di Marco Severo
L’insegnante precario, esemplare tra i più significativi della categoria dei disagiati dei tempi nostri, sta vivendo giorni di segreto tormento. Motivo: l’incertezza circa le modalità di svolgimento del prossimo concorso straordinario per insegnanti di ruolo, previsto dal ministero della Pubblica istruzione con il decreto legge 126/19 convertito nella legge 159/19. A sentire infatti le dichiarazioni inflessibili del Miur – «non saranno rese note in anticipo le domande del prossimo concorso straordinario», «conteranno più i risultati della prova che gli anni di servizio» ecc. – capita sovente che l’insegnante precario cada in uno stato di smarrimento, o di inquieta dubbiosità.
Soprattutto, l’insegnante precario appare intimidito dalle dichiarazioni della nuova ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, autentico suo feticcio, personificazione delle sue eterne insicurezze, specialmente quando la ministra afferma con risolutezza, come fa spesso ultimamente, che «il concorso straordinario non potrà essere una sanatoria», e che «la prova è volta ad accertare il possesso da parte dei candidati di specifiche competenze».
Ciononostante, l’insegnante precario non lascia trasparire lo smarrimento. Piuttosto si arrabbia, invoca il riconoscimento dei propri diritti, si appella al ruolo dei sindacati. Insomma si mostra deciso. Per quale ragione un concorso con risposte a crocette, com’è quello in questione, dovrebbe valere più degli anni di servizio in cattedra?
E poi, ormai, sembrava fatta. Frutto di un accordo raggiunto fra i sindacati e l’allora ministro Marco Bussetti, confermato poi dal successore Lorenzo Fioramonti, il concorso straordinario – insieme a un concorso ordinario, che verrà bandito contestualmente entro il 30 aprile – avrebbe dovuto essere attuato dalla ministra Azzolina sulla base delle intese precedenti. Tutto abbastanza semplice.
Ma è a questo punto che, in questi giorni di irresolubile tormento, torna alla mente dell’insegnante precario una celebre scena di Superfantozzi. C’è Fantozzi che vive nel Medioevo, è povero, sta seduto sui marciapiedi e chiede l’elemosina. All’improvviso sopraggiunge Robin Hood, che elargisce allo sventurato un sacco pieno di monete d’oro pronunciando la celebre battuta: «Sono Robin Hood, rubo ai ricchi per dare ai poveri!». Fantozzi corre dalla moglie Pina incredulo urlando: «Pina siamo ricchi, siamo ricchi!». A quel punto riecco Robin Hood, che con spietata coerenza pronuncia di nuovo la sua battuta: «Sono Robin Hood, rubo ai ricchi per dare ai poveri!». Quindi ritira il sacco di monete d’oro dalle mani dell’ex ricco. Fantozzi, affranto, conclude: «Neanche venti minuti!».
È capitato infatti che i sindacati della scuola abbiano indetto, all’unanimità, uno sciopero del personale precario per il prossimo 6 marzo (poi annullato per via dell’emergenza Coronavirus, ). C’è stata cioè una clamorosa rottura fra le sigle di rappresentanza e il Miur. Secondo Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, infatti, il confronto con il ministero avrebbe dovuto portare a un riconoscimento del requisito della professionalità acquisita dagli insegnanti supplenti. Cosa che al contrario l’attuale bozza del bando del concorso escluderebbe. In pratica la ministra Azzolina avrebbe optato per un sistema di valutazione che assegna un peso maggiore all’esito del concorso anziché – come volevano i sindacati – agli anni trascorsi in cattedra (che devono essere almeno tre per poter accedere alla selezione).
Inoltre «è stato disatteso – scrivono le sigle di rappresentanza – quanto previsto nell’Intesa del 24 aprile 2019 con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nella quale si condivideva l’esigenza di individuare “le più adeguate e semplificate modalità per agevolare l’immissione in ruolo del personale docente che abbia una pregressa esperienza di servizio pari ad almeno 36 mesi”». Dove tra «le più adeguate e semplificate modalità» sarebbe dovuta rientrare anche la pubblicazione di una banca dati contenente le domande del concorso. Cioè i quesiti d’esame mostrati in anticipo.
Considerato che il concorso straordinario verterà su un’unica prova scritta con domande a risposta multipla, insomma un quiz a crocette – diversamente dalla selezione a procedura ordinaria che prevederà due prove scritte e un colloquio orale preceduti da un test preselettivo -, la ministra Azzolina ha fatto sapere che non pubblicherà alcuna banca dati. Niente domande in anticipo. Sarebbe troppo facile. Il concorso non deve essere una sanatoria, un “dentro tutti” in stile saldi invernali. Viceversa devono essere testate le reali competenze dei candidati.
La reazione istintiva dell’insegnante precario, a questo punto, è prevedibile. Competenze? Quali competenze? Al massimo con un test a crocette si misurano le abilità e qualche conoscenza del candidato. Mica il suo sapere di operatore dell’educazione, o il suo talento per la formazione di esseri umani, eccetera. Ovvero, inutile nasconderlo: il concorso straordinario è stato ideato ed è stato strutturalmente composto come un “dentro tutti”, sorta di promozione Poltronesofà della scuola pubblica. È lampante. Dunque tanto varrebbe avere le domande pubblicate in anticipo. Perlomeno i candidati otterrebbero l’opportunità di prepararsi su nozioni e concetti ben definiti.
Idem per la questione degli anni di servizio. Da anni lo Stato italiano a settembre apre le porte del precariato di terza fascia, quello dei supplenti annuali. Stipula contratti che poi a giugno interrompe per rifare tutto da capo l’autunno successivo. E così a giro. L’importanza di quei contratti ha un valore assoluto non solo per migliaia di lavoratori ma anche per centinaia di migliaia di studenti e famiglie italiane, che vedono così garantito il diritto all’istruzione. Pertanto davvero a quel servizio andrebbe reso merito facendone il principale requisito per la valutazione di un aspirante insegnante di ruolo.
Ma – attenzione – è proprio qui che l’insegnante precario, campione dell’era del disagio dove nulla è ciò che sembra, avverte quel senso di profondo smarrimento che muta velocemente in inquieta dubbiosità. Nel disappunto per la miopia della politica egli distingue un sentimento incongruo, sente una corrente fredda che contrasta le vampate di irritazione. Qualcosa lo tormenta. È una domanda indicibile. E se la ministra Azzolina non avesse tutti i torti? E se il Miur fosse depositario di una necessità di più ampio raggio? Cioè, calma. Non è che il Miur abbia proprio ragione. L’obbrobrio di un concorso che vorrebbe dare alla scuola italiana prof affidabili attraverso un quiz resta appunto un obbrobrio. Le domande pubblicate in anticipo rappresenterebbero, comunque, un aiuto. E però. Siamo sicuri che esse costituirebbero una vera discriminante? Cosa cambierebbe sapere prima del tempo se al quiz mi chiederanno il cognitivismo di Jean Piaget oppure la teoria comportamentale di Ivan Pavlov? La data di composizione dell’Infinito oppure l’anno del trattato di Campoformio? È pur sempre un test a crocette!
Più lacerante poi la riflessione sui tre anni, minimo, di insegnamento. In questo caso, il servizio è stato prestato senz’altro con professionalità, abnegazione, infinta passione dalla maggior parte dei docenti. Per milletrecento euro in busta paga l’insegnante precario è disposto persino con il sorriso ad accettare qualsiasi destinazione, a coprire i famosi posti vacanti ovunque questi si trovino, fuori regione, fuori provincia, nelle aree disagiate di cui l’Italia è piena (anche se fingiamo di ignorarlo: vivono sull’Appennino più di 13 milioni di italiani!). L’insegnante precario spesso si abbarbica alla sua cattedra come un naufrago sulla sua zattera pur di non annegare nel nulla dell’offerta occupazionale. Gli alunni lo apprezzano, le famiglie – magari non tutte – pure.
Ma non sempre va così. È inevitabile, fosse anche per un calcolo statistico, che nella moltitudine dei prof di terza fascia sia compresa ogni anno anche una percentuale di insegnanti non proprio vocati alla professione, magari non adeguati o semplicemente – più probabilmente – non abbastanza formati, per niente aiutati, affatto abilitati. Docenti che, quei tre anni (almeno) di servizio, li hanno svolti non al meglio, con danno per sé, per gli alunni e per il loro futuro. Sono abbastanza bravo? Mi aiutano a migliorare? Non potrei avere del tempo per studiare e per formarmi? L’insegnante precario, nei suoi passaggi di tormento esistenziale, se lo chiede spesso. Messa in questi termini, pertanto, siamo certi che il requisito degli anni di servizio siano sufficienti – come richiesto dai sindacati – per soppesare la qualità del candidato al concorso straordinario? Se per un attimo il prof precario prova a calarsi nei panni di un genitore e dunque assume la prospettiva del ministero, il quale deve pur garantire tutti, lavoratori e alunni, egli in effetti sarà percorso dalla scossa del dubbio.
La risposta al prof tormentato, certo, è bella che pronta. «Ma che te ne frega?». Insomma, prendi e porta a casa. I sindacati vogliono le domande in anticipo e gli anni di servizio, ebbene aderisci alle loro richieste e non rosolarti nelle tue indecisioni. Stai sereno. Abbasso la ministra Azzolina.
Ma l’insegnante precario è precario non per niente. Sa di essere quel Fantozzi medioevale al quale per un istante qualcuno ha fatto balenare l’ipotesi d’essere finalmente giunti al pari e patta col destino (il concorso Poltronesofà). E che diamine. Dopo tante sfighe, lavori di merda, anni di angherie subite, ora la sorte restituisce qualcosa, e questo qualcosa è un concorsone facilitato. Alé.
Poi però arrivano le paroline ficcanti della ministra. «Valgono le competenze!»; «no alle domande in anticipo!». La Robin Hood del ministero, ecco. Motivo per cui la ministra appare agli occhi del supplente annuale come una personificazione delle sue titubanze e insicurezze. Del cortocircuito delle sue idee. A ben pensarci, anzi, la vera Robin Hood non è la Azzolina. Poiché infatti il disagiato senza cattedra suppone che la soluzione al precariato nella scuola non stia nel concorso-sanatoria – e lo suppongono anche i sindacati che tra le richieste al Miur hanno inserito la questione dell’abilitazione strutturale -, ecco, il prof disagiato si pone il problema. E dubita. Il vero Robin Hood è quella vocina che sente dentro di sé. Sente la scissione dell’io come vera cifra del suo precariato. Vorrebbe rallegrarsi per il concorso straordinario ma sente che qualcosa non quadra. Il precariato, in fondo, non è avere un contratto a tempo determinato. È il non sapere più cosa pensare. «Pina siamo ricchi!». No, non lo siamo più. E, in definitiva, non avere neppure la libertà piena e spensierata di incazzarsi.