La storia di Marta: ecco cosa succede quando il welfare diventa un “peso”

da Potere a Popolo Parma

«Con quattro bambini in 50 metri quadri, per cui pagavamo 700 euro al mese». Questa è la storia di Marta (nome che usiamo per rispettare la sua privacy), una delle tante, troppe storie che raccontano del nostro tessuto sociale logoro e rattoppato mille volte, su cui ogni tanto la politica mette qualche pezza a favore di telecamera, ma che non ha nessuna intenzione di cambiare davvero.

Marta ha 27 anni ed è una delle persone che abbiamo incontrato per il nostro Supporto Popolare, con cui abbiamo portato beni di prima necessità a diverse famiglie in difficoltà durante l’emergenza sanitaria e sociale di questi mesi. Quello che le è successo, però, inizia ben prima della crisi del coronavirus. «Abitavamo in sei, (io, mio marito e i nostri quattro bimbi) in un minuscolo bilocale ricavato nel sottotetto, e quasi tutto il nostro reddito mensile era speso per pagarlo – spiega Marta −. Come se non bastasse, a un certo punto ha cominciato a piovere dentro casa. Abbiamo chiamato il proprietario, ma lui si è rifiutato di riparare la perdita. Per lo stesso problema, un giorno ci siamo rivolti ai vigili del fuoco. Ricordo ancora quando sono entrati in casa e hanno visto i bambini mentre giocavano con delle barchette nelle bacinelle che avevamo messo a terra: “Beh, almeno loro l’hanno presa bene!” hanno detto. Ma neanche il loro intervento con il proprietario è servito a molto e siamo stati costretti, tutti e sei, a passare le notti in dormitorio».

Come si fa in casi come questi? Le soluzioni possibili non sono tante: Marta e il marito decidono di non pagare più l’affitto. «A quel punto, sono cominciati quelli che io chiamo i “dispetti” – continua Marta −: in alcuni momenti ci trovavamo senza gas, oppure senza elettricità o l’acqua e Iren, quando chiamavo, mi diceva che le bollette risultavano pagate regolarmente. Non è passato molto tempo prima di scoprire che “qualcuno” manometteva i contatori relativi al nostro appartamento, lasciando stare tutti gli altri. È anche successo che lo stesso “qualcuno” entrasse dentro casa, senza bisogno di scassinare la serratura, e buttasse tutto all’aria».

Dopo due mesi da incubo, la famiglia è riuscita a trovare un’altra casa, più grande, allo stesso prezzo. Anche se non sono mancate resistenze. «Ora, nonostante le difficoltà, almeno non siamo più in 50 metri quadri per sei persone. Ma per avere questa casa ho dovuto mentire: tutte le volte che dicevo “ho quattro bambini” si rifiutavano di darmi la casa in affitto. Stesso risultato quando dicevo che mio marito è tunisino. Così ho cominciato a dire di avere solo due bimbi: il mio attuale padrone di casa è tuttora convinto che ne abbia solo due».

Ci piacerebbe poter scrivere che ora va tutto per il meglio, che Marta e la sua famiglia stanno bene. Ma questa storia è un esempio significativo di come sia difficile risalire la china in un mondo dove la povertà è vista come una colpa. «A gennaio mio marito ha perso il lavoro e con il lockdown è stato impossibile trovarne un altro. Adesso viviamo con il reddito di cittadinanza che serve a malapena a coprire la rata mensile per la casa. Mi sono iscritta al Cav (Centro Aiuto alla Vita) e loro mi danno una mano per tirare avanti, per esempio con pannolini e latte, perché i bimbi ne hanno bisogno. Quindi, se nel sottotetto abbiamo vissuto un incubo, durante l’emergenza da coronavirus le cose sono precipitate: eravamo così disperati che mi sono rivolta a un giornale locale perché pubblicasse un appello, per aiutarci. E devo dire che in tanti si sono offerti di darci una mano, portandoci generi di prima necessità. Qualcuno, poi, ci ha offerto dei soldi, ma quelli non li ho mai accettati, perché non volevo dare la possibilità a nessuno di “pensare male”: preferisco un po’ di pasta e il latte per i miei figli».

Questo è solo uno dei racconti che abbiamo raccolto in tre mesi di Supporto Popolare, tre mesi in cui abbiamo toccato una piccola parte della disperazione che Parma nasconde sotto al tappeto. Il nostro è un piccolo contributo, non certo una soluzione. Ma dimostra come unirsi, organizzarsi e pensare in modo collettivo faccia la differenza. Il 9 luglio, alle 18.00, saremo in piazza Garibaldi con alcune delle famiglie che abbiamo aiutato e la Rete Diritti in Casa, saremo in piazza a far sentire la voce di chi non è mai al centro dell’attenzione: la casa è un diritto, non un bisogno su cui speculare, e l’unica grande opera da finanziare sono i servizi sociali e un welfare degno di questo nome.