di Andrea Bui
Ieri, 14 dicembre, sotto l’albero di Natale in Piazza Garibaldi, a Parma, sono spuntate le tende della Rete Diritti in Casa, che insieme a Ciac ha convocato un presidio per il diritto all’abitare. Il disagio abitativo non è un argomento al centro del dibattito pubblico né a livello locale né nazionale ed infatti il governo non stanzia nulla per politiche abitative, come se il problema non ci fosse.
In effetti il problema abitativo è vissuto come un’urgenza immediata per chi è economicamente più vulnerabile, come lavoratrici e lavoratori migranti, famiglie monogenitoriali, studentesse e studenti universitari. Per alcune categorie la casa diventa una chimera irraggiungibile se non attingendo al risparmio della famiglia e chi non ha questo supporto è escluso dalla città o è costretto a versare oltre la metà di miseri stipendi per potersi permettere una casa.
Il diritto alla casa non esiste più, la casa è una merce come le altre nelle città devastate da 30 anni di cementificazione e privatizzazioni. Centri storici sempre più patinati, sempre più pensati per turisti ricchi e sempre meno per i suoi abitanti, spinti piano piano verso periferie sempre più distanti, a seconda delle possibilità economiche. Le città sono diventate luoghi da “valorizzare” e cioè ogni intervento è legittimo se è occasione di business.
Non solo l’abbandono delle politiche abitative pubbliche, ma anche l’abbandono della pianificazione urbanistica, in una pioggia di cemento che oltre al diritto all’abitare ha distrutto l’ambiente come dimostrano le devastanti conseguenze che hanno le forti piogge autunnali e primaverili, con alluvioni e allagamenti.
La parola d’ordine con cui siamo stati sotto l’albero di Natale in piazza chiedeva l’intervento di sindaco e prefetto per requisire case sfitte per dare un tetto a chi si è visto negare il diritto alla casa.
Una risposta che chiediamo con forza insieme ad una inversione di tendenza nella gestione della città. Finora privatizzazioni e guerra ai poveri hanno guidato tutte le politiche locali e nazionali, fino all’assurdo di rifugiati chiusi in container in condizioni disumane a Martorano, fino alla fila di senza tetto ad abitare il Ponte Nord, forse l’opera più emblematica della febbre cementizia in salsa parmigiana. Una politica stanca, ripetitiva, nociva e che sta rubando il futuro a tutti.
Negli anni ‘70 l’acquisto di una casa corrispondeva a una trentina di mensilità di un operaio, oggi quello stesso operaio ha bisogno dell’equivalente di almeno 100 mensilità per l’acquisto della stessa casa. Per non parlare del lavoro dipendente precario e sottopagato che in mille forme, dalle finte partita iva ai contratti a chiamata, che una casa in città semplicemente non può permettersela.
Che futuro immaginiamo per la nostra città? Una città che in mano a palazzinari e immobiliaristi in cui elemosinare le briciole o una città in cui il valore è la vita delle persone che la abitano e la fanno vivere?
Noi siamo per la seconda ed è per questo che è essenziale strappare la città alla rendita immobiliare e restituirla ai lavoratori che l’hanno costruita e vissuta.
E per cominciare ribadiamo quello che abbiamo proposto in campagna elettorale per le amministrative: la creazione di un osservatorio che ci dica con precisione il numero e la tipologia di immobili sfitti in città, la creazione di una tassa di scopo sulla grande proprietà immobiliare con l’obiettivo di rafforzare Acer per ristrutturare e mettere a disposizione tutti gli alloggi popolari che ha in dotazione e costruirne di nuovi, in via emergenziale requisire gli immobili sfitti dei grandi gruppi immobiliari, che si sono arricchiti enormemente in questi anni, per tamponare l’emergenza abitativa.