Se per una rissa a scuola interviene la polizia

di Cristina Quintavalla*

Quanto è accaduto al Bodoni deve indurci a serie riflessioni. L’immagine del giovanissimo studente, immobilizzato a terra, sovrastato dal corpo di un agente, dentro una scuola (non in un luogo qualunque), è raccapricciante. Perché è stato deciso di ricorrere alla repressione violenta delle forze dell’ordine, anziché all’intervento educativo della scuola per sedare una rissa scoppiata tra due quattordicenni?

Chi ha ritenuto che la scuola non avesse strumenti idonei per affrontare e gestire un episodio di queste proporzioni? Perché ha ritenuto che gli educatori non fossero in grado di trasformare una rissa in un momento di dialogo e riflessione sulle cause dell’episodio con i due interessati, con la comunità scolastica più ampia?

La rinuncia a svolgere la sua funzione educativa ci dice quanto la scuola abbia perso fiducia nella propria capacità formativa delle giovani generazioni, a seguito di riforme scellerate e solo punitive verso i suoi docenti. Ci dice del disagio dei docenti, sempre più esautorati dalla possibilità di partecipare alle scelte di indirizzo educativo della scuola, delegittimati nella loro funzione educativa, lasciati soli ad affrontare problematiche sociali sempre più complesse. Ci parla della quantità enorme di tempo sottratto alla formazione e allo studio dall’alternanza scuola-lavoro e dai tanti progetti finalizzati alle imprese. Ci dice quanto ormai la scuola sia classista, quanto l’iscrizione degli studenti alle varie scuole avvenga sulla base della condizione sociale, del gruppo sociale, dell’etnia di appartenenza, quanto le classi siano spesso costituite sulla base dell’omogeneità di condizioni materiali e sociali: i privilegiati coi privilegiati, i perdenti coi perdenti.

Forse che un giovane oggi non si renda conto di come va il mondo? Che non sappia che la sua famiglia non potrà pagargli stage, viaggi all’estero, master costosi? Che ad altri competeranno questi privilegi e ad altri spetterà di diventare classe dirigente? Che a lui si prospetterà un futuro di precarietà, quando non di emarginazione?

Io non so se il quattordicenne immobilizzato a terra da un poliziotto fosse uno di questi giovani disincantati dal mondo e avesse solo voglia di fargliela pagare. So però che la formazione sta pericolosamente perdendo la sua straordinaria funzione di essere scuola civile e politica, di essere il luogo in cui il sapere diventa formativo di persone critiche e libere, dunque capace di essere liberatorio, “coscientizzante”, accogliente della diversità e rispettoso dell’alterità. Solo se la classe sa essere inclusiva e accogliente, riconoscendo il valore di ogni voce, di ogni esperienza, rispondendo all’unicità di ciascuno/a, può essere comunità di apprendimento e compiere il miracolo di tirare fuori il meglio da tutti e ciascuno.

Sono certa che i/le docenti che non intendono rinunciare a questo ruolo della scuola, sapranno opporsi all’esito oppressivo e repressivo dei problemi di cui sono portatori i loro studenti.

 

*già docente di filosofia e storia al Liceo classico Romagnosi