La redazione
A sfilare da piazza Santa Croce, lungo via D’Azeglio e via Mazzini fino a piazza Garibaldi, ieri sera erano in tanti: uomini e donne, di ogni età, dai giovanissimi – che avevamo già visto negli scioperi del Fridays for future – a persone anziane, da studenti a pensionati. E tanti lavoratori, di ogni settore. Erano in centinaia, forse più di un migliaio, nel corteo che si è tenuto ieri, alle 19, per protestare contro l’attacco della Turchia di Erdogan e per sostenere la resistenza curda in Rojava: una manifestazione imponente. A circondare gli attivisti della sinistra alternativa e i molti animatori di associazioni, collettivi di base, organizzazioni sindacali e partiti, c’erano soprattutto “persone comuni”, senza particolari ruoli politici o istituzionali. Persone che hanno sentito il bisogno di scendere in strada per esprimere la propria solidarietà al popolo curdo e alle sue formazioni combattenti, traditi dalla logica perversa e immorale dei potenti della terra.
Ecco, se dovessimo raccontare qual era lo spirito del corteo di ieri sera a Parma – e probabilmente di tanti altri che hanno animato altre città in questi giorni – dovremmo scrivere della rabbia per un’arrogante e ingiustificata aggressione verso un popolo che non solo da decenni rivendica e combatte per la sovranità sulla propria terra ma che, nella guerra contro il califfato dell’Isis, ha versato un altissimo tributo di forze e morti (anche per la difesa di quei tanto decantati valori delle “democrazie” occidentali).
Molti interventi si sono alternati nel corso della manifestazione. Tra questi segnaliamo anche quello del sindaco di Berceto, Luigi Lucchi, che ad aprile ha voluto intitolare la biblioteca di Ghiare a Lorenzo Orsetti, il combattente volontario fiorentino ucciso dall’Isis in Siria. E dieci giorni fa, prima dell’aggressione turca, lo stesso Lucchi ha concesso la cittadinanza onoraria ad Abdullah Ocalan, il leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan, detenuto da vent’anni nelle prigioni turche.
Un corteo intenso, dunque, asciutto e senza retorica. Un corteo che ha tentato di spingere la solidarietà oltre lo scandalo per i bombardamenti e le violenze di Erdogan. Ne è una prova lo slogan di convocazione dell’appuntamento di ieri sera, condiviso da tutti gli organizzatori: “Ovunque Resistenza, ovunque Rojava!”. Parole d’ordine che indicano la sperimentazione di autogoverno dei curdi, estremamente avanzata tanto sul piano della liberazione della donna quanto su quello dei diritti, come esempio da seguire ed estendere.