Aumenta l’occupazione? Quella avvelenata

di Cristina Quintavalla

Gran squillo di trombe: è aumentata l’occupazione a giugno 2022 rispetto al mese di maggio. I titoli sui media si sprecano, a dimostrazione che il governo Draghi faceva davvero il bene di tutti gli italiani. Un risultato positivo per le classi povere di questo paese andrà ben portato alle urne a memoria del “governo dei migliori”! La Nota trimestrale di Istat sulle tendenze dell’occupazione del I trimestre 2022, pubblicata il 21 giugno 2022, tratteggia in realtà un quadro ben più fosco del paese.

Se si assiste alla ripresa della domanda di lavoro in termini di posizioni lavorative dipendenti, anche a seguito del recupero delle perdite subite per la pandemia,

–             le posizioni lavorative a tempo indeterminato presentano un nuovo aumento tendenziale (+268 mila unità in un anno, sai che numero!), “sebbene meno intenso rispetto ai precedenti trimestri del 2021 (era +299 mila nel quarto, +310 mila nel terzo, +371 mila nel secondo e +399 nel primo trimestre 2021)”

–             diminuisce il numero medio di giornate retribuite

–             aumentano fortemente le posizioni in somministrazione (+4,8% in termini congiunturali e +20,8% su base annua), “confermando la diffusione del ricorso a questa tipologia occupazionale nel periodo di rientro dalla fase più acuta della pandemia”

–             prosegue nel primo trimestre 2022, e per il quarto trimestre consecutivo, “a ritmi più intensi l’aumento del numero di lavoratori intermittenti (+97 mila unità, +83,0% rispetto al primo trimestre 2021”

–             i lavoratori a chiamata hanno svolto in media ben 10,1 giornate retribuite al mese (erano 10,3 giornate un anno prima) e sono stati utilizzati ben oltre i soli settore del turismo, dello spettacolo e dei pubblici servizi

–             il 33,3% delle posizioni lavorative attivate a tempo determinato ha una durata prevista fino a 30 giorni, il 9,2% un solo giorno, il 27,5% da due a sei mesi, e l’1,0% supera un anno

–             aumenta l’incidenza “sul totale delle attivazioni dei contratti di brevissima durata (19,7% fino a una settimana, +2,9 punti in più rispetto al primo trimestre 2021)”.

Si tratta peraltro di dati destagionalizzzati, decurtati del prevedibile abuso dei lavoratori stagionali, sfruttati oltre il limite della decenza. A cosa, d’altro canto, dovevano servire le norme capestro sul lavoro precario, interinale, somministrato, approvate dai governi Berlusconi, Renzi, Draghi? L’impresa che si avvale dei contratti di somministrazione, grazie ai decreti attuativi del jobs-act, non è nemmeno più tenuta a giustificare l’instaurazione di questi tipi di rapporto di lavoro. Recentemente il governo Draghi ha messo la ciliegina sulla torta: ha approvato una norma che deresponsabilizza l’impresa rispetto al pagamento delle retribuzioni, qualora l’agenzia, che le affitta i lavoratori, non voglia o possa farsene carico.

Lo sfruttamento oggi percorre strade inconsuete e per ciò stesso performanti. Con commovente candore un paio di  anni fa Confindustria scriveva che “l’antica partizione fra autonomia e subordinazione è destinata a diventare sempre meno netta”, alludendo ai lavoratori trasformati in “collaboratori”, “soci”, addirittura “imprenditori di sé stessi”, dentro società o cooperative più o meno improvvisate, con partite-Iva che scaricano su chi continua a fare lavoro sfruttato anche  le spese per la sua sopravvivenza, dentro piattaforme digitali dai nomi suggestivi, che rendono informali l’attività  e la vita. Di nuovo, in realtà, in queste forme di occupazione c’è l’espulsione del lavoro contrattato, regolamentato, stabile. Apparentemente fuori dal rapporto produttivo, appaltati per compiere una piccola mansione in un breve tempo, “prestati” a chi formalmente non è il datore di lavoro, senza relazioni sociali, politiche, sindacali, perennemente affacciati sul baratro, i cosiddetti “soci” o “collaboratori” assistono soli e impotenti all’assottigliamento di salari e tutele e i cosiddetti “imprenditori” all’evaporazione del reddito, senza riuscire a capirne le ragioni. O meglio, in questa indistinta percezione di un’ingiustizia subita, non si vede la controparte.

Questo è il modello che si impone, funzionale a ridurre il costo del lavoro, inversamente proporzionale all’infinita platea di disoccupati sul mercato globale del lavoro. Non è facile capire che questo processo di trasformazione del lavoro e di ristrutturazione del capitale è in grado, anche nella sua era di digitalizzazione e finanziarizzazione, di mettere a segno nuove forme di valorizzazione del valore e di disinnescare al contempo ogni possibile forma di lotta di classe. Eppure nel momento in cui il grande capitale amplia l’universo del lavoro reso invisibile, nello stesso tempo potenzia i meccanismi generatori di plus-valore, senza che l’impresa stessa ne sia formalmente la diretta controparte.

Questo è il dato di realtà che tutti vogliono celare: il lavoro ridotto sempre più, e in prospettiva completamente, a prestazione a carattere discontinuo secondo le richieste dell’impresa, che non se ne assume in alcun modo la responsabilità in termini di retribuzioni, tutele e diritti. Che il lavoratore si arrangi. Il mercato offre forme di welfare privato: se lo vuoi, te lo paghi. Se non vuoi, crepa. Tanto nessuno ti vede. Oggi lo sfruttamento rende le persone eccedenti, scartabili, invisibili. Lo sfruttamento modella la vita delle persone. Ne determina le condizioni materiali e quelle esistenziali. Non sei solo povero, sei marginale, perdente. Ti percepisci senza valore, non in grado di competere all’interno di un sistema fondato sull’ingiunzione ad essere vincenti e sulla colpevolizzazione di coloro che non riescono a conformarsi ad esso.

Ci sorprende tutto questo? Ciò che talvolta non si considera è che nelle pieghe di questo massacro del lavoro ci sono anche le ceneri della sinistra. Della finta sinistra, la maggiore responsabile di questo massacro, assimilabile in tutto e per tutto alla destra filo-capitalista e liberista, ma anche di quella sinistra cinica e ondivaga, rimasta senza bussola e senza punti di riferimento. Quando manca il punto di riferimento fondamentale ogni nuovo tentativo è un vagare senza meta, sempre più fiacco, una sorta di truccata riproposizione di giochi di ruolo e di formule alchemiche senza prospettiva.

Il nodo centrale di qualsiasi piattaforma di sinistra non può che essere la riapertura della conflittualità, in virtù del riconoscimento e con esso del rovesciamento del lavoro salariato, ricattato, umiliato, sottopagato, precarizzato, pena il confinamento all’impotenza, determinata dall’impossibilità di spostare i rapporti di forza. L’ alternativa di società non può che essere sottratta ai processi di accumulazione capitalistica, senza più sfruttamento sulle vite delle persone e della natura. Ci sorprende che gli eccedenti, gli scartabili, gli invisibili scioperino dal voto? Almeno quello…