Presidio alla Lidl in via Venezia. “La lotta di Adil continua”

di Igor Micciola

Venerdì 18 giugno un camion ha travolto e ucciso Adil Belakhdim, sindacalista in forza al Si Cobas, durante un picchetto davanti alla sede logistica di Lidl a Biandrate, in provincia di Novara. Come successo in tantissime altre città italiane, anche a Parma si è deciso per un presidio di fronte a uno dei negozi della catena di discount tedesca: stamattina, un centinaio di persone si sono ritrovate all’ingresso della Lidl di via Venezia. A organizzare l’evento, Si Cobas Parma, Adl Cobas Emilia-Romagna, rete Diritti in Casa, Ecologia Politica Parma e Art Lab Bene Comune

Tra quotidiani, social e media vari si parla per lo più di “tragico incidente”, il cui responsabile è già stato fermato. Quindi, in molti potrebbero pensare: cosa c’entra la catena di supermercati, perché protestare contro la multinazionale? È vero, il responsabile materiale della morte di Belakhdim è uno ed è stato arrestato. Ma se questo giovane camionista ha prima litigato con gli operai in manifestazione di fronte al magazzino, per poi tentare di forzare il posto di blocco fino a uccidere il sindacalista, non è per un’inspiegabile volontà assassina del singolo, una follia che si risolve punendo il dipendente con il carcere.

La risposta alla domanda, così sapientemente suggerita dal mainstream dell’informazione, si ritrova i ognuno degli interventi che si sono susseguiti dalle 10:00 di oggi, durante il presidio in via Venezia: la volontà che diventa assassina e la follia sta nel modello di produzione, sta alla base delle decisioni prese nei consigli di amministrazione delle grandi (e piccole) aziende. Sta in un modo di ragionare e di calcolare che non si preoccupa di calpestare la vita stessa delle persone. E se capita, sono danni collaterali, come in guerra, e si può derubricare tutto come un “tragico incidente”. È questo modo di ragionare che si trova a monte ad aver portato, a valle, la tragedia: è questa la causa vera e propria per cui il crumiro ha spinto sull’acceleratore, andando paradossalmente contro chi, in quel momento, protestava anche per i suoi diritti. Non a caso, gli esempi di questi danni collaterali inaccettabili negli ultimi tempi si stanno moltiplicando, come non manca di ricordare chi prende il microfono durante la manifestazione: solo per fare qualche esempio, una morte molto simile l’ha incontrata qualche anno fa Abd El Salam, e sempre per motivi di produzione si è deciso di manomettere i sistemi di sicurezza dell’orditoio che ha ucciso l’italianissima Luana D’Orazio. Il profitto, evidentemente, non è razzista.

Viviamo in un racconto distopico, dove l’iper-razionalità porta al suo esatto contrario, a un sistema di produzione che da efficiente diventa distruttore. Come in un racconto distopico, ci piacerebbe poter dare la colpa alle macchine, ad androidi fuori controllo, ad algoritmi che scelgono l’estinzione dei propri creatori e per cui basterebbe spegnere un interruttore. In un certo senso è così. Ma ad essere davvero fuori controllo è il modo in cui pensano esseri umani in carne e ossa, persone con nome e cognome a capo di grandi gruppi che esercitano un potere economico, e quindi politico, enorme. Stavolta il gruppo di persone in questione si nasconde dietro il nome Lidl. E il minimo che si può fare è ritrovarsi all’ingresso di uno dei suoi negozi, per ricordare, a chi stamattina aveva bisogno solo di fare la spesa, la morte di Adil Belakhdim, cioè l’omicidio di un immigrato in lotta proprio contro quella macchina impazzita che è la grande mente collettiva del neoliberismo.