinesi non è Netanyahu o il governo nazisionista che guida questa pseudo democrazia. Il punto è la superiorità razziale e il colonialismo di insediamento che permea la stragrande maggioranza degli israeliani e che li porta a non tollerare la presenza araba su quello che pensano sia il loro territorio per concessione divina, come scritto nella Bibbia.
Questo piano non terminerà fino a quando la pulizia etnica non sarà portata a compimento indipendentemente da quale serial killer sarà posto alla guida di tale disegno e solo uno stravolgimento delle relazioni internazionali potrebbe portare ad un cambio di direzione.
Ma questo Travaglio non lo dice. Non lo può dire. Scontenterebbe gli amici israeliani che poverini non hanno colpa delle stragi e del genocidio in atto. L’unico colpevole per lui è il cattivo Netanyahu e i gli assassini che sono al governo nella sua coalizione i quali, secondo il direttore del Fatto, farebbero stragi di palestinesi ogni giorno solo per questioni di interesse politico, per preservarsi dalle accuse di corruzione o per qualche voto in più.
Che tristezza la stampa italiana, ma dobbiamo farcene una ragione. Combattiamo pure a testa bassa contro il nemico, ma non abbassiamo mai la guardia: il vampiro colpisce sempre alle spalle e quando decide di morderti il collo i suoi denti sono puliti, il suo sorriso è smagliante e gli occhi accattivanti. Occorre allora fermarlo prima, perché se sentiamo il sangue defluire lentamente dal nostro corpo allora vuol dire che lui ci ha già convinto raccontando, la sua verità: falsa certo, ma sciorinata in modo elegante, deciso, arrogante e strafottente.