Parma ha la memoria corta

di Cristina Quintavalla*

Tra il 2010 e il 2015 la Magistratura di Parma ha aperto ben sette inchieste: Green Money 1, Green Money 2, Easy money, Ospedale vecchio, Spot money, Public money, Spip, Stu Pasubio. Decine e decine i dirigenti pubblici, i manager, gli imprenditori, figure del sottobosco vignaliano, finiti in carcere a partire dal giugno 2011.

Tra essi il Tribunale di Parma, in composizione collegiale nell’ambio dell’inchiesta Public money, condannava Vignali, sindaco del Comune di Parma; Giuseppe Villani, ex vice presidente di Iren, ex consigliere regionale, dirigente del PdL, a 4 anni e 8 mesi; Andrea Costa, ex presidente di STT, la holding comunale che coordinava molte società partecipate, a 7 anni e ad una multa di 400.000 euro; Angelo Buzzi, imprenditore ed editore, a 3 anni e 10 mesi.

La tesi degli inquirenti era che tra il 2007 e il 2011 erano state sottratte ingenti somme di danaro pubblico tramite società partecipate e finte fatturazioni. C’è chi ha patteggiato, chi ha beneficiato della prescrizione, chi è andato assolto in appello per un capo di imputazione.

Vignali doveva rispondere di 10 capi di accusa, 2 per reati di corruzione e 8 per reati di concussione. Arrestato nel 2013, posto agli arresti domiciliari, sottoposti a sequestro quasi 2 mln di suoi beni, l’ex sindaco Vignali nel 2015 ha patteggiato una pena di due anni (sospesa) dopo aver accettato di versare un cospicuo risarcimento, 550.000 euro al Comune di Parma, che si era costituito parte civile. Le condizioni poste dal Comune, pena la sua opposizione, erano quelle di pervenire ad una congrua offerta di risarcimento da parte di Vignali, colpevole di “aver depredato la città”.

Il patteggiamento è un istituto che serve a liberare dai carichi pendenti. La sentenza di patteggiamento è però una sentenza di condanna. In quanto rito alternativo, tra i benefici connessi, oltre ad uno sconto di pena e alla mancata applicazione di pene accessorie, prevede l’estinzione del reato. In tal caso, il condannato ha la facoltà di presentare una istanza direttamente al giudice che ha emesso il provvedimento a condizione che nel termine di 5 anni non commetta un delitto della medesima indole.

Allora la domanda è semplice: come può riproporsi alla carica di primo cittadino una persona che ha riconosciuto la sua colpevolezza per reati proprio contro la pubblica amministrazione? Dal punto di vista morale e penale l’imputato è stato condannato. L’estinzione non sbianchetta i fatti consumati contro la pubblica amministrazione soprattutto davanti ai cittadini e alle cittadine. E non ci riferiamo, perlomeno in questa sede, al reticolo selvaggio di favori, privilegi, clientele coltivate nel corso della lunga stagione di governo del centro-destra della città.

La stampa locale dell’epoca aveva profuso una quantità impressionante di riferimenti: favori ad aziende nell’assegnazione di appalti; cambi di destinazioni ad hoc; edifici al centro di scambi; soggiorni lussuosi in località di mare in cambio dell’autorizzazione ad un dehors; multe cancellate, plateatici non pagati; dirigenti di banche, di cui si è soci, diventati consulenti di partecipate; incarichi ricevuti per lavori fittizi; godimento di benefit non dovuti; nomine in enti o partecipate, oggetto di interessamenti e pressioni; campagne elettorali fatte pagare a società operanti nel verde pubblico; persino analisi del vino di vigneti di proprietà privata di un arrestato, attraverso soldi pubblici di STT, etc.

Questi esempi aprono certamente uno squarcio nella miseria umana, ma sono ancora quisquiglia rispetto alla costruzione di un vasto, organico piano politico-affaristico, che si è andato delineando nel corso di 14 anni di governo. La corruzione in sé dice ancora poco. Interessante è invece vedere, attraverso il buco che apre, l’architettura di un sistema di potere, quello ubaldiano-vignaliano per l’appunto, fondato sull’intreccio tra politica, banche, imprenditori/costruttori.

Tale sistema si è dispiegato, in estrema sintesi, lungo i seguenti assi:

  1. moltiplicazione di società partecipate al fine di:
    – spostare il debito fuori bilancio, eludere il patto di stabilità e soprattutto i controlli pubblici
    – distrarre fondi dalle società partecipate
    – trasferirvi risorse comunali a copertura di operazioni finanziarie speculative
    – aumentare il debito con le banche, fornendo loro come garanzia (v. lettere di patronage) il patrimonio pubblico (edifici storici, immobili, aree, risorse, azioni IREN ecc.) ed attribuendo al sistema del credito un ruolo decisivo;
  2. uso strumentale del debito, trasformato in una trappola, poiché il suo spropositato incremento è servito a giustificare la privatizzazione di servizi, di beni pubblici e la loro cessione/concessione ai privati;
  3. subordinazione della pianificazione pubblica agli interessi privati, volta a favorire la costruzione, affidata a note imprese e società, di infrastrutture e grandi opere finanziate con fiumi di danaro pubblico, sia erogato dalle partecipate, che da altri enti pubblici, soprattutto dallo stato;
  4. privatizzazione della macchina comunale e del patrimonio pubblico: gli immobili, le aree, le aziende municipalizzate, i servizi educativi, per gli anziani, per i giovani; la manutenzione del patrimonio pubblico (strade, verde, immobili comunali, illuminazione); i servizi comunali; i beni comuni- acqua, energia, rifiuti, trasporti;
  5. incremento artificiale della rendita e del valore delle aree e degli immobili attraverso grandi urbanizzazioni e imponenti infrastrutture, che hanno assicurato profitti gonfiati alla lobby dei costruttori e aumenti del 100% del valore degli immobili e del 200% degli affitti.

In altre parole, l’intero mercato immobiliare, artatamente gonfiato con opere speculative affidate ai privati e in larga parte finanziate con danaro pubblico, o favorite dall’intervento pubblico, è stato il volano di una valorizzazione speculativa, nel cui gorgo sono state coinvolte banche, lobby affaristiche, costruttori (vedi SPIP). Tutta questa corte di miracolati ha maneggiato plus-valenze, che persino Ubaldi, che pure aveva inventato STT, partecipate, Stu, Spa, dopo aver consumato la rottura con l’ex- pupillo Vignali, non esitò a definire come castelli speculativi di carta.

Non ne abbiamo avuto abbastanza?

 

*Commissione di audit sul debito pubblico