Un viaggio della memoria che parla al presente

di Marco Severo

Un momento della visita all’ex campo di internamento di Rivesaltes.

Lo chiamano «le désert du midi», il deserto del sud, è un’enorme spianata ai piedi dei Pirenei francesi, terra di vento e silenzi dove la coscienza dell’Europa del Novecento parla ancora, anzi grida, al presente. Ruderi di baracche stanno allineanti su una porzione dei seicento ettari dell’ex campo d’internamento di Rivesaltes, dove dal 1939 i francesi rinchiusero migliaia di uomini, donne e bambini considerati «indesiderabili» per ragioni politiche, etniche, religiose. Il campo è l’ultimo incontro nei quattro giorni trascorsi tra Spagna e Francia, durante il viaggio della memoria 2019 organizzato dal 25 al 30 ottobre dal Centro studi movimenti di Parma e dall’Istituto storico della Resistenza di Reggio Emilia.

I visitatori, 53 in totale provenienti da Parma, Reggio, Cesena e Bergamo, vi arrivano in pullman – come da tradizione nei tour lenti di Centro studi e Istoreco – poco prima del rientro in Italia, in risalita da Barcellona. Quasi nessuno ha mai sentito parlare di questo posto. Rivesaltes non è Auschwitz. Per chi abbia visitato il luogo più tragico della storia novecentesca, anche l’impatto visivo è imparagonabile. Qui non c’è memoria di camere a gas e forni crematori, questo campo non fu progettato per uccidere. A Rivesaltes non erano previsti neppure i lavori forzati. Banalmente, e tragicamente, qui si era prigionieri. Uomini considerati un sottoprodotto sociale da altri uomini. «Indesiderabili» appunto, come spiega un pannello illustrativo all’interno del vasto memoriale realizzato nel 2008 tra i resti delle baracche. Indesiderabili furono per primi i profughi della Guerra di Spagna, 450 mila persone che dal febbraio 1939 attraversarono i Pirenei a piedi in fuga dalla «limpieza», la ritorsione perpetrata da Francisco Franco sui repubblicani. Una moltitudine che sperava di ricevere accoglienza in Francia e che trovò al contrario questo non-luogo battuto dalle correnti d’inverno e bruciato dal sole d’estate, provvisto di baracche troppo piccole, senza cibo, preda di malattie e anticamera della morte per inedia. Se il male esiste nella Storia, Rivesaltes ne fu un prodotto a bassa intensità emotiva, forse, ma ad alta efficienza pratica.

Dopo i repubblicani spagnoli vi furono imprigionati circa 7 mila ebrei, molti dei quali successivamente trasferiti nei lager nazisti dalla Francia di Vichy; e ancora gitani, soldati tedeschi e italiani nel 1945, rifugiati della guerra d’Algeria, quindi, fino al 2007, migranti in via di espulsione. E non serve quest’ultimo dato per cogliere il senso del dialogo che a Rivesaltes la Storia intreccia con l’oggi, con una domanda a sorreggere possibili parallelismi: se il ruolo che fu dei Pirenei spetta oggi al Mediterraneo, e quello degli indesiderabili di allora tocca agli attuali migranti africani, a chi compete il ruolo di Rivesaltes nelle cronache degli sbarchi odierni?

Piazza san Felipe Neri (Barcellona), a destra la facciata della chiesa scheggiata dai bombardamenti italiani del 30 gennaio 1938.

Nella sua apparente elementarità, Rivesaltes aggiunge complessità alla Storia come, nelle tappe precedenti del viaggio, l’avevano aggiunta le visite a Barcellona sui luoghi della Guerra di Spagna: dal Museu de l’Exili al Cementerio di Montjuic fino al Memorial Democràtic. In plaza San Felipe Neri ad esempio, nel cuore della capitale catalana, è recente la correzione sulle targhe che commemorano il bombardamento del 30 gennaio 1938, quando una bomba cadde su questa piccola piazza dalla bellezza commovente (la facciata della chiesa di San Filippo reca ancora gli sfregi prodotti dall’esplosione) provocando la morte di 43 persone, molte delle quali niños, bambini della scuola adiacente alla chiesa, che in quel momento stavano facendo intervallo. «Se fino a non molto tempo fa – spiega Andrea Tappi, guida nel tour barcellonese – in molti consideravano responsabile di quel bombardamento l’aviazione nazista, come a Guernica, oggi finalmente si fa strada la verità, e cioè che a bombardare Barcellona furono i Savoia Marchetti dell’aviazione legionaria fascista, cioè aeroplani italiani mandati da Mussolini, alleato di Franco». In Spagna, prima della seconda guerra mondiale, gli italiani sperimentavano la guerra totale e si esercitavano al terrore.

La reazione dei barcellonesi alla paura furono centinaia di metri scavati sotto terra, con pale, secchi e picconi. Operosità collettiva e pervicacia popolare. In piazza del Diamante, nel quartiere Gràzia – già protagonista dell’omonimo romanzo di Mercè Rodoreda – il rifugio antiaereo n. 232, tuttora visitabile, conduce i viaggiatori italiani a 13 metri di profondità, lungo i tunnel realizzati proprio dagli abitanti del piazzale e usati per tutta la durata della guerra. Così come durante l’intero conflitto l’Esercito popolare, fedele alla Repubblica, tentò di rispondere ai bombardamenti nazifascisti allestendo la postazione di contraerea al Turó della Rovira, sul monte del Carmel, dove sono ancora aperti ai visitatori i bunker e le residenze degli ufficiali repubblicani.

Alcuni dei numerosi manifestanti indipendentisti incontrati per le strade di Barcellona.

Nella complessità di una Storia che in Spagna fatica a trovare un’autentica pacificazione, passato e presente vanno definitivamente in cortocircuito durante i quattro giorni di viaggio della memoria quando i visitatori incrociano in strada il mare di bandiere della manifestazione indetta il 26 ottobre a sostegno dei leader indipendentisti della Catalogna, recentemente condannati a svariati anni di carcere dal Tribunale supremo. Mezzo milione di persone che già dal mattino scorre a rivoli in ogni angolo della città con quel rettangolo a bande giallorosse allacciato al collo come il mantello di un supereroe. Una forza incontenibile che crede nella separazione da Madrid e rivendica la sua identità urlandola dai balconi anch’essi pavesati di bandiere indipendentiste. Una Catalogna antispagnola che il franchismo ridusse al silenzio e che, in una lettura storica, andrebbe ascritta, oggi, al fronte democratico e progressista. Senonché l’idea di indipendentismo presuppone quella di nazionalismo, categoria da attribuire invece alle ideologie di destra. Sembra allora riproporsi in diretta, davanti ai visitatori di Parma, Reggio Emilia, Cesena e Bergamo, l’enigma a suo tempo descritto dallo storico Aldo Garosci, secondo il quale «la disgrazia dell’eroica Spagna è sempre stata quella di essere assieme in ritardo e in anticipo sul resto d’Europa», il paese della Costituzione di Cadice e, a un tempo, il primo a sperimentare i gelidi venti che si levavano dai «deserti del sud» del Novecento.