Ceci n’est pas une école

di Giacomo Montagna*

Dopo quasi due mesi di didattica a distanza (per gli addetti ai lavori Dad) possiamo affermare che, nonostante le varie dichiarazioni positive della ministra Azzolina a riguardo, la scuola digitale è un colabrodo. Sarebbe meglio dire che questo è un periodo di non scuola, visto che è assente quell’unità di tempo, luogo e relazioni che caratterizzano l’efficacia e l’importanza sociale di questa istituzione all’interno della vita delle persone.

Al posto di chiamarla didattica a distanza sarebbe stato più corretto “didattica in emergenza”, dato che chiunque viva la scuola ha già capito come la didattica in presenza sia insostituibile da questo surrogato online della vita di classe. Dopo la chiusura delle strutture scolastiche a fine febbraio, gli/le insegnanti sono stat* i/le prim* ad attivarsi per non perdere il contatto con le/i propr* alunn* e, attraverso ogni mezzo, hanno provato a fornire materiale per proseguire le attività didattiche. A queste iniziative spontanee seguiva, una settimana più tardi, la prima direttiva del ministero, che formalizzava come prassi la Dad, fino ad arrivare a renderla obbligatoria più di recente, paventandone addirittura il suo utilizzo a settembre.

Senza soffermarsi sul fatto che rendere obbligatoria una particolare modalità didattica lede profondamente il diritto di libertà di insegnamento de* docenti, la Dad ha altre pesanti criticità che si fondano, come del resto anche nel caso del sistema sanitario, sulla svalutazione e l’impoverimento dell’istituzione scuola nel corso degli ultimi decenni. Vediamo le più evidenti:

  1. Non è accessibile a tutt*. Secondo dati Istat, un terzo delle famiglie italiane non possiede un computer; dato che si aggrava parecchio prendendo in considerazione le zone più economicamente svantaggiate del paese. E questo non vale solo per gli/le alunn* ma anche per gli/le insegnanti che spesso si trovano a lavorare con apparecchi tecnologici scadenti e connessioni scarse.
  2. Senza la corretta consapevolezza dei mezzi, alunn*, genitori e insegnanti si trovano ad essere attori passivi di una didattica incasellata in un foglio Excel che rende le/i ragazz* nient’altro che numeri in un elenco, e gli/le insegnanti annoiati contabili dispensatori di esercizi, videolezioni e live su Skype. In questo modo, lo scambio che normalmente avviene nella didattica, già di per sé problematico e sfaccettato, è impossibile da raggiungere.
  3. Rende ancora più ampia la forbice tra svantaggiat* e privilegiat* sia per quanto riguarda i mezzi, sia per quanto riguarda l’apprendimento. Infatti, se la Dad può considerarsi tollerabile se destinata ai cosiddetti “bravi*” student*, risulta inutile se non dannosa per alunn* deboli, come ad esempio gli studenti con bisogni educativi speciali, disturbi specifici dell’apprendimento o che necessitano di un’insegnante di sostegno.
  4. Le piattaforme utilizzate sono private e sono ormai quotidiani i problemi di privacy e di controllo per alunn* e insegnanti. Che il proprietario sia Google o Zoom poco importa: i nostri dati sono alla mercé di chi li vende per arricchirsi, mentre si fingono filantropi che offrono “gratis” le proprie piattaforme di digital learning.
  5. Non si può valutare il lavoro svolto in questo periodo di quarantena. La valutazione, oggetto di discussione già in tempi non sospetti, diventa l’apice del classismo in questo periodo particolare. Come si può valutare numericamente una persona, cosa già complicatissima in situazione normale, se si perde anche quella relazione quotidiana che ci permette di avere un minimo di riscontro?

Un momento così particolare può far ripensare a tutta la gestione della scuola, rendendola veramente accogliente e inclusiva per tutt*. Questo, però, non sembra essere la priorità del ministero e del governo, che invece di pensare modalità di ritorno a scuola in sicurezza, proporre linee guida adeguate ai vari cicli scolastici, stanziare ingenti finanziamenti per il comparto scuola e ripensare la valutazione, lasciano pesare come un macigno sugli/le insegnanti la responsabilità della buona riuscita della didattica a distanza, continuando a svendere ai privati il nostro sistema di istruzione.

Evidentemente insegnanti, genitori e alunni sono dei referenti meno pressanti di Confindustria.  

 

(*insegnante di scuola primaria e attivista Art Lab)