Per combattere il razzismo non basta la morale!

di Victoria Oluboyo*

Negli Stati Uniti attualmente non si muore solamente di Covid-19 ma anche di razzismo: il 25 maggio 2020 George Floyd, un afroamericano di 46 anni è stato ucciso da un agente di polizia, dopo che per 8 minuti diceva che non riusciva a respirare, l’ agente premeva il suo ginocchio sopra il collo di George, fino a farlo morire soffocato.

Nonostante gli afroamericani negli States rappresentano solamente il 13% della popolazione, sono le persone più colpite dall’odio e dal razzismo. La brutalità e la violenza della polizia nei loro confronti è all’ordine del giorno.

Gli Stati Uniti che dicono di portare la democrazia all’estero, dovrebbero farsi un esame di coscienza e domandarsi dove abbiano sbagliato, visto che le diseguaglianze nel paese sono in continuo aumento.

Si credeva che un presidente nero avrebbe cambiato le cose ma cosi non è stato, molto spesso si dimentica che i cambiamenti non possono essere imposti dall’alto, ma avvengono quando cambia una società. La società americana non era pronta e non lo è tutt’ ora.

Per le persone bianche è molto difficile accettare e riconoscere di avere un privilegio, di certo se fosse stato un uomo bianco, sarebbe andata diversamente. Il privilegio che hanno è stato definito con il termine “white privilege”: è un privilegio sociale che avvantaggia i bianchi rispetto ai non bianchi, in particolare se si trovano nelle stesse condizioni sociali, politiche ed economiche, e ritrova le sue radici nel colonialismo europeo. I pochi che contrastano questo privilegio pensano di contrastarlo affermando che siamo tutti uguali, ma non esiste frase più sbagliata.

Questo modo di pensare viene definito COLORBLINDNESS, una forma di razzismo, con il quale si negano le differenze culturali che spesso mettono le persone a disagio, accettare di essere in una posizione avvantaggiata e dominante è difficile da accettare per i bianchi. Invece di affrontare il problema, lo si ignora. Il privilegio bianco fa credere che un problema non esista solo perché non tocca le persone in questione.

Essere persone di una minoranza nel paese considerato più democratico al mondo è una condanna a morte.  Triste e raccapricciante vedere un padre/madre che deve insegnare ai propri figli come difendersi e/o tutelarsi nel caso si subisca un’aggressione dalla polizia, per evitare di morire.

Non bisogna pensare però che tutto questo sia lontano dal pensiero europeo ed Italiano, riguarda anche noi. Bisogna innanzitutto partire dai “wannabe antirazzisti” che tutto fanno tranne che fare antirazzismo.

Vedo spesso che tutti si considerano antirazzisti fin quando non è il momento di esporsi e di schierarsi, dopo la morte di George Floyd invece di fare una seria analisi sul razzismo in Italia, i partiti a livello nazionale e locale sia di destra che di sinistra hanno taciuto, il massimo che è stato fatto è stata la condivisione di una foto.

La discussione è stata promossa solo da coloro che come me subiscono discriminazioni: donne, diversamente abili, il mondo LGBTQIA+ e persone di origine straniera, gli altri? Non pervenuti o comunque pochissimi. Bisognerebbe essere coerenti con quello che si dice.

Le morti non ci sono solo oltreoceano ma anche qui: Soumalya Sacko, Idy Diene, Cheikh Diouf, Emmanuel Chidi Namdi e tanti ancora, tutte morti a sfondo razziale. Non bisogna dimenticare Luca Traini che a Macerata in nome del suprematismo bianco ha tentato un attendato a sfondo razziale, Zhang aggredito ad una stazione di servizio perché considerato positivo al covid-19, Houda insultata a Milano all’interno della metro solo per indossare il velo, una giovane filippina di soli 17 anni picchiata in strada da suoi coetanei che nemmeno conosceva, e particolare attenzione vada anche al caso Bonsu, picchiato dalla polizia municipale a Parma. Questi non sono episodi isolati o sporadici, mostrano un paese RAZZISTA.

Negli ultimi anni le aggressioni sessiste e xenofobe sono aumentate, le persone si sentono in diritto e in dovere di esternare cose che fino a qualche anno fa si vergognavano solo di pensare. La nostra società si sta incattivendo e sta ricercando un capro espiatorio da utilizzare come valvola di sfogo.

L’anno scorso quando ho svolto l’esame di Diritto Ecclesiastico, il professore al termine dell’esame mi ha chiesto se stessi bene, cosa provassi a sentire i racconti quotidiani di discriminazione verso una determinata categoria di persone, risposi che non era facile.

Sinceramente è estenuante, sono stanca ma soprattutto siamo stanchi. Si rischia che un’intera generazione sia mentalmente instabile, vulnerabile e insicura di se stessa per il solo fatto di avere la pelle nera o comunque di essere visivamente diverse.

Questa è l’Italia di oggi dove non veniamo accettati per quello che siamo, dove per l’opinione pubblica non possiamo essere italiani, dove è possibile che passi una norma che vede i migranti come un’oggetto per il soddisfacimento di interessi a breve termine, dove passeggiare per le strade diventa pericoloso perché si può incontrare la persona sbagliata che vedendo in noi la “diversità” si sente minacciato/a.

Questo mostra il modo in cui la diversità viene vista e questo poi, traspare nel modo in cui le donne, le persone Lgbtqia+ e i diversamente abili vengono trattati.

Il razzismo in Italia e nel mondo si sconfiggerà solo ed esclusivamente se verranno attuati strumenti concreti. Non basta l’ora durante l’assemblea d’istituto dove si parla di razzismo o iniziative sporadiche, ma la concreta denuncia delle pratiche razziste, visto che in molti credono che cancellando dai libri di storia scolastici i capitoli sul colonialismo e la segregazione, tutto si possa dimenticare. Mentre la realtà è diversa.

Bisogna avere il coraggio di riconoscere i propri privilegi e saperli affrontare discutendo con le minoranze del paese le politiche da attuare, solo così si arriverà ad un cambiamento concreto.

 

* attivista della Casa delle donne di Parma