di Francesco Antuofermo
L’assessore regionale a Infrastrutture e mobilità, Andrea Corsini, rappresenta il prototipo ideale dell’amministratore di fede PD. Ha gestito per anni la ricchezza pubblica in Emilia Romagna e col tempo la sua ascesa è diventata pressoché inarrestabile.
Nato a Cervia, in provincia di Ravenna, nel 1964, si laurea in Scienze forestali all’Università di Firenze. Diventa dirigente della Cooperativa Atlantide di Cervia dal 1990 al 2001 per poi spiccare il volo verso l’amministrazione degli affari pubblici: prima assessore al Comune di Cervia; poi fa parte della Giunta provinciale di Ravenna. Dal 2006 gli incarichi iniziano a moltiplicarsi: presidente dell’Unione di Prodotto Costa, assessore al Comune di Ravenna – con deleghe quali Turismo, Commercio, Lavori pubblici, Traffico, Protezione civile e Subsidenza.
E siccome una grande quantità di incarichi porta sempre verso una qualità superiore – lo dice la legge della dialettica – ecco arrivare il grande salto direttamente nella Giunta della Regione Emilia-Romagna chiamato da Stefano Bonaccini, dove viene promosso assessore con le deleghe che valgono, quelle che movimentano milioni di euro e che incidono sulla trasformazione del territorio suscitando l’appetito delle classi che contano: programmazione delle reti di infrastrutture e del sistema delle comunicazioni stradali, ferroviarie, portuali, idroviarie, marittime, aeree, interportuali e autofilotranviarie, programmazione dei sistemi di mobilità a livello regionale e locale e molte altre che evitiamo di citare per non fracassare i gioielli del lettore già messi a dura prova dal lungo elenco precedente.
Insomma, si può dire che ormai Corsini in Regione faccia tutto lui: è come una sorta di panno ultra assorbente in grado di accentrare il potere ramificandosi in ogni direzione, purché sia lastricata di opportunità di spesa e di affari.
Un simile personaggio non è certamente abituato a condividere le decisioni prese sotto il mantra ideologico che “le opere servono allo sviluppo”. Corsini è un amministratore pratico, non ha tempo per ascoltare cittadini, comitati o politici di varia natura che hanno speso in passato parole contrastanti rispetto ai progetti delle grandi opere più o meno utili. Tanto meno può essere preoccupato delle inconsistenti promesse elettorali del sindaco di Parma Michele Guerra che a dispetto del nome non ha alcuna intenzione di mettersi a scavare trincee per opporsi.
E infatti non usa mezzi termini per chiarire la posizione dei poteri che contano sul destino delle infrastrutture a Parma e la logica che ne promuove le iniziative. Dice Corsini: “Per quanto riguarda l’aeroporto sono stati superati i problemi e si va verso una modifica del progetto che porterà ai lavori necessari per lo sviluppo dell’aeroporto per il quale la Regione conferma lo stanziamento di 12 milioni e che riteniamo un’infrastruttura strategica”. Quindi l’allungamento della pista “si farà e sarà fino a 2.600 metri”. Perché, in sostanza, sul punto, Regione, Comune e società di gestione dello scalo “sono perfettamente allineati e concordi“.
Quindi lasciate ogni speranza o voi che protestate: Comune, Sogeap e industriali vogliono i 12 milioni di euro stanziati dalla Regione per allungare la pista e far atterrare i voli cargo e non ci saranno comitati, promesse elettorali o cittadini infuriati che tengano, a far desistere da questa decisione. La lotteria sull’assegnazione della ricchezza pubblica sembra un dado con sei facce perfettamente uguali: comunque lo si lanci vincono sempre le classi più ricche. Del resto le Grandi Opere, principalmente di trasporto, hanno sempre avuto un fascino irresistibile, rappresentando per le lobby dei grandi cantieri l’opportunità per realizzare profitti e distribuire mazzette.
La narrazione propinata dal sistema politico dominante giustifica queste opere come strumento per dare sollievo all’enorme disoccupazione esistente. Ma anche questa è una solenne falsità: ormai questi lavori sono prevalentemente meccanizzati, soprattutto quando si tratta di scavare gallerie, tanto amate dalle lobby del cemento nostrane. Sono attività capital intensive, con bassissima incidenza di mano d’opera
In Italia, secondo i dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è speso per Alta Velocità e Grandi Opere, tra PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e Sblocca Cantieri 21, oltre 110 miliardi di euro. In passato oltre 600 opere pubbliche sono state iniziate, finanziate e mai concluse in tempo per ritardi nei lavori o per non aver superato i collaudi. Il discorso vale anche per la nostra provincia. Oltre all’Aeroporto Verdi, si può dire lo stesso per la TI-BRE, un enorme serpente arenato nel nulla della campagna del comune di Trecasali, il raddoppio della via Emilia o il progetto apocalittico della centrale nucleare da costruire sotto la pancia della nostra città.
Non importa quindi quali, né che siano addirittura dannose o pericolose; conta poco che siano di alcuna utilità per le comunità o se il mondo è cambiato rispetto a quando sono state pensate. L’importante che si spenda, si faccia debito pubblico e si permetta alle banche e agli imprenditori del cemento di fare i loro profitti. Si tratta di alimentare il Grande Parassita: il complesso industriale/finanziario dominante che ancora una volta sopravvive, cresce e si riproduce come un verme all’interno del corpo sociale. Se qualche comitato si era illuso che l’elezione del sindaco in quota PD avrebbe arginato e sepolto la questione cargo, è meglio che si risvegli in fretta: va dato merito all’assessore Corsini per aver suonato la sveglia.