L’asso degli industriali nella partita per l’aerocargo

di Andrea Bui*

Gli industriali di Parma calano l’asso nella partita dell’aeroporto. È Barilla, dalle fedelissime pagine della “Gazzetta”, a dare il suo imprimatur al progetto di “rilancio” del Verdi. Un rilancio che non può fare a meno del cargo, ora che è tramontata anche l’ultima possibilità di un accordo con Orio al Serio. E il patron della multinazionale della pasta si spinge fino a una velata minaccia: se Parma rinuncia all’aeroporto perde terreno, e se la città non sta al passo (con cosa non è dato sapere) allora gli investimenti sarebbero difficili da fare.

Insomma, l’aeroporto è indispensabile: senza i cargo, in futuro, Barilla potrebbe anche decidere di abbandonare il territorio. Ma attenti: non per scelta sua; per colpa nostra! E deve essere qualcosa di più di un pensiero, visto il piano di ristrutturazione aziendale che prevede una sede in Olanda col compito di controllare lo sviluppo delle partecipate estere. Amsterdam va di moda tra i marchi del Made in Italy, come Campari, Ferrari, FCA… Si pagano meno tasse sugli utili e la legislazione in ambito societario comporta molti vantaggi. “Cuore e testa a Parma”, ma il portafoglio…

La minaccia, vista da questa prospettiva, appare un po’ più concreta e toglie ogni illusione a chi credeva che gli industriali dell’agroalimentare avrebbero potuto spendere il loro potere e il loro prestigio per contrastare la trasformazione in hub cargo del Verdi, che avrà un impatto ambientale non indifferente. Noi non siamo sorpresi, perché è normale che sia così: Barilla fa il suo mestiere, che non è quello di far crescere il nostro territorio, non è quello di proteggere e tutelare l’ambiente, ma è quello di fare affari. E se l’”attrattività”, la voglia di “contemporaneità” di cui parla nell’intervista Barilla, è quella del business, allora l’unico futuro possibile è proprio la contemporaneità di cui parla il padrone del Mulino Bianco.

Se il marketing fosse verità, il problema di Barilla e degli industriali del cibo dovrebbe essere quello di produrre alimenti nel cuore nero dell’inquinamento europeo. Poiché invece il marketing è pura immagine senza sostanza, ecco che il problema diventa quello di rendere attrattivo il territorio. Tradotto: il cambiamento climatico, la qualità dell’aria e la tutela della salute sono cose per i pubblicitari. Per il resto: tutto come prima, più di prima.
Eppure sono parole pesanti quelle di Barilla. Chi avrà il coraggio di eccepire sulle dichiarazioni di un colosso finanziario, mediatico (e quindi politico) che con la sua beneficenza sostiene un welfare locale sempre più sgangherato? In pochi, secondo noi, anche tra chi i cargo al Verdi non li vorrebbe.

Eppure pensiamo che questo coraggio vada trovato, perché è sempre più chiaro che in palio c’è l’idea di futuro.

Da un lato abbiamo una crisi climatica affrontata a parole e iniziative mediatiche del tutto inefficaci, mentre tutto prosegue come prima, peggio di prima, con le imprese che spremono i territori fino all’osso per competere sui mercati fino alla vittoria, o fino alla disfatta, tanto si può sempre migrare in Olanda.

Dall’altro lato abbiamo da inventare un modo nuovo di produrre, che non distrugga l’ambiente, cioè noi stessi, e che garantisca giustizia – per oggi e per domani. Barilla ha fatto la sua scelta; ognuno di noi deve fare la propria.

* Attivista di Potere al popolo