Segui i capitali… e spieghi le guerre. Il libro di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli presentato a Parma

di Piermichele (Piero) Pollutri

Si chiama Net Control e definisce il “il valore intrinseco del capitale
controllato seguendo tutti i percorsi diretti e indiretti delle partecipazioni
azionarie”, ovvero un indice di concentrazione della proprietà delle
imprese quotate a livello internazionale. I dati che gli autori,
Brancaccio, Giammetti e Lucarelli fanno scivolare nel testo La Guerra
capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista
(Mimesis 2022), sono inequivocabili, frutto di studi su una moltitudine
di statistiche.

Cercavamo una lettura convincente sulla guerra Russia-Ucraina ma
abbiamo trovato di più. Un metodo di analisi del perché ad un certo
punto le guerre si palesano con il tragico fardello di vite umane e
distruzioni. Hanno una genesi nell’economia, nella finanza, nella
ripartizione della ricchezza, nell’accumulo di capitali, nel precariato che
ne deriva per la classe lavoratrice mondiale. Cercavamo di comprendere
la guerra in Ucraina abbiamo trovato un metodo per comprendere non
solo quella guerra, ma anche le leggi di tendenza del capitalismo
contemporaneo.

Distribuzione nel tempo del net control, grafico tratto da Brancaccio, Giammetti e Lucarelli, La Guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista (Mimesis), p. 122.

Stefano Lucarelli, uno degli autori, docente di Politica Economica
all’Università di Bergamo, in una partecipata assemblea organizzata nei giorni scorsi da Potere al Popolo al Circolo Aquila Longhi di Parma, ha spiegato come la ricchezza mondiale sia di fatto concentrata
nelle mani di un nucleo ristrettissimo di investitori. In particolare, a
titolo di esempio, nel 2016 l’80% del valore del mercato azionario
globale era controllato dall’1% degli azionisti, e questa quota si era in
precedenza ridotta del 25% a partire dal 2001, con un’accelerazione a
partire dal 2006. Una ristretta élite economico-finanziaria gestisce, dispone, controlla capitali enormi, aziende, interessi che orientano le
politiche economiche degli Stati.

Net control e centralizzazione capitalistica nelle principali economie extra-europee, grafico tratto da Brancaccio, Giammetti e Lucarelli, La Guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista (Mimesis), p. 133.

Tra questi troviamo Vanguard, BlackRock e Fidelity, ovvero le maggiori
società di investimento statunitensi (Asset Management Firms – Amf)
che creano fondi di investimento che acquisiscono partecipazioni in altre
società. Delle prime venti al mondo quindici sono a guida Usa, due
francesi, una tedesca, una svizzera e una Regno Unito, secondo il
Thinking Ahead di Wtw Investments e Ipe. I dati sono gli ultimi
disponibili al 31 dicembre 2021. Le quote di questi fondi sono collocate
presso i sottoscrittori dei fondi stessi, che possono essere individui più o
meno ricchi o investitori istituzionali (fondi pensione, hedge funds,
compagnie di assicurazioni, banche etc.). Le Amf non gestiscono solo
pacchetti azionari in proprio ma soprattutto per conto dei loro clienti
ovvero svolgono attività di intermediazione che può essere assimilata
all’attività bancaria. Non proprietà “giuridica” quindi del pacchetto di
azioni, ma controllo de facto.
Le Amf sono spesso associate al cosiddetto sistema bancario ombra,
shadow banking system, ovvero all’insieme di entità che svolgono
funzioni bancarie pur non essendo banche ed escono rafforzate sul
mercato implementando il loro indice di concentrazione: una vera
abbuffata di potere, finanza, capitali tutti a disposizione della loro tavola
apparecchiata per pochi posti. BlackRock, il maggiore fondo mondiale di
gestione patrimoniale – con circa 10 trilioni (migliaia di miliardi) di fondi
gestiti – che è anche uno dei maggiori azionisti delle grandi
corporations Usa e Ue, è praticamente presente ovunque anche quando
non è “visibile”, un centinaio di uffici in 35 paesi e in Italia gestisce 102
miliardi di euro per clienti nostrani, tanto da prendere l’appellativo di
wi-fi, invisibile ma presente.

Lucarelli ha spiegato la differenza tra concentrazione e centralizzazione
dei capitali basandosi su una rilettura di alcuni passi de Il Capitale di
Karl Marx. Ne La guerra capitalista si riprende criticamente anche la
riflessione di Rudolf Hilferding, economista, politico e medico tedesco di
origine austriaca, ministro delle finanze della Repubblica di Weimar. Per
comprendere appieno l’importanza delle sue riflessioni vale la pena
ricordare che Il capitale finanziario, uno dei suoi testi più importanti,
influenzò Lenin nella scrittura di Imperialismo, fase suprema del
capitalismo.
Rileggiamo la sinossi del libro di Hilferding Il capitale finanziario con
l’introduzione di E. Brancaccio e L. Cavallaro: «La caratteristica del
capitalismo moderno è data da quei processi di concentrazione che si
manifestano nel superamento della libera concorrenza e nel rapporto
sempre più stretto tra capitale bancario e capitale industriale, in virtù
del quale il capitale assume la forma di capitale finanziario».
Un secolo fa, il testo è del 1923, con audacia rivelatrice, riassumeva il
potere della finanza sulla totalità dei processi sociali.
Nel testo, Lucarelli, Brancaccio e Giammetti, sottolineano come la
competizione capitalistica ha come esito una concentrazione che genera
vincitori e vinti. L’aspirazione a nuove produzioni, nuovi mercati, nuovi
sbocchi crea una forza lavoro sempre più atomizzata e precarizzata: è
la lotta per la concorrenza in cui i capitali più grossi avranno la meglio
sui capitali più piccoli con la trasformazione di molti capitali minori in
pochi capitali più grossi.
La centralizzazione del capitale è la competizione tra capitalisti per la
conquista dei mercati da dove vittoriosa esce un’oligarchia che non ha
bisogno di imporre una proprietà formale sui capitali. Basta la gestione
di questi, l’orientamento, la disponibilità intrinseca. Nasce il paradosso
dei paradossi in cui «il capitalismo nega la proprietà privata» e usa
quest’ultima per liquidare la «libera concorrenza». Siamo
incredibilmente di fronte ad un “comunismo dei capitali, della finanza”,
un comunismo dei finanzieri, loro sì lo hanno di fatto realizzato
attraverso l’uscita dal mercato dei capitali più deboli; oppure tramite
liquidazione, acquisizione o fusione aziendale, che implicano
cambiamenti nel diritto di proprietà; oppure quando la proprietà
formale del capitale resta frammentata ma il controllo si concentra in
poche mani. Questo avviene anche quando il capitale è disperso tra
migliaia di azionisti che di fatto detengono piccole o irrilevanti quote
azionarie, ma la gestione è affidata ai vertici di società per azioni,
banche e società di investimento.
Nella competizione vincitori-vinti potrebbe riecheggiare, come da ultimo
accaduto nel post-covid, la teoria economica di Schumpeter e in
particolare la “distruzione creatrice” del libero mercato di aziende e
contesti produttivi “zombie”. I vincitori virtuosi saranno sul mercato gli
altri spazzati via.

In un precedente articolo, lo stesso Lucarelli argomentando su
Schumpeter a proposito del testo “Capitalismo, socialismo e
democrazia” osserva che le dinamiche innovative si basano solo in parte
sulle idee degli imprenditori e sugli altri indicatori nella dinamica
concorrenziale. Da soli gli imprenditori non riuscirebbero mai ad
industrializzare le proprie invenzioni, ma hanno bisogno dell’accesso al
credito, dell’accesso a capitali e denari di investimento. Dalle riflessione
esposte si potrebbe già rispondere al quesito immediato su chi dispone
dei capitali da dare a credito. Il net control può rispondere su chi muove
le leve dei capitali, il flusso. Nelle grandi istituzioni internazionali che
gestiscono le sorti del credito, il meccanismo delle porte girevoli spesso
assicura una continuità di vedute sul meccanismo dell’accesso al
credito. Draghi è stato advisor, managing director e vicepresidente di
Goldman Sachs (2002-2005), prima dei diversi prestigiosi incarichi
politici nella Bce in primis, ci ricorda lo stesso Sole 24 Ore, giornale con
poche simpatie marxiste.
Gli effetti della centralizzazione dei capitali sul terreno geopolitico si
realizzano, quindi, attraverso l’acquisizione delle imprese debitrici da
parte di quelle creditrici. Centralizzazione dei capitali e gestione del
costo del denaro danno vita ad una nuova geografia economica che ci
pone in un’altra era economica successiva alla spartizione dei due
grandi blocchi usciti dalla seconda guerra mondiale, al riequilibrio del
dopo muro di Berlino e alla rimessa in discussione della globalizzazione
liberista.
A differenza di Hilferding (e di Schumpeter) l’analisi della
centralizzazione di Brancaccio, Lucarelli e Giammetti non conduce ad un
equilibrio in cui tutti i capitali sono concentrati e controllati da una
grande società, o per dirla con Hilferding, da una Grande Banca. La
creazione di un sistema di Banche Centrali unificate porterebbe,
sostiene Hilferding ad una naturale formazione di un cartello generale
delle imprese che regolerebbe la produzione.
Per gli autori, invece, la centralizzazione conduce ad una polarizzazione
fra debitori e creditori in cui i creditori vanno all’assalto dei debitori.
Quando questo avviene, quando i creditori iniziano a riciclare i loro
surplus per controllare le corporation di cui sono proprietari i debitori,
ecco emergere la reazione protezionistica dei debitori (primi fra questi
gli USA) che può sfociare in un conflitto fra imperialismi. Tra le misure
protezionistiche c’è il “friend-shoring”, come ribadiscono gli autori, un
termine gentile per avvisare che da ora in poi “noi occidentali faremo
affari solo con i nostri amici” per tenere alla larga gli altri (i creditori
orientali) che fanno evidentemente paura. Questi ultimi non restano a
guardare e a subire le opzioni protezionistiche, ma innescano la
reazione imperialista che può condurre alla guerra.
A livello internazionale la Cina, le economie emergenti e la Russia si
sono sempre di più attestate come Stati-creditori rispetto in primo
luogo agli Usa che importa più di quello che esporta. Così Usa e Regno
Unito, ma non solo, diventano i grandi debitori. Gli Usa hanno delocalizzato e utilizzato forza-lavoro a costo molto basso dai paesi in
via di sviluppo (soprattutto dopo l’entrata della Cina nel Wto all’inizio
del nuovo millennio) ma l’emergere di economie come quella cinese ha
rallentato il potere statunitense. La Cina non si è infatti limitata al ruolo
di fornitore di manufatti e componentistica a basso contenuto
tecnologico che i paesi occidentali avevano per lei stabilito.
La guerra tra Ucraina e Russia va letta in questo nuovo scenario di
contesa tra questi due blocchi in competizione. Una conseguenza delle
leggi tendenziali che gli autori ci restituiscono con tanto di analisi
econometriche.
Per concludere possiamo solo citare una curiosità che gli autori
sottolineano nel primo capitolo: tra il gennaio 2008 e il dicembre 2021,
sul “Financial Times”, Marx è stato evocato ben 2.644 volte e la parola
“marxismo” è apparsa ben 1.717 volte. Può sembrare strano ma non lo
è, almeno per i padroni del mondo che sanno leggere, interpretando al
contrario e per i loro interessi, il pensiero del filosofo di Treviri. Non
stentiamo a credere che tra i lettori troviamo analisti e stakeholder di
quel network di relazioni finanziarie e di condizioni di liquidità proposto
attraverso l’analisi del net control.