da Potere al Popolo Parma
Sentiamo la necessità di schierarci fermamente a difesa della rivoluzione portata avanti dalle donne e dagli uomini curdi in Rojava, una rivoluzione che vede nell’anticapitalismo, nell’antisessismo e nell’ecologismo tre suoi capisaldi fondamentali. La costruzione del confederalismo democratico è qualcosa che ci riguarda non solo perché nasce a partire dalla lotta contro il fondamentalismo religioso di Daesh, ma perché mette in campo nel concreto un’alternativa alla società classista, violenta e discriminatoria in cui viviamo.
L’esperienza rivoluzionaria in Rojava nasce a partire dal protagonismo delle donne, un protagonismo esercitato tanto nella lotta contro Daesh, quanto nella vita quotidiana di una comunità, e che ha portato a un cambiamento concreto nei rapporti di genere in Rojava. Le combattenti curde non sono solo le guerrigliere la cui immagine è stata troppe volte distorta dai media occidentali, che le hanno rappresentate riducendole alla sola lotta contro il fondamentalismo religioso dell’Isis quando questo rappresentava una minaccia reale per l’Occidente stesso. Queste donne hanno lottato e lottano da decenni per la liberazione del loro popolo e per la costruzione di quell’alternativa che sosteniamo. Ed è proprio contro l’esperimento concreto del confederalismo democratico che viene sferrato oggi l’attacco da parte della Turchia.
Non ci stupisce il cambio di atteggiamento da parte degli Stati Uniti: appoggiare i curdi quando questi erano funzionali a respingere un nemico comune non ha mai significato sostenerne il processo rivoluzionario. Difendere questo esperimento è compito oggi di tutte le compagne e i compagni che ne appoggiano le rivendicazioni e gli obiettivi. Smascherare l’ipocrisia dei governi occidentali (il nostro in primis) che hanno appoggiato strumentalmente la lotta di questo popolo per perseguire i propri obiettivi e che, tuttavia, non hanno mai messo in discussione il sostegno economico, politico e militare al dittatore Erdogan, è altrettanto importante. Siamo convinti che solo la mobilitazione dal basso nel nome dell’internazionalismo e della solidarietà tra popoli possa costringere chi governa ad assumere una posizione chiara sulla questione.