La coda di paglia della Lega

di Potere al popolo – Parma

Mesi fa, dopo un lungo e travagliato percorso, i sindacati e le associazioni antifasciste e partigiane di Parma hanno stipulato un protocollo d’intesa con il Comune per la “promozione e difesa della democrazia”.  Un documento che sostanzialmente chiede alle organizzazioni che vogliono usufruire delle sale e strutture di proprietà municipale, cioè dei beni della comunità cittadina, o chiedono il patrocinio dell’ente comunale, di dichiarare la loro adesione ai valori della convivenza democratica e il rifiuto di ogni propaganda e atteggiamento fascista, razzista, xenofobo, integralista o sessista. Una dichiarazione, insomma, piuttosto generica che, rifacendosi alla Costituzione, la legge fondamentale della Repubblica, ha chiaramente l’intento di mettere in difficoltà e di scoraggiare gruppuscoli apertamente razzisti o neofascisti come Forza nuova o Casa Pound. Già ratificato dalla giunta nel maggio scorso, due giorni fa il protocollo è stato discusso e approvato a larghissima maggioranza dall’assemblea del consiglio comunale, così da poter adeguare i regolamenti municipali.

A larghissima maggioranza perché a opporvisi, con più interventi, sono stati i consiglieri della Lega di Salvini. Le argomentazioni, piuttosto deliranti, erano ancora quelle del più becero anticomunismo. Per cui, se viene nominato il fascismo non si può non far parola del comunismo. E tuttavia i leghisti si sono guardati bene da proporre un misero emendamento (che, in quella sala ideologizzata dal neoliberalismo, non crediamo avrebbe avuto difficoltà a essere approvato!).

Al contrario la ridicola battaglia dei quattro leghisti ha due intenti.

In primo luogo, vuole dimostrare ai gruppetti di attivisti neofascisti e ai nostalgici elettori del Movimento sociale italiano, poi Alleanza nazionale, ora Fratelli d’Italia, ma anche coloro sparpagliatisi nel voto a molte altre liste (compresa quella del Movimento 5 Stelle), di poter ereditare la loro fiducia, poiché oggi la Lega non vuole più essere un partito settentrionale, non sogna più il “libero nord”, ma si candida ad essere un organismo a tutti gli effetti nazionale, potremmo dire anzi nazionalista. Un partito che, dunque, in pompa magna, avanza la pretesa di rappresentare il patrio e riverito tricolore, la imperiale grandezza della Roma antica, le virtù maschie della italica razza ariana e para pim para pera…

In secondo luogo, poi, mostra ciò che è stata ed è tuttora realmente. Una forza che scarica la rabbia sociale – quella del ceto medio impoverito prima di tutto, ma anche quella dei lavoratori dipendenti e dei precari e disoccupati – su un capro espiatorio, i migranti. Una politica che ormai conosciamo bene, poiché la Lega e il suo massimo esponente – ora ministro degli Interni e vice primo ministro – ce lo dimostra ogni giorno. È facile comprendere, dunque, il fastidio dei quattro leghisti nell’assemblea del consiglio comunale. Di quel protocollo più che i riferimenti al fascismo, devono averli infastiditi i riferimenti al razzismo e alla xenofobia. Come nella favola di Esopo, la coda di paglia deve bruciare non poco.