Droga a scuola: polizia e repressione sono la risposta?

di Cristina Quintavalla

 

Diversi genitori riferiscono preoccupati che giovedì scorso, 17 novembre, le forze dell’ordine, con l’ausilio di cani anti-droga, sono penetrati in alcune scuole superiori e hanno perquisito gli studenti alla ricerca di sostanze consumabili presumibilmente all’interno. Costretti ad aprire gli zaini, a svuotare le tasche, a togliersi qualche indumento, ad essere tastati, hanno subito controlli invasivi e traumatici, di natura repressiva, senza che l’autorità scolastica lo impedisse e ne difendesse l’integrità. Pare addirittura col beneplacito della dirigenza scolastica.

I giovani, molto turbati, forse per la prima volta, non hanno riconosciuto la loro scuola e si sono sentiti abbandonati a loro stessi.  L’obiettivo raggiunto dal blitz è stato quello di rendergliela estranea e parte integrante di un sistema di controllo e di omologazione violenta. La scuola per sua natura invece deve percorrere la strada della relazione, della conoscenza, della sensibilizzazione, della prevenzione. Non può non porsi in ascolto, cercare di capire e accogliere. Quale trattato psico-pedagogico, quale sociologo, quale psico-terapeuta sosterrebbe mai che la strada efficace per dissuadere i giovani dall’uso e abuso di sostanze sia quella della criminalizzazione, della demonizzazione, della repressione?

Peraltro, chi ipocritamente non vuol vedere cosa viene consumato fuori dalla scuola, nelle discoteche, nelle feste, dai giovani e dai meno giovani, chiede repressione nelle scuole e assoluta licenza fuori. I benpensanti, adulti compresi, che predicano bene e razzolano male, nel chiuso delle loro vite fanno di alcol, cocaina o psico-farmaci il lasciapassare alla loro sopravvivenza.

Federico Bernini, grande maestro di intere generazioni di giovani, oltre che insigne grecista e latinista del Regio Liceo Romagnosi, antifascista, sottosegretario alla Pubblica Istruzione, educò alla ribellione al fascismo, coprendo spesso quegli studenti che violavano le ferree ed ipocrite regole della scuola fascista. Tra questi Aldo Braibanti, vittima di una giustizia ingiusta, che lo additò come “mostro”.

Braibanti, rinchiuso nel carcere di Rebibbia nel 1968, scrisse questi versi:

“[…] voi avete venduto abusato massacrato per sole parole
voi siete fermi all’orda- perseguitate torturate braccate il diverso […]
la vostra idea è natura
castrata “