Quel che non va in via Burla

da Potere al popolo Parma

Il carcere è una spia della condizione di tutta la società: guardare cosa succede nelle nostre carceri significa guardare un pezzo della nostra società che spesso preferiamo non guardare. Del carcere ci si occupa per lo più per evocare punizioni esemplari, un modo per distogliere lo sguardo da un’ingiustizia legale sempre più invadente nelle nostre vite.  A Parma c’è un carcere dove sono rinchiuse 700 persone , una città nella città, che vivono in condizioni lesive della dignità.

Pensiamo sia importante occuparcene e per questo abbiamo avuto diversi confronti negli ultimi mesi con chi si occupa di questo tema. Un incontro particolarmente importante si è tenuto martedì 1 marzo ed è stato con la  Garante dei detenuti Veronica Valenti, con cui abbiamo avuto un costruttivo confronto su diverse criticità.

La prima è la preoccupante condizione del centro clinico. All’interno del carcere è infatti presente un apposito padiglione dedicato alle cure mediche, gestito tramite Ausl, che viene segnalato come del tutto inadeguato  non solo a livello logistico ma anche dal punto di vista della efficacia delle cure. Anche le condizioni di lavoro del personale sanitario, già di per sè difficili nel contesto detentivo, appaiono caratterizzate da turni troppo lunghi che espongono i sanitari a un logoramento che non può che avere ricadute nefaste sul servizio.

La seconda criticità è sull’ “accoglienza” nel momento dell’ingresso in carcere e quella che dovrebbe essere una doverosa presa in carico dal punto di vista burocratico, per l’espletamento di pratiche che non possono rimanere congelate per il tempo di detenzione: tutto quello che riguarda rinnovo di documenti personali, residenza, gestione di pratiche magari già avviate, come la richiesta di permesso di soggiorno, sono seguite da uno sportello gestito dal Comune, occupante una persona presente per soli 2 giorni a settimana. Va da sé che appare del tutto inadeguato, che andrebbe implementato e messo in grado di raggiungere tutti i detenuti. Ancora più gravosa è la situazione legata a pratiche fondamentali come la compilazione del documento ISEE, eventuali comunicazione all’INPS per reddito di cittadinanza, o domanda/revisione  di pensione di invalidità, domanda di disoccupazione, ecc.: gli uffici di patronato e CAF per tutti i 700 detenuti sono delegate ad un’unica persona che opera a titolo di volontariato, che non potrà mai raggiungere e soddisfare tutte le richieste. Le conseguenze di quanto espresso sono gravissime sul piano del “reinserimento”, ossia sulla presa in carico della persona che uscirà dal carcere e come ricaduta sui familiari: ad esempio un detenuto che non sarà informato e messo in condizione di comunicare la sua situazione all’Inps per sospensione reddito di cittadinanza, non verrà solo chiamato a restituire quanto non dovuto, ma si troverà accusato di frode allo stato con relativo processo e conseguenze penali, un detenuto affittuario ACER che non presentasse ISEE aggiornato, si troverà al momento dell’uscita, un debito con ACER per affitti calcolati sulla quota più alta anziché valutati sulla sua situazione, chi non potrà accedere a benefici dovuti non potrà aiutare economicamente la famiglia all’esterno, che già vive in un momento delicato. E gli esempi potrebbero essere ancora molti.

Le criticità continuano sul piano del  numero del personale educativo, che è  la metà di quello che sarebbe previsto. Un segnale preoccupante perchè la condizione della detenzione, in questo modo, invece che ridurli, acuisce i problemi sociali delle persone condannate, sia dentro che una volta fuori, gravando sui familiari e infine su tutta la società.

Il carcere in questo modo si dimostra un sistema non rispettoso della dignità umana e capace solo di generare ulteriore rabbia e frustrazione. Un sistema che complica e mette ostacoli proprio al “reinserimento” e questo non può che significare per i detenuti un’uscita dal carcere in situazioni maggiormente svantaggiate. Poiché parliamo di persone per la maggior parte provenienti da contesti di privazione economica e sociale, o con storie personali meno fortunate del resto della popolazione, pensiamo che le politiche sociali siano le uniche che possano prevenire ed affrontare la situazione, forse l’unica risposta al cosiddetto “problema sicurezza” opportunisticamente sbandierato in campagna elettorale. Chiediamo che nel carcere di Parma non vengano lasciate inutilizzate (cosa che sta accadendo) risorse già deputate per l’attivazione di tirocini, chiediamo che finalmente decolli il progetto che appare sospeso, della lavanderia industriale, come elemento importantissimo di occupazione e risorsa che potrebbe legare il dentro dal fuori le mura..

In ultimo lanciamo un appello per mantenere la possibilità di colloqui in videochiamata, strumento attivato durante il periodo Covid, e che si è rivelato una significativa opportunità dal punto di vista psicologico, poiché ha facilitato  l’incontro e il dialogo con i figli minori, e che ora ne vede la riduzione pur in presenza di una legge che ne consente il mantenimento.

Manterremo alta  l’attenzione su questi temi nella nostra città,  aperti al dialogo e alla collaborazione con tutte quelle realtà che si occupano di una questione ignorata , ma molto importante per tutti.