L’autismo non esiste. Se Parma non lo vuole vedere. Un papà racconta

di Paolo Minelli

L’autismo non esiste a Parma.
Camminando nelle strade, entrando nei musei, salendo sugli autobus.
Non c’è traccia nemmeno negli uffici, nei cortili, o tra i banchi dei mercati.
L’ho persino cercato, invano, nei giardini delle scuole, o tra scivoli e altalene nei parchi assolati. Nulla.

L’autismo non esiste. O forse si nasconde bene. Molto bene. È timido, non vuole mostrarsi. Si rifugia in casa. Per ore. Non sa cosa fare, dove andare.
Vorrei invitarlo a casa mia. Ma se poi ha una crisi? Vorrei portarlo al cinema. Allo stadio. No, troppo caos. Rischio di peggiorar la situazione. Ma non è colpa mia. È lui che è così difficile, imprevedibile. E poi continua ad aumentare. Ma sarà vero? Cosa c’è dietro? Esagerazione? Di questi tempi non ci si può fidare di nessuno. Figuriamoci di una neurodivergenza.

Un groviglio di emozioni, espressioni, bisogni speciali. La vita è fin troppo complicata, per complicarla ulteriormente. C’è da concretizzare. Risparmiare.
Uniformare. Mentre l’autismo è un’esplosione di diversità. E Parma vacilla, nel suo friggere al sole, sulla piastra rovente della Pianura Padana. Meglio fare le cose con calma. Aspettare che l’autismo si adatti. Si rassegni. Resti nel suo mondo. Perché altrimenti bisognerebbe stravolgere un migliaio di cose. Cambiare le abitudini, i gesti quotidiani. Perché altrimenti bisognerebbe spendere soldi e tempo in inclusione, equità e fare (che parolona!) lungimiranti e concreti progetti per tutti gli autistici parmigiani e per le loro famiglie. Fin da subito. Senza perdere tempo.

Sono sempre più le diagnosi prima dei 3 anni, sono sempre più gli autistici adulti ed è sempre più urgente la necessità di garantire specifici servizi, anche i più essenziali. E qui, all’ombra del Battistero non si è evoluta una cultura “autism friendly” pronta, fresca, piena di idee. Parma è rimasta indietro rispetto ad altre città emiliane e italiane. Parma è una citta ancora disabilitante. Non ancora del tutto attrezzata strutturalmente e culturalmente ad accogliere la neurodivergenza. In tutte le sue esigenze.

Le ragioni sono tante. Ma non c’è tempo per distribuire le colpe e ascoltare le scuse. Ora bisogna soltanto impegnarsi a bussare alle porte di tante famiglie.
Vedere e toccare con mano i disagi, le sofferenze, le battaglie quotidiane. E poi agire, agire per garantire a ciascun autistico il diritto all’autonomia (il più possibile) o, nei casi più gravi, almeno una vita piena e serena. E non può essere soltanto un impegno del Comune o dell’Ausl. Ci vuole una città intera che collabori. Insegnanti, educatori, datori di lavoro, ma anche negozi, mezzi pubblici, uffici, ambulatori privati. Locali, strade e parchi con cartellonistica inclusiva. Spazi adattati a gestire l’ipersensibilità a luci, rumori, affollamento. Occasioni di lavoro. Centri diurni. Punti informativi. Strutture per il “dopo di noi”. Questi sono solo alcuni esempi. L’Italia è piena di iniziative, già avviate da anni, collaudate ed efficaci per garantire il diritto alla salute e all’autonomia di cittadini autistici. E Parma non deve rimanere indietro. Non deve lasciare che la battaglia a una vita dignitosa di queste persone sia combattuta unicamente dal gravoso impegno dei genitori (sempre più devastati dalle fatiche), supportati da un pugno di associazioni.

Partecipare al loro “vivere insieme” è una sfida che non può essere rimandata. Perché è una sfida che ci riguarda tutti. Se vogliamo essere una comunità proiettata nel futuro dobbiamo avere un obiettivo: costruire insieme, giorno dopo giorno, una Parma dove “l’autismo non esiste”. Davvero “non esiste”.
Perché si è talmente uniti nella diversità, da far scomparire per le strade ducali ogni barriera sensoriale e culturale.