Respondus Monitor: addio alla privacy degli studenti universitari

di Redazione

Riceviamo e, volentieri, pubblichiamo il comunicato di alcuni studenti e studentesse dell’Università di Parma che, da una parte, denunciano l’invadenza e l’inefficacia del “lockdown browser” adottato dall’ateneo per svolgere gli esami a distanza, e dall’altra chiedono alla stessa università di aprire un dialogo che porti a soluzioni migliori e condivise.

L’Università di Parma ha recentemente introdotto l’utilizzo di due software per lo svolgimento degli esami scritti in remoto: Respondus Lockdown Browser e Respondus Monitor. Lockdown ha la funzione di impedire agli studenti di usare il proprio computer per altri fini se non quello di lavorare sui quesiti, mentre Respondus registra lo studente attraverso fotocamera e audio ambientale per tutta la durata dell’esame e tramite intelligenza artificiale produce un report sul suo comportamento. Di fatto, lo studente è costretto a rimanere immobile, fissare il computer, non fare movimenti ‘sospetti’, come avesse un’arma puntata alla tempia, pena il rischio di esclusione dall’esame.

Il software, in pratica, analizza il video cercando gli occhi dello studente e altri segnali, assegnandogli una percentuale di “possibilità di scorrettezza”. Come risultato, le/gli student* saranno indotti a fissare il computer per sembrare più “onesti” agli occhi della macchina. Il professore riceve, a fine esame, un report degli studenti “più scorretti”, per poi visionare i video.

Il prezzo da pagare per questa parvenza di controllo dei copiatori (che è solo una parvenza in quanto i modi per copiare rimarranno: basta, per esempio, avere due dispositivi) è però molto alto: i dati del video, per essere analizzati, vengono inviati ad una società privata (Respondus Inc., e dalla nota integrativa Unipr pare che vengano inviati anche ad Amazon Aws, a cui Respondus si appoggia), che li può trattenere per tre mesi. Inoltre, la società raccoglie i dati personali degli user che sono analizzati a loro detta per “migliorare il servizio”. In più, le/gli student* non avranno scelta: l’utilizzo di Respondus è a discrezione del/la docent*, mentre agli student* non viene data la possibilità di scegliere o meno se usarlo. O ti fai controllare, o non ti laurei.

Ciò solleva un altro problema: il software non è compatibile con tutti i dispositivi, ma solo Mac, Windows, iOS. Questo esclude gli utenti Linux e Android (tra i sistemi operativi più economici e sicuri a livello di privacy), senza fornire a chi non potesse avere i mezzi economici, un’alternativa. Richiede anche di un’ottima connessione Internet per funzionare e tra le “anomalie” che segnala c’è la perdita di segnale o la perdita di qualità dell’immagine dovuta a una connessione scadente. Inoltre, durante l’installazione il software chiede accesso alla cartella Download. Sebbene questo possa essere in buona fede (il permesso serve anche per scaricare nuovi file), non abbiamo certezze sul reale utilizzo di tale permesso. Infine, nessuno potrà conoscere tutti i dettagli sul funzionamento del programma e sull’uso dei dati personali dato che il software è proprietario. Non si potrà quindi verificare la presenza di bug di sicurezza, problemi, invasioni della privacy. Il software funziona, quindi, come una scatola nera.

Le risorse, che immaginiamo ingenti, per l’acquisto di questo servizio potevano essere spese per migliorare alcune infrastrutture informatiche (ad esempio, è davvero possibile che i siti Elly siano separati l’uno dall’altro e non ci sia un sistema unico?) ma anche per prepararsi meglio alla ripartenza di questo settembre, piuttosto che per l’acquisto di soluzioni che non risolvono problemi ma anzi complicano la vita dello studente e creano atmosfere di sospetto e stress.

In sintesi: la misura è eccessiva e di poco effetto, mentre l’utilizzo del solo Lockdown Browser su Elly sarebbe stato sensato. Dividere gli esami in sessioni da 30 persone e controllare gli studenti in videochiamata tramite Teams sarebbe una soluzione più semplice. Troviamo fortemente ingiusto che siano gli studenti a sopperire alle mancanze del sistema universitario, venendo obbligati ad essere sorvegliati e a concedere ad una compagnia privata una quantità enorme di dati personali. Soprattutto, l’Università è stata molto parca di informazioni su questo software, sulle motivazioni che l’hanno spinta a sceglierlo e sulle questioni legate al trattamento dei dati personali. Non è stato aperto nessun dialogo su questa misura, limitandosi ad annunciarne l’adozione agli studenti, con poche spiegazioni e poche garanzie.

Respondus è un software eccessivamente invadente e, al contempo, poco efficace: per questo è stata lanciata una campagna di raccolta firme perché l’adozione di Respondus venga ridiscussa, e resa a discrezione dell* student*. La campagna di raccolta firme (https://www.change.org/respondusdino) è accompagnata da una lettera in cui sono specificate le varie problematiche che Respondus pone per le/gli student* e su cui si chiede all’Università di aprire un dialogo per costruire insieme un modello di Università a distanza rispettoso e positivo.