L’indipendenza della stampa e la felicità degli Agnelli

di Francesco Antuofermo

John Elkann (Foto: Fabio Cimaglia / LaPresse)

Il conflitto tra genitori e figli? Una storia che parte da molto lontano. Nella famiglia per eccellenza, per esempio, quella che assunse dimora sul Monte Olimpo, il terribile padre Urano (il Cielo), timoroso di perdere la signoria del mondo, reintroduceva a forza nell’utero i figli concepiti da Gea (la Terra). La pratica durò finché uno dei figli, Crono (il Tempo), decise di evirarlo con un falcetto… A sua volta Crono padre si metterà poi a divorare i figli per paura di essere detronizzato suo malgrado.

Si sa, le vicende mitologiche non sono mai favole sdolcinate: la narrazione dell’inizio di questo mondo deve gioco forza raccontare eventi che lo rispecchiano e lo superano. Di conseguenza la violenza bruta ne diventa un aspetto essenziale come avviene del resto durante le rivolte popolari. Dalla commedia di Aristofane, invece, abbiamo indizi di una ribellione giovanile più assimilabile ai nostri conflitti terreni: nell’Atene del V secolo a.C., ad esempio, i giovani rampolli si ribellarono per il fatto che i padri detenevano il controllo del patrimonio fino alla morte, lasciando i figli ormai adulti in miseria con poche possibilità di assumere l’agognata indipendenza economica.

La situazione familiare dei De Benedetti non poteva certo essere assimilabile alla condizione descritta dalla commedia: Carlo padre, ai figli Rodolfo e Marco, aveva donato gran parte del suo patrimonio per il quale non potevano assolutamente parlare di indigenza. Ma questo non è bastato. Loro, i figli ingrati, hanno deciso di cedere contro la volontà del padre la sua ancella privilegiata, il gruppo editoriale Gedi. Un contenitore che riunisce Repubblica, l’Espresso, il Secolo XIX, Huffington Post, più 13 quotidiani locali sparsi in tutta Italia e un network di radio. E a chi si sono permessi di cedere tanto contenuto? Proprio al nemico delle mille battaglie combattute da De Benedetti a colpi di editoriali insieme al generale Scalfari: la Exor di John Elkan! Cioè, la grande holding finanziaria olandese di proprietà degli Agnelli che, come sanno tutti, controlla tra l’altro il colosso Fca (la FIAT per intenderci) e la Juventus.

Le azioni di Gedi già in mano alla Cir di De Benedetti sono state fatte confluire dagli Agnelli in un nuovo contenitore societario, denominato Giano Holding, che diventa di fatto uno dei più grandi trust editoriali del nostro paese. Naturalmente John Elkann sprizza felicità da tutti i pori: «Con questa operazione ci impegniamo in un progetto imprenditoriale rigoroso, per accompagnare Gedi ad affrontare le sfide del futuro. Siamo convinti che il giornalismo di qualità ha un grande futuro, se saprà coniugare autorevolezza, professionalità e indipendenza con le esigenze dei lettori, di oggi e di domani».

Indipendenza dice Elkann! Indipendenza da chi? Dai suoi tentacoli forse? La prima condizione per essere stampa indipendente consiste nel non essere un’industria di mestiere. È una banale falsità che possano esistere dei giornali e/o giornalisti “neutri” o “vergini”, liberi di esercitare la propria attività all’interno dell’apparato del nostro sistema mediatico, quando questi vivono al servizio degli interessi dei lori padroni, parassitando sui finanziamenti statali, o dai proventi derivanti dalla raccolta pubblicitaria o direttamente dalle elargizioni dei grandi gruppi finanziari e industriali.

Il gruppo editoriale che fu di De Benedetti navigava a vista con i conti ormai in rosso e privo della forza economica necessaria per sostenere i costi vivi dell’apparato. Il tentativo di insinuare tra le grandi famiglie italiane una terza via in grado di condizionare la gestione della ricchezza pubblica ha imperversato per anni ma ora si è dissolto, con buona pace dell’ormai ex patron di “Repubblica”. Ma perché un grande gruppo industrial finanziario come Fca decide di acquistare un contenitore editoriale in perdita secca? Qual è il vero interesse che cova sotto questa operazione?

Come tutti possono vedere, mentre la comunicazione e l’informazione, si fanno globali, il controllo dei media diventa sempre più concentrato in poche mani. Così, mentre si fa inarrestabile la marcia della globalizzazione dell’informazione, che si esprime con modalità e mezzi alternativi ai vecchi giornali, la funzione del controllo sempre più ristretto dei media italiani trova il suo dominio nella necessità di mantenere e consolidare le situazioni di monopolio delle grandi imprese nostrane.

Le iniziative editoriali si moltiplicano ma i padroni sono molto pochi e fanno altri mestieri. Sono costruttori, industriali e finanzieri. A cui si aggiungono i religiosi. I proprietari del pensiero pubblico in Italia, oltre agli Agnelli non superano il numero di dita di due mani: Angelucci, Berlusconi, Cairo, Caltagirone, Conferenza Episcopale Italiana, Confindustria, cui si accompagna il figlio di Marisa Monti Riffeser, deceduta da poco, editore del gruppo cui fa capo il Resto del Carlino. Ovviamente a loro va aggiunto Rupert Murdoch, proprietario di Sky, e chiunque gestisca la Rai in quel momento. I loro nomi saltano spesso fuori, a turno, implicati in storie di magagne, truffe, inquinamento, guerre, malasanità, etc. Proprio quelle storie che le persone convinte di voler pensare con la propria testa cercano di comprendere, andando a cercare informazioni altrove.

In generale, il vantaggio economico che Elkann trarrà da questa operazione può essere sintetizzato in due passaggi. Mettere le mani sul mercato della raccolta pubblicitaria, della vendita delle informazioni, dei contributi statali all’editoria. Ma non credo che il signor Fca abbia acquistato la Gedi perché interessato a queste briciole. Il vero aspetto che rende conveniente l’investimento è il controllo della pubblica opinione e da qui il condizionamento del comitato d’affari che siede sulle poltrone del governo. Ed è questo che fa entrare in gioco gli operai e le classi più povere. Essi possono scoprire questo meccanismo ogni volta che i provvedimenti economici riguardano argomenti che intaccano il rapporto tra sfruttati e sfruttatori. Non appena il tema riguarda il rapporto di fabbrica, la messa in discussione dei profitti, l’aumento dei salari o eventuali misure di sostegno alle classi più povere, ecco che saltano tutte le divisioni ideologiche e le corazzate dell’informazione marciano all’unisono, le differenze si smussano con l’unico obiettivo, come diceva Gramsci, di servire la classe dominante:

«L’operaio dovrebbe ricordarsi sempre, sempre, sempre, che il giornale borghese (qualunque sia la sua tinta) è uno strumento di lotta mosso da idee e da interessi che sono in contrasto coi suoi. Tutto ciò che stampa è costantemente influenzato da un’idea: servire la classe dominante, che si traduce ineluttabilmente in un fatto: combattere la classe lavoratrice. E difatti, dalla prima all’ultima riga, il giornale borghese sente e rivela questa preoccupazione».

Non appena si parla di misure a sostegno della forza lavoro, infatti, ecco che si accende la macchina della propaganda. Le grandi famiglie mettono in campo tutta l’artiglieria pesante. La differenza tra giornale di destra e giornale di sinistra svanisce e tutti marciano compatti verso l’obiettivo comune: tutelare gli interessi della grande industria e della finanza. Scoppia uno sciopero spontaneo? Per i giornali borghesi gli operai hanno sempre torto e se la protesta scivola oltre i binari consentiti vengono subito dipinti come dei turbolenti, dei faziosi, dei teppisti. Non intaccare la contraddizione tra capitale e lavoro. Respingere l’assalto ai profitti delle classi più deboli e concentrare la raccolta fiscale nelle mani dei soliti noti. Scattano così ad ogni manovra economica i pennivendoli al servizio del Capitale per ottenere incentivi alla produzione e allo sviluppo, la riduzione del cuneo fiscale, i finanziamenti alle industrie 4.0.

Una volta terminata questa operazione di bassa bottega, stranamente e come d’incanto i media tornano a differenziarsi. Non appena gli argomenti escono dal sacro luogo della produzione, allora i giornali tornano a dividersi su tutto. Improvvisamente diventano estremamente litigiosi. I concetti di destra e sinistra si radicalizzano. Si scontrano le mille opinioni di una realtà italiana fatta di una frantumazione degli interessi di classe che si rispecchia nella continua moltiplicazione dei partiti politici e dei gruppi di interesse.

Altro che il conflitto descritto da Aristofane tra padri e figli. Qui, come possiamo vedere, i rapporti di parentela non centrano nulla. La vicenda di De Benedetti e la vendita di Repubblica ci conferma ancora una volta che sulla stampa italiana permane il potere del capitale, il potere di assoldare gli scrittori, di comprare le case editrici e di corrompere i giornali. In altre parole, mettere sotto controllo la pubblica opinione. Si tratta di un’azione preventiva, non si sa mai: proprio come faceva Urano che reintroduceva i figli nella terra per paura di perdere il potere. Ma chissà, non sempre la storia procede in questo modo. Potrebbe sempre succedere prima o poi, che arrivi qualcuno con un falcetto, come Crono, e che decida di tagliare nel posto giusto, nell’idea che forse un altro mondo potrebbe essere ancora possibile.