di Elisabetta Salvini
Impossibile tacere davanti all’ennesimo attacco che Salvini sferra contro le donne e contro un diritto tanto faticosamente conquistato come la legge 194 del 1978. Impossibile non accorgersi, inoltre, che dietro alle falsità pronunciate sul palco di Roma, c’è un disegno politico preciso teso a cancellare l’aborto e l’autodeterminazione femminile, viste come un pericolo inaccettabile per uno Stato “maschio”, razzista e sessista come quello che vorrebbe il Capitano.
Ma andiamo con ordine. Salvini sostiene che alcune infermiere gli abbiano “spifferato” in un orecchio che al Pronto Soccorso ci sono donne che vanno ad abortire sei, sette volte, intasando così il sistema pubblico e mostrandosi, ancora una volta, per quello che sono: “donne-bancomat”. Ossia pericolose sanguisughe e avide calcolatrici, pronte a prosciugare quei pochi fondi che ancora lo Stato riserva ad un sistema sanitario pubblico, sempre più impoverito.
In Italia, però, per interrompere la gravidanza non si va al Pronto Soccorso. Non ci si va perché non è questa la procedura e dunque nessuna donna ha abortito lì, nemmeno una volta, figuriamoci sei o sette!
Il testo della legge 194, nonostante le sue criticità, prevede un iter completamente diverso. Per prima cosa la donna deve effettuare una visita ginecologica che attesti lo stato di gravidanza, successivamente, ottenuto il certificato di gravidanza, deve sostenere un colloquio con un medico o un consultorio sulle ragioni che l’hanno portata alla scelta di interromperla.
Si tratta di un colloquio informale e privato che ha lo scopo di aiutare la donna a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. Dopo il colloquio è obbligatorio prendersi un periodo di sette giorni in cui riflettere e ponderare la scelta. Solo trascorso quella settimana viene rilasciato un documento che certifica l’avvenuto colloquio e si accede alla possibilità di procedere con l’aborto – chirurgico o farmacologico – in una struttura ospedaliera pubblica o convenzionata.
Ma ripeto, nulla di tutto questo avviene al Pronto Soccorso. Al Pronto Soccorso si possono chiedere informazioni in merito, ma anche questo, qualora dovesse avvenire, non è frutto di uno “stile di vita incivile”, ma bensì di un chiaro disegno politico – questo sì incivile – che ha completamente depotenziato i consultori familiari, che ha reso sempre più difficile l’accesso al servizio pubblico e che vuole chiudere gli spazi e i luoghi delle donne.
Incivile è invece avere una legge come la 194 che garantisce il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza e volerla delegittimare ogni qualvolta l’occasione lo renda possibile. Incivile è un Paese in cui il 70% dei ginecologi si dichiara obiettore di coscienza e dove vi sono Regioni in cui la percentuale raggiunge addirittura il 96%. Incivile è vedere fuori dai nostri ospedali – avviene regolarmente ogni sabato mattina anche a Parma – banchetti dei pro life che pontificano sui nostri corpi, che ci insegnano cosa sia giusto e cosa, invece, profondamente sbagliato e che – trincerandosi dietro ad un inappellabile diritto alla vita e facendo leva su inutili sensi di colpa e giudizi morali non richiesti – giudicano, disprezzano ed umiliano le vite e le scelte delle donne.
Incivile è disporre dei consultori – straordinari luoghi pubblici che hanno la funzione di rispondere ai bisogni sanitari, educativi e formativi delle donne e che sono nati per creare conoscenza e consapevolezza sul nostro corpo, sulla sessualità, sulla contraccezione, sulla procreazione – e depotenziarli, tagliando ad essi i fondi e le risorse necessarie. Incivile è non avere un progetto di educazione alla sessualità serio e continuativo nelle nostre scuole. Un percorso mirato alla conoscenza e volto ad informare i nostri ragazzi e le nostre ragazze sull’utilizzo consapevole della contraccezione. Incivile è un Paese che mette le donne in condizioni di dover scegliere se lavorare o se fare figli, perché ancora, per molte, la prima scelta esclude la seconda. Incivile è un Paese in cui una donna ancora si sente dire ad un colloquio di lavoro che non deve fare figli o, come è capitato a me, che se si desidera quel lavoro è bene: “darci un taglio con le gravidanze”.
Così come è incivile un Paese in cui ancora la gravidanza prima e la maternità poi sono considerati handicap che non permettono più alla donna di mantenere lo standard lavorativo che aveva prima. Incivile è un Paese in cui una donna perde il lavoro perché è incinta – e anche questo è capitato alla sottoscritta – tanto quanto è inammissibile che ci siano ancora donne che, di ritorno dalla maternità obbligatoria si vedano demansionate o mobbizzate.
Infine trovo decisamente incivile lo stile di vita di chi ambisce ai pieni poteri e con consapevolezza continua a riempiere i suoi elettori di bugie. E lo ha già fatto, ahimè, ben più di sette volte!