Kafka si è fermato a Parma

di Katia Torri

Parma 2019: città strana, città vetrina, in cui può capitare di vivere uno strano incubo e di non svegliarsi più nell’indifferenza generale. È capitato a Egidio Tiraborrelli, come abbiamo scritto ieri: “Gidio” per amici e compagni di ventura, 82 anni sulle spalle, un tumore ai polmoni e tanta vita vissuta, ma vissuta veramente, in giro per il mondo. Già anziano, Gidio è stato costretto a vivere in una roulotte vicino a una casa occupata perché altro non aveva. Ma sempre col sorriso, sempre disposto ad aiutare e a condividere i frutti del suo orto con vicini e altri occupanti, solidali con lui in ogni modo possibile (loro che neppure ne hanno per loro stessi).

Intanto, con i compagni e le compagne della Rete Diritti in Casa, inizia l’iter faticoso e lungo per la casa popolare e alla fine la ottiene pure. Del resto, se non spetta a un uomo vecchio e malato che ha lavorato una vita, a chi spetta? Grande festa, ma dura poco… perché, si sa, per i vari “Gidio” la giustizia fa sempre il suo corso. Ed è qui che la favola diventa un racconto che avrebbe fatto impallidire Kafka.

Tiraborrelli viene arrestato nel dicembre 2018. Perché? Vecchio e malato viene tradotto in carcere ma lui non lo sa il perché. Lo scoprirà solo dopo: nel 2012 era stato processato e condannato, a sua insaputa, con l’accusa di aver trasportato una persona oltre confine. Il reato, dopo i decreti sicurezza, è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed è nel pacchetto antiterrorismo. Noi non sapremo mai se, come diceva lui, non conosceva quella persona o se aveva solo aiutato una donna in difficoltà. E sinceramente non ci importa.

Sta di fatto che viene condannato come un trafficante d’uomini, senza alcuna possibilità di misure alternative. Tre anni, tre anni di carcere che per un vecchio malato diventano ergastolo. Né l’avvocato d’ufficio né il tribunale si erano preoccupati di far sapere al condannato del processo e della condanna, né di cercarlo. Ma la giustizia è inesorabile come un fiume in piena, se deve stroncare la vita a un poveraccio, e alla fine arriva a colpirlo. Chissà, forse proprio l’ottenimento della casa popolare ha reso questa “giustizia” ancora meno flessibile. Gidio finisce in carcere, è confuso e l’unico contatto è una volontaria del carcere, che coglie subito la gravità della situazione e cerca amici e parenti. Li trova nella Rete Diritti in Casa e da lì inizia un altro calvario, quello per far avere a Gidio un avvocato vero.

L’avvocata del movimento si muove subito, ma ottenere la nomina non è semplice e passano i giorni. Quando finalmente la ottiene, inizia l’iter per la sospensione della pena carceraria per gravi motivi di salute. Ma intanto Gidio sta sempre peggio, ha bisogno di ossigeno e l’unica bombola che c’è in carcere deve dividerla con un altro detenuto. Finalmente, dopo mesi, anche il fiume in piena si rende conto che travolgere un uomo morente non è né giusto né legale e, così, Gidio ottiene i domiciliari… quando è già in ospedale. Morirà dopo poco più di una settimana, non più piantonato ma nel silenzio generale.

O quasi, perché ora la vicenda assume rilevanza nazionale, com’è naturale che sia. Eppure, di tutto questo la stampa cittadina non scrive neanche una riga: probabilmente hanno altro a cui pensare, forse la “cena dei mille”, forse i galoppini di viale dei Mille. Ma non si può certo scrivere che a Parma, nel 2019, si può essere condannati a morire di carcere per un reato che si ignora di aver commesso. Eh no, questo sporca la vetrina, quindi sssh, silenzio. È un ordine.