di Margherita Becchetti
Pubblichiamo l’intervento di Margherita Becchetti all’iniziativa “Scegli che uomo 6” del 25 novembre scorso, animata da Maschi che si immischiano sotto i Portici del Grano(ndr).
In tutta Italia in questi giorni le piazze sono colorate di fucsia, un fucsia di donne e uomini che mettono voci e corpi contro la violenza, eppure viviamo in un paese che, su questi temi, investe sempre meno risorse, in cui una buona parte della società e della classe dirigente accetta e ignora la palese violazione dei principi della Convenzione di Istanbul (come continua a fare la mai morta proposta di Simone Pillon).
Un paese in cui Centri antiviolenza e case rifugio non sono solo insufficienti, ma spesso preclusi alle persone trans; un paese in cui le minacce e gli attacchi mediatici alle donne sono costanti; in cui molte sentenze sono ingiuste, frutto di una visione stereotipata dei ruoli sociali attribuiti ai generi. Viviamo in un paese in cui i femminicidi non diminuiscono, gli stupri non diminuiscono, le violenze tra le mura domestiche non diminuiscono. Nonostante tutto, nonostante i nostri sforzi, nonostante i nostri corpi e le nostre voci, tutto questo non diminuisce.
E questo perché, io credo, viviamo in un paese in cui tutto cambia per non cambiare; un paese in cui la violenza è ancora strutturale al sistema che regola le nostre relazioni, la nostra educazione, i nostri più elementari e quotidiani comportamenti. Perché la violenza è profondamente connaturale ai modelli di mascolinità che i maschi intorno a noi – e anche i nostri figli – respirano e introiettano, anche contro la nostra e la loro volontà.
Modelli che ingabbiano, soffocano le diversità, chiedono ai maschi di essere competitivi e vincenti, indipendentemente dalla loro natura, carattere o propensione. Modelli che rappresentano gabbie per le loro emozioni, che non possono essere espresse se raccontano fragilità, smarrimento o diversità. Essere maschio in questa società è forse più complicato che nascere femmina, perché il mondo femminile, soprattutto negli ultimi decenni, ha fatto un percorso, ha affrontato a viso aperto la propria condizione di subalternità e di malessere. Le nostre madri ci hanno non solo insegnato, ma anche mostrato che si può essere donne diverse da ciò che le donne sono sempre state, si può essere libere e padrone di sé.
I maschi tutto questo non lo hanno ancora fatto: molti uomini hanno accettato che il mondo femminile sia cambiato, accettano la nostra diversità, ma non hanno ancora messo in discussione il modo di essere maschio che i loro padri – e i padri dei loro padri – hanno insegnato loro. Non sono usciti dalla gabbia: ecco perché molti di loro faticano ad accettare le debolezze, le sconfitte, gli abbandoni. Ecco perché per alcuni è più facile sfogarsi e agire violenza su ciò che si crede la causa del proprio malessere. Ecco perché io credo sia non solo necessario ma anche indispensabile che siano anche i maschi a preoccuparsi del 25 novembre.