di William Gambetta
Come di consueto, il 5 agosto scorso, davanti al Monumento alle Barricate di Parma, in piazzale Rondani a Parma, si è svolta la commemorazione a ricordo della rivolta popolare antifascista del 1922. Organizzata dalla Camera del lavoro della CGIL di Parma, in collaborazione con le associazioni partigiane e antifasciste, il Comune e la Provincia, tra i diversi interventi anche quello di William Gambetta del Centro studi movimenti, che pubblichiamo di seguito (ndr).
È quella di oggi un’altra occasione per poter riflettere sui fatti di Parma dell’agosto 1922. Lo vorrei fare non attraverso gli occhi del passato, da un punto di vista storico (chi è qui oggi sa bene cosa successe in quelle straordinarie giornate di 102 anni fa e dunque non penso ci sia bisogno di raccontarlo), quanto con gli occhi del presente.
“Commemorare” non significa solo ricordare il passato, né significa “imparare” dal passato. Non credo che la Storia sia “maestra di vita”. Non credo sia insegnamento per non ripetere errori del passato o per confermarne virtù. “Commemorare” significa ricordare il passato pubblicamente, per poter affrontare collettivamente, come comunità, gli ostacoli, i pericoli, le contraddizioni del presente con maggior consapevolezza. E di fatti, nelle commemorazioni, del passato scegliamo gli eventi e i protagonisti che riteniamo possano esserci utili per affrontare l’attualità. Pensiamo insomma che non tutte le vicende del passato né tutte le sue figure siano degne dei riti della commemorazione pubblica. Alcune lo sono state per un certo periodo e poi sono risultate inservibili. Altre sono state rimosse per lunghi anni per poi riemergere in un nuovo presente. È quello che successe alle Barricate di Parma, quando nel corso del ventennio fascista il regime fece di tutto per ridimensionarne la memoria collettiva.
Se ci troviamo dopo oltre un secolo a ricordarle significa dunque che continuiamo a pensare, come i nostri padri prima di noi, e i nostri nonni prima di loro, che quei fatti possano dirci ancora qualcosa. E per le Barricate sappiamo anche, perché ne abbiamo avuto numerose prove nel centenario del 2022, che è uno degli eventi del passato al quale la città tiene maggiormente. E per città intendo certo le sue istituzioni rappresentative ma soprattutto la sua società civile, con le sue variegate istanze, le associazioni democratiche, le organizzazioni sindacali, i centri culturali, il variegato mondo dei movimenti e così via… Evidentemente nelle Barricate un pezzo importante della città continua a identificarsi e a trovarvi valori etici e riferimenti politici.
Ciò è curioso perché, da un punto di vista storico, l’agosto di Parma del 1922 è un episodio limitato nel tempo e nello spazio, qualche giorno in una città di provincia di circa 60 mila abitanti. Ed è un evento che non modifica il corso della storia nazionale… (Quella cittadina sì, profondamente, i ceti popolari ricorderanno quelle giornate con orgoglio e fierezza, segnando profondamente i loro riferimenti culturali e le loro successive azioni politiche). Ma per la storia italiana le Barricate nulla cambiarono. In quei giorni ciò che avvenne a Parma, come in qualche altra città (penso a Bari), dove i lavoratori cercarono di resistere alle aggressioni fasciste, venne registrato come un’anomalia in un contesto nel quale la brutale onda nera fu padrona del campo.
E tuttavia le Barricate divennero di lì a qualche anno un episodio sul quale riflettere per gran parte delle forze antifasciste perché la Parma popolare aveva vinto quell’onda nera. È questo che noi commemoriamo nelle Barricate: quella anomalia, quella vittoria verso una forza reazionaria che sembrava invincibile. È questo che per oltre un secolo si è commemorato.
Nel corso del tempo quel ricordo ha assunto forme e interpretazioni diverse a seconda di quale interpretazione si dava delle ragioni di quella vittoria: l’unità del popolo, la risposta armata al fascismo, il ruolo delle organizzazioni politiche e sindacali, la radicalità della ribellione, l’intelligenza politica di alcuni suoi protagonisti (Guido Picelli ma non solo), ecc. E ovviamente le diverse interpretazioni erano determinate dalla necessità di chi le promuoveva e dai differenti contesti storici che ricordavano quel passato. Uno stesso passato letto in forme diverse.
Ciò avvenne fin dall’inizio, fin dagli anni del regime fascista, quando ricordare pubblicamente quei fatti era vietato. Anche allora fu inevitabile parlarne… Lo fecero gli stessi gerarchi della dittatura, poiché in qualche modo dovevano giustificare la loro sconfitta… e lo fecero deformandone i fatti. Scrissero ‒ come fece Italo Balbo nel suo Diario 1922 ‒ che i fascisti vinsero anche ritirandosi senza conquistare i rioni ribelli dell’Oltretorrente e del Naviglio, poiché la loro azione era finalizzata a ristabilire i poteri sulla città, delegittimando il prefetto e dando l’appoggio ai comandi militari. Scrissero addirittura ‒ come fece Giuseppe Stefanini nella sua Cronistoria del fascismo parmense ‒ che avrebbero potuto invadere e distruggere i quartieri popolari ma lo scrupolo di uccidere donne e bambini li trattenne. Scrissero insomma una stupidaggine dietro l’altra pur di ridimensionare quella cocente sconfitta. E anche oggi, a cento anni di distanza, i loro epigoni continuano a pubblicare libercoli dello stesso tono, tirando in ballo le logge massoniche, D’Annunzio e altre corbellerie.
Nei giorni della Liberazione e della Repubblica la memoria delle Barricate rinacque. Vi si vide le radici del nuovo presente democratico, del ruolo dei partiti antifascisti e delle organizzazioni del movimento dei lavoratori. Quelle giornate d’agosto di lotta armata agli squadristi si lessero come l’anticipazione della Resistenza e le squadre degli Arditi del popolo come le formazioni partigiane. Non era così. Si trattava di una lettura deformante. Le Barricate furono il frutto del primo dopoguerra e del violento scontro tra lavoratori e padroni del “biennio rosso”, il 1919-1920, in un contesto determinato dalla Rivoluzione d’Ottobre, dalla parola d’ordine del “fare come in Russia”, mentre la Resistenza partigiana del 1943-1945 si collocava all’interno della seconda guerra mondiale, dell’occupazione nazista e del collaborazionismo fascista. Eppure per molto tempo le Barricate si prestarono a valorizzare l’unità del popolo contro le ideologie e le forze più reazionarie e retrograde e a dare nuovo impulso alle spinte progressiste del movimento operaio e democratico.
E oggi? Cosa commemoriamo nelle Barricate? Come le interpretiamo? Cosa cerchiamo in quei fatti per rinforzare la nostra analisi e la nostra azione politica? Rispondere a queste domande è fondamentale se non vogliamo cadere nella retorica vuota e inutile. A più di un secolo di distanza la nostra società è infatti profondamente mutata, così come è cambiato il sistema politico e i riferimenti teorici e culturali…
Eppure nelle Barricate si può trovare ben più dell’orgoglio delle proprie radici antifasciste, ben più dell’orgoglio di far parte di una storia che è riuscita a sconfiggere il fascismo nascente. Le Barricate, infatti, hanno oltrepassato la dimensione storica e hanno assunto una dimensione epica, astorica. E possono essere interpretate ben oltre la lotta allo squadrismo fascista, vecchio o nuovo. In quell’agosto, nei rioni popolari della nostra città, vi fu la rappresentazione plastica dello scontro degli ultimi, dei miserabili, dei pezzenti, contro i potenti e le loro ingiustizie, le loro violenze, le loro prepotenze. Le Barricate sono diventate per noi l’epica di questo scontro. Sono diventate la rappresentazione del giovane Davide che raccoglie le sue forze e il suo orgoglio, che non china la testa, non piega la schiena, non abbassa lo sguardo, ma solleva il sasso e lo scaglia contro l’ingiustizia che avanza, il prepotente gigante Golia. Sono la rappresentazione di Davide che trova il coraggio di ribellarsi. E così facendo può vincere… e vince. Un Davide che non è un protagonista singolo, non è un eroe che combatte da solo nel nome del popolo. È un eroe collettivo. È il popolo stesso che trova la sua unità nelle difficoltà e differenze.
Questa è la forza narrativa delle Barricate per il nostro presente. Questa è l’epica che rende le Barricate a noi così vicine, così attuali, perché i Golia oggi sono più che mai forti. E non penso solo ai neofascisti che pur scorazzano sentendosi liberi di infierire. E nemmeno penso solo ai postfascisti che col fascismo e il neofascismo non hanno ancora chiuso e non intendono chiudere. Penso ai Golia che controllano la ricchezza sociale, e scatenano guerre, e plasmano a loro vantaggio il mondo. Magari utilizzando ancora neofascisti o postfascisti per i loro bisogni.
Commemorare le Barricate, in questa epoca di ingiustizia e prepotenza, significa ricordare che c’è stato un tempo in cui i nostri antenati hanno trovato il coraggio di essere quel Davide collettivo e unitario di cui abbiamo bisogno.