Il diritto all’abitare non può essere trattato come business

da Rete Diritti in Casa

L’emergenza sanitaria legata al Covid 19 e la conseguente crisi economica che sta esplodendo mettono a nudo tutte le inadeguatezze del sistema capitalistico. Sono sotto gli occhi di tutti le paurose lacune in campo sanitario e l’impreparazione dei paesi a sviluppo capitalistico avanzato a far fronte a un’epidemia che tutti i virologi prospettavano come altamente probabile. Ora, stanno venendo sempre più in evidenza le povertà e le disuguaglianze sociali che prima del Covid si cercava di nascondere sotto il tappeto dell’emarginazione sociale, ma che ora stanno colpendo settori che prima ne erano solo sfiorati.

La realtà è che questo sistema non lascia sgocciolare risorse sufficienti verso le fasce più povere della popolazione neanche quando gira alla massima velocità, figuriamoci ora che per forza di cose deve rallentare la corsa. Per sopravvivere il capitalismo è sempre alla disperata ricerca di settori da mettere a profitto. Quello delle abitazioni è stato uno dei privilegiati. Ben lungi dall’essere un diritto naturale, sul bisogno essenziale di ogni essere umano di disporre di un alloggio in cui vivere si sono costruiti affari, speculazioni, depredazioni di suolo, assalto ai territori. La Covid-Crisi sta facendo affacciare all’emergenza abitativa nuovi soggetti. L’Italia è uno dei paesi europei con il numero più basso di alloggi a canone sociale (case popolari). Solo il 4% della popolazione è in un alloggio Erp. In totale, circa il 20% della popolazione vive in affitto e i dati statistici confermano che a vivere in affitto sono i più poveri, i giovani, chi ha un lavoro precario e spesso chi è in affitto non beneficia di una rete di protezione famigliare, come nel caso dei migranti.

La crisi va a colpire proprio queste fasce della popolazione. Quindi, una volta scaduta la sospensione degli sfratti prevista per il 1° settembre, inevitabilmente ci sarà un’ondata di esecuzioni per gli sfratti finora sospesi e nuovi provvedimenti giudiziari per chi in questi mesi non è riuscito a pagare. La crisi degli alloggi è destinata a essere una delle conseguenze più brutali di questa fase e allo stesso tempo dimostra la drammatica inadeguatezza delle politiche abitative finora messe in campo, oltre all’assurdità di avere affidato al libero mercato una questione così centrale per l’esistenza degli umani.

La legge che ha liberalizzato gli affitti, la legge 431 del 1998, approvata guarda caso da un governo di centro-sinistra con l’appoggio dei sindacati istituzionali Cgil-Cisl-Uil, ha fatto sì che gli affitti conoscessero un’impennata paurosa, e ha fermato in modo quasi definitivo le già timide politiche di diffusione dell’edilizia residenziale pubblica. Da allora, il campo delle abitazioni è diventato uno dei terreni privilegiati per gli investimenti con grandi e piccoli speculatori, che si sono lanciati nel settore per approfittare della fame di case dei settori sociali costretti a ricorrere all’affitto. Con la crisi del Covid saranno in tanti a non poter più pagare e dubitiamo del fatto che gli speculatori abbiano un’anima e che rinuncino alla rendita ricontrattando al ribasso i canoni. Questa crisi potrebbe essere l’occasione di un cambio radicale di paradigma. Le politiche pubbliche sulla casa potrebbero avere un rilancio, anche ricorrendo alle requisizioni delle centinaia di migliaia di alloggi che in Italia sono lasciati vuoti, si potrebbero bloccare i pagamenti degli affitti, delle rate dei mutui e delle bollette per chi è colpito dalla crisi e tante altre pratiche volte all’affermazione del diritto alla casa per tutti. Invece, nel decreto del Governo, denominato Decreto Rilancio emesso dal Consiglio dei Ministri, non si prende assolutamente in considerazione la questione del diritto all’abitare per chi non ha una casa.

Non è certo l’unica mancanza di un decreto che sembra orientato a sostenere imprenditori e imprese più che i cittadini, comunque gli unici accenni agli affitti riguardano le locazioni per le imprese, alle quali viene riconosciuto un credito d’imposta del 60% e la riduzione delle tariffe per le utenze (oltre a contributi a fondo perduto). In un altro punto del decreto compaiono 140 milioni per il contributo affitto e per la morosità incolpevole. Questi fondi, che pure possono costituire un momentaneo sollievo per gli affittuari che riescono ad averli, in realtà costituiscono una garanzia soprattutto per la rendita dei proprietari. Con questi fondi (soldi di tutti noi) lo Stato sostiene le speculazioni del settore immobiliare garantendo ai proprietari di ricevere il pagamento dell’affitto anche in caso di difficoltà economica dell’inquilino, mantenendo alto il livello degli affitti stessi e perpetuando il processo di mercificazione dell’abitare.

Il decreto contiene anche una misura denominata reddito d’emergenza destinata alle categorie che non rientrano nelle casistiche cui vengono attribuiti uno dei tanti, frammentati, miseri ed estemporanei contributi che il governo si è inventato invece di attribuire una forma di reddito stabile e uniforme per chi è in difficoltà economica. Questo reddito d’emergenza (per il quale avrebbero dovuto stanziare 3 miliardi di euro e non il misero miliardo alla fine decretato) con gli altri provvedimenti di sostegno al reddito come la Cig, il Fis, il contributo per i lavoratori autonomi, il reddito di cittadinanza etc., se non associato a un provvedimento forte per alleggerire il peso degli affitti, dei mutui e delle bollette (blocco o imposizione di riduzioni unilaterali del peso del canone, dei mutui e delle tariffe delle utenze), rischia di divenire un mezzo per fare arrivare i soldi al padrone di casa, alle banche e alle multi utility che gestiscono acqua luce e gas, sottraendo soldi per altre esigenze fondamentali e garantendo anche in questo caso prioritariamente la rendita e gli affari privati.

Se le tendenze del governo sono queste, si può agilmente realizzare che si perde l’occasione per cambiare rotta e che l’intenzione del governo è di lasciare al mercato il monopolio della questione abitativa, senza tenere conto del fatto che ci si sta avviando verso una situazione di crisi mai vissuta negli ultimi 70 anni, con un contesto sociale che si prospetta drammatico anche per milioni di persone che non avevano mai avuto a che fare con la povertà eclatante. L’unica cosa che si cerca di tutelare sono gli incassi dei proprietari e gli interessi degli imprenditori. Quindi il principio “nessuno deve rimanere indietro” più volte ripreso come slogan propagandistico, anche in questo caso viene bypassato.

Per uscire dalla crisi lo stato orienterà sempre di più il suo agire verso investimenti pubblici per grandi opere. Naturalmente gli industriali spingono per grandi investimenti infrastrutturali di cui non si capisce più l’utilità, visto che si è già costruito di tutto e di più negli ultimi decenni in questo campo. A Parma, per esempio, si profila la costruzione di un enorme aeroporto cargo di cui beneficerà soprattutto l’enorme magazzino Amazon in arrivo in città, ma che porterà alla città ulteriore inquinamento, crisi del piccolo commercio e sfruttamento sul lavoro. Quello che servirebbe sono gli investimenti nei servizi pubblici (scuole ospedali) ma anche e soprattutto nel settore dell’edilizia popolare, ricorrendo alla requisizione delle centinaia di migliaia di alloggi lasciati vuoti e al recupero degli immobili pubblici non utilizzati, che lo Stato è solo capace di mettere in vendita per fare cassa.

Risulta chiaro che governo e padroni vorrebbero tornare alla situazione precedente, con l’unica variante dell’esclusione da un minimo di benessere di qualche milione di persone in più. Toccherà ai movimenti di lotta, e alla loro capacità di attirare verso di sé le nuove fasce popolari aggredite dalla crisi, rispondere adeguatamente per avviare una strada diversa. “Housing for people, not for profit”. Questa era la parola d’ordine dell’housing day of action promosso dall’European Coalition per il 28 marzo 2020. Verso questa parola d’ordine, la casa per viverci e non per fare speculazione, dev’essere orientata qualsiasi mobilitazione e qualsiasi rivendicazione per il diritto effettivo all’abitare.