Perché Lenin

di Francesco Antuofermo

Opera 7 Lenin (Suggestions Su).

Il 21 gennaio 1924 moriva a Gorki, una località poco lontano da Mosca, Vladimir Ilich Uljanov, più noto con il nome di Lenin, lo straordinario protagonista della Rivoluzione d’Ottobre del 1917. A 100 anni dalla sua morte, un breve corso della Libera Università del Sapere Critico ‒ curato da Francesco Antuofermo, Andrea Bui, William Gambetta e Andrea Palazzino ‒ ne ripercorre il pensiero politico. I quattro incontri si terranno presso la sede del Centro studi movimenti in via Saragat 33/a a Parma, a partire da mercoledì 24 gennaio prossimo. Per ogni informazione scrivere a lusc.csm@gmail.com. In vista della prima lezione, pubblichiamo un contributo di Antuofermo [ndr].

Nella Prima guerra mondiale, gli arabi, sotto la promessa della costruzione di un loro grande Stato indipendente, si allearono con gli imperialisti inglesi e combatterono contro il dominio ottomano, allora schierato con Germania, Italia e Impero d’Austria. Al termine della guerra si presentarono davanti agli alleati per riscuotere la cambiale ma gli inglesi avevano già perfezionato la rapina ai loro danni e non mantennero la promessa. In realtà il furto era stato confezionato già nel 1916 con l’accordo segreto Sykes-Picot. Il patto prevedeva tra l’altro, la spartizione di tutto il territorio compreso fra la costa orientale del Mediterraneo e la frontiera Persiana, un’area di oltre 2 milioni di km2. Ai colonialisti inglesi sarebbe spettata la zona meridionale, ossia l’attuale Palestina, Giordania e Iraq, a quelli francesi il Libano e Siria. Fu proprio in seguito a quell’accordo che si favorì il rafforzamento della presenza ebrea nell’area attraverso una serie di impegni presi direttamente con il movimento sionista, grande finanziatore delle ragioni del conflitto imminente, a scapito della popolazione palestinese che ancora oggi ne paga le conseguenze.

La divisione coinvolgeva tra le altre anche la Russia alla quale sarebbe stato garantito il controllo su Istanbul, sui territori adiacenti allo stretto del Bosforo e su alcune province confinanti nell’Anatolia orientale. A siglare l’accordo per conto dell’impero fu lo zar Nicola II.

Il testo ovviamente doveva rimanere segreto fino alla conclusione del conflitto. Ma i piani vennero a galla perché nell’ottobre del 1917 gli operai e i contadini russi presero il potere e, come promesso da Vladimir Ilich Lenin e come previsto dal programma dei rivoluzionari, tra i primi provvedimenti messi in atto ci fu proprio la rivelazione degli accordi segreti presi tra i macellai dei governi occidentali.

La desecretazione dei segreti di Stato è solo un esempio, forse marginale rispetto alla enorme influenza dell’attività di Lenin e del suo pensiero sugli avvenimenti di quegli anni, ma ci dà subito un’idea di quale sarebbe stata la strada che avrebbe intrapreso il grande protagonista della Rivoluzione russa e del perché ancora oggi le classi dominanti fanno di tutto per tentare di distruggerne il corpo teorico.

La storia, si sa, è storia di lotta tra le classi. L’evoluzione dei rapporti economici porta a scegliere gli individui adatti a personificarne gli interessi. Giulio Cesare, Napoleone o Hitler visti secondo questa ottica, sono stati solo meri rappresentanti, semplici portavoce delle istanze delle diverse fazioni. Ma il caso di Lenin può rappresentare un’eccezione. Se la rivoluzione fu il mezzo attraverso il quale una classe sociale, gli operai, alla testa di tutti gli sfruttati, prese il potere in Russia e rovesciò la piramide sociale in un colpo solo, lo si deve anche all’enorme lavoro teorico sviluppato da Lenin. Scritti come Stato e rivoluzione, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, Materialismo ed empiriocriticismo lo rendono quasi un extraterrestre giunto sulla Terra al posto giusto e al momento giusto.

Nel 1917 Lenin concluse la scalata della montagna dimostrando la possibilità pratica della conquista del potere. Ma quando arrivò in cima non si trovò davanti una distesa che poteva dominare dall’alto e dalla quale intraprendere in discesa la strada verso un nuovo ordine sociale. Anzi, si accorse ben presto che per raggiungere l’obiettivo avrebbe dovuto intraprendere un’ulteriore scalata ancora più impervia e con pochissimi esempi storici a disposizione ai quali riferirsi. Il Lenin post-rivoluzione smette così di essere extraterrestre. Diventa più umano. Procede per tentativi. Rivede alcune posizioni, si spinge verso territori inesplorati e attraverso la verifica sul campo degli effetti delle misure intraprese, cerca di adeguare le proprie convinzioni teoriche alle difficoltà della situazione complessiva della Russia di allora.

Nel 1924 Lenin muore e senza di lui il tentativo di avviare certe forme sociali di produzione contro altre, le più vicine al socialismo contro le più arretrate, non è andato a buon fine. Egli tuttavia ci ha lasciato una monumentale eredità fatta di scritti, documenti, saggi: una vera e propria teoria della rivoluzione che unita alla teoria del capitale di Marx diventa un’arma micidiale, in attesa della teoria del comunismo che prima o poi qualcuno dovrà pur definire. Un incalcolabile patrimonio che va studiato, analizzato e che rimane imprescindibile per chi avrà la possibilità e la fortuna di ritentare quella strada. Perché comunque la si voglia girare, il sistema capitalistico con tutte le sue sicurezze e l’arroganza dei suoi interpreti è un sistema “transeunte”, di passaggio. E verrà il giorno in cui di questa forma economica non sentiremo più l’olezzo maleodorante della sua putrefazione che già ora imperversa in ogni angolo del pianeta.