di William Gambetta
Per il Comune di Parma si avvicinano le elezioni amministrative e dopo lunghe (e travagliate) riunioni escono le prime candidature a sindaco e le liste a loro sostegno. Secondo alcuni osservatori delle dinamiche politiche locali, a dire il vero, ne emergono fin troppe. Troppi nomi. Troppi partiti… Troppa frammentazione. A loro dire, insomma, servirebbe una maggiore disposizione all’unità da parte dei diversi protagonisti del quadro politico. I personalismi e le rigidezze di partito sarebbero le cause principali di tutti i mali della democrazia, a danno del “bene collettivo”. Istintivamente, irrazionalmente, verrebbe da aderire a queste valutazioni. Se il quadro delle scelte fosse semplificato a due, tre, quattro candidati al massimo, magari con un paio di liste per ogni aspirante sindaco, anche la nostra scelta di cittadini potrebbe essere più lineare, meno tormentata, meno impegnativa. Eppure c’è qualcosa che non quadra…
Innanzitutto in questa concezione del “sistema democratico”, puramente limitato all’aspetto elettorale, i cittadini sono concepiti in un ruolo di semplici (passivi) spettatori, il cui compito è scegliere solo il proprio attore preferito. Lo spettacolo a cui assistono è infatti composto da pochissimi interpreti di idee e interessi collettivi. Una concezione in cui i meccanismi del potere popolare sono definiti solo ed esclusivamente dal voto, sulla base di una preselezione di candidati e programmi compiuta da una minoranza di attivisti e dirigenti. Secondo questa idea di democrazia, in sintesi, ai cittadini sarebbe riconosciuto il diritto (e dovere) di commentare (e mugugnare) le scelte del “mondo della politica”, fino al rito del voto, con la segnatura della scheda elettorale, ma prendendo atto che essi non ne sono i veri protagonisti. E allora via ai commenti sui social o al bar contro coloro che prendono le decisioni. Contro i “politici”, i veri attori della politica, spregiudicati, incapaci, egocentrici… Giudicati diversi e lontani dalle reali e urgenti esigenze della società civile. Ovviamente è questo un immaginario irreale e consolatorio che permette, tuttavia, di spiegare ogni elemento di crisi democratica con il fastidioso brontolio dell’indolenza.
Non mi sto solo riferendo agli ambienti del qualunquismo di destra o a quelli, ben più vasti, dell’individualismo menefreghista, ma anche ad alcuni colti e dai lavori intellettuali, come docenti, pubblicisti, artisti ecc., che si informano su come va il mondo, che si interessano delle dinamiche della polis, che ne analizzano difetti e pregi, che sanno bene che la democrazia funziona se il “popolo”ne è il soggetto attivo.
Anche nella sinistra alternativa circola questa visione, insieme alla critica per le tante, troppe, candidature a sinistra dell’alleanza Effetto Parma-Partito Democratico. Così si punta facilmente il dito contro il protagonismo incontrollato di questo o quel candidato, di questo o quel gruppo politico. Si denuncia una presunta vocazione suicida di quest’area, incapace di ricompattarsi, di trovare mediazioni e punti di accordo, anche solo in vista delle elezioni comunali. Leggendo alcuni post sui social, secondo questo vociare, a impedire l’unità a sinistra sarebbero state le piccole gelosie di partito, l’autocompiacimento di alcune figure o addirittura la “naturale” predisposizione alle scissioni interne.
Anche in questo caso qualcosa non mi torna. Certo personalismi e rivalità possono essere sempre presenti, ma quando candidati e liste – tutti i candidati e tutte le liste, compresi quelli della sinistra alternativa – si espongono sull’arena della scena elettorale lo fanno sulla base di spinte e incoraggiamenti di precisi settori della società. Essi tentano di esserne la voce, di portarne istanze e aspettative sul piano della rappresentanza istituzionale. A mio avviso sarebbe più utile tentare di analizzare le molteplici candidature alla luce di questo legame con le differenti pulsioni della società civile.
Proviamo ad esempio a indagare quali potrebbero essere gli ambienti che supportano questo o quel candidato a sinistra del centrosinistra. Un’area politica che sul piano della rappresentanza delle richieste sociali si mostra più eterogenea di quello che si è soliti pensare.
Per quanto riguarda Michela Canova, avvocata ed ex sindaca di Colorno, “delusa” dalla decisione del PD di allearsi con il partito di Federico Pizzarotti , mi sembra piuttosto evidente non solo la volontà di intercettare gli scontenti del PD (lo stesso nome della lista che la sostiene, Parma Democratica, è piuttosto chiaro) ma il tentativo di esprimere gli interessi di alcuni ambienti della borghesia delle professioni. La figura di Carlo Quintelli, architetto, docente universitario e presidente dell’associazione Partecipa – Città Democratica, dalla quale è nata la lista elettorale, è emblematica. Come sono significativi alcuni passaggi nelle sue prime dichiarazioni, ad esempio l’«approccio manageriale nella gestione della cura di tutti i quartieri della città», o la «sburocratizzazione della macchina comunale», o ancora un occhio di riguardo per la «nuova imprenditoria». Alla luce di queste inclinazioni, sono più comprensibili le dichiarazioni di questa candidata a parlare anche «agli elettori del centrodestra».
Più facile è definire la candidatura di Europa Verde, con Enrico Ottolini, biologo e ambientalista. I riferimenti nelle sue dichiarazioni alle «istanze ecologiste» sono l’asse principale sul quale si costruisce la proposta. Una richiesta di ambientalismo, a suo dire, avvertito «sempre più dai cittadini, dalle organizzazioni sociali e dalle imprese» (il corsivo è nostro). In questo caso, al di là della netta opposizione ad alcuni progetti come l’aeroporto Cargo, la Tibre o l’Emilia bis, l’elettorato è generico ma la strizzatina d’occhio all’imprenditoria “verde”, alla green economy, è interessante. Si cercano i voti di tutti i cittadini, indistintamente, ma quelli di questo mondo in particolare. Così il riferimento alla «giustizia sociale» – alla quale pur si accenna – sembra più un orpello che non un asse programmatico.
Anche per il profilo di Roberta Roberti, insegnante delle scuole superiori e consigliera comunale di opposizione, le cose sono piuttosto chiare. Le sue dichiarazioni, come quelle di Parma Città Pubblica, la lista che la sostiene, fanno riferimento al mondo dei comitati civici che si sono opposti negli ultimi anni a questo o quel progetto della giunta di Pizzarotti, da alcuni esponenti del Comitato No Cargo ad altri contro il nuovo Stadio o il restyling della Cittadella. Anche in questo caso il minimo comune denominatore è l’attivismo dei comitati più che una visione d’insieme determinata da riferimenti a settori sociali definiti, tanto che lo slogan principale è quello della «politica della cura», del «prendersi cura della città». In modo evasivo, e affidandosi al carisma della candidata, si parla a tutti i cittadini, al di là della loro estrazione sociale, poiché definire alcune questioni potrebbe essere deflagrante per la lista.
E infine vi è la candidatura di Andrea Bui, educatore nel mondo della cooperazione sociale e operatore culturale. A sostenerlo sono le liste di una sinistra alternativa più definita, come Potere al Popolo . Qui la connotazione sociale a favore dei ceti popolari è più precisa e non si nasconde dietro una generica cittadinanza ma esplicita i diversi (ed opposti) interessi che emergono nella società: il diritto alla casa contro i profitti delle grandi proprietà immobiliari, il piccolo commercio di vicinato contro gli interessi legati a vasti centri commerciali, un piano di investimenti pubblici contro gli appalti privati dei servizi sociali, la valorizzazione delle periferie urbane contro il centro storico come vetrina di consumo ecc. Liste e candidato, qui, mettono al centro del programma i problemi della redistribuzione della ricchezza anche attraverso l’attività dell’amministrazione municipale.
Dietro le tante candidature, dunque, non vi sono solo personalismi ma idee di città e programmi discordanti a seconda delle aspettative di questo o quel settore sociale. La possibilità di unire queste diverse candidature, dunque, passa innanzitutto attraverso la ricomposizione di bisogni e interessi diversi. Tuttavia – per quanto mi riguarda – penso anche che questa alleanza non possa prescindere dal costruirsi a partire dalle urgenti necessità dei ceti più deboli, il mondo delle nuove povertà, giovani disoccupati, lavoratori precari, cittadini senza cittadinanza, pensioni minime…