di Francesco Antuofermo
Si è svolta a Parma nei padiglioni espositivi di Baganzola, il salone dell’automazione industriale, SPS. La rassegna ha acceso i riflettori della stampa nazionale, per alcune sfide curiose tra uomo e macchina a sistema di intelligenza artificiale. In particolare a catalizzare l’attenzione è stato un giocatore professionista cinese di ping pong che sfidava in una battaglia all’ultimo rally (scambio) un robot. Il robot rispondeva colpo su colpo ai topspin (attacco dando alla pallina una rotazione in avanti) e alle battute ad effetto del professionista, come se fosse anche lui in grado di affrontare un torneo internazionale. Lo stesso si è avuto con un patito del calcio balilla che ha sfidato una macchina infernale in una sfida senza storia. Il costruttore, molto soddisfatto ha sostenuto che il robot era già molto bravo a centro campo e in attacco, dove si dimostrava quasi imbattibile; ma era ancora vulnerabile in difesa, il vero tallone di Achille. E quindi andava ancora perfezionato.
Non è la prima volta che uomo e macchina si sfidano. Kasparov ad esempio, celebrato campione mondiale di scacchi, ha più volte affrontato un computer super intelligente. A volte ha vinto e spesso ha perso, ma ormai si ritiene che la programmazione della memoria della macchina abbia superato ampiamente l’uomo nel gioco. Questo spinge gli amanti della tecnologia a lanciarsi in previsioni future sulla sostituzione completa dell’uomo con la macchina in gran parte delle attività che oggi costano fatica e denaro. La stampa pullula di articoli in cui ci avvertono che presto non troveremo più il cameriere a servirci al tavolo o al bar; la domestica scomparirà dalle case per far posto ad un aggeggio del tutto simile all’uomo che si muoverà però all’infinito, instancabile, senza chiedere o pretendere neppure un giorno di riposo o uno stipendio. Dalle case alle fabbriche il passo poi sarà breve. Questa nuova tecnologia entrerà nei posti di lavoro a ritmi sempre più elevati eliminando insieme alla fatica e al sudore, le rivendicazioni operaie semplicemente facendo a meno della manodopera. Gli esperti avvertono minacciosi i lavoratori: rassegnatevi, i posti di lavoro saranno ridotti al lumicino, dovrete riciclarvi, riformarvi, accettare lavori diversi, parziali, flessibili e soprattutto poco remunerati. E non fa nulla se crescerà la povertà e l’indigenza: sono solo un effetto collaterale, sacrificabile sull’altare del profitto. Abbassate quindi le pretese oggi perché domani starete peggio.
La cima dell’analisi si raggiunge poi con il sogno della fabbrica completamente automatizzata. Qui nel tempio della massima espressione dell’intelligenza artificiale, al capitalista sarà sufficiente premere un bottone per mettere in movimento la produzione e la vendita della merce e garantirsi con ciò il profitto e la ricchezza senza dover fare i conti con le maestranze, con le rivendicazioni salariali e con i capricci dei sindacati. Un sogno si intravede all’orizzonte: i capitalisti senza operai. Un sogno del quale si vedono già i primi segnali: nei magazzini di Amazon ad esempio, piccoli robot muovono i bancali delle merci sostituendosi di fatto a carrellisti, manovratori di pallets e magazzinieri. Pochi lavoratori rispetto al numero precedente controllano gli spostamenti e dispongono attraverso uno schermo la collocazione delle merci e il completamento dell’ordine del cliente. L’uomo non c’è più. Solo macchine. Solo intelligenza artificiale. Amen!
Questo tipo di analisi pecca di molte ingenuità ma soprattutto non tiene conto del sistema economico in cui queste trasformazioni vengono assimilate. Nel 1696 John Bellers diceva: «Se qualcuno avesse 100.000 acri e altrettante lire sterline di denaro e altrettanto bestiame, che cosa sarebbe l’uomo ricco senza il lavoratore se non egli stesso un lavoratore?».
Così nella fantasiosa rincorsa al progresso si dimentica che il capitalismo è una forma economica che vede da una parte un padrone e dall’altra un certo numero di operai ai suoi ordini. Tutti vivono in simbiosi: la fortuna del primo dipende dall’assoggettamento dei secondi. La ricchezza del proprietario dei mezzi di produzione cioè è funzione diretta della povertà della forza lavoro ai suoi comandi.
Destutt de Tracy, il filosofo della borghesia vissuto a cavallo tra il ‘700 e l’800, aveva in proposito le idee molto più chiare di molti commentatori di oggi: «Le nazioni povere sono quelle in cui il popolo sta bene, e le nazioni ricche sono quelle in cui esso è abitualmente povero». Dello stesso parere anche Sir F.M. Eden, che osservava nella sua Situazione dei poveri ovvero storia della classe operaia inglese: «La gente che ha un patrimonio indipendente deve questo patrimonio quasi esclusivamente al lavoro altrui, non alla propria capacità, che non è assolutamente migliore di quella degli altri; non è il possesso della terra e del denaro che distingue i ricchi dai poveri, ma il comando sul lavoro».
Il capitalista che quindi si alza al mattino e schiaccia il bottone che aziona l’intero meccanismo produttivo si ritrova solo, senza più il comando sul lavoro, senza operai: diviene lui stesso un lavoratore. Ma in tal caso nessuno avrà più bisogno di lui giacché tutti i lavoratori saranno diventati superflui e la società nel suo complesso potrà occuparsi della fatica di schiacciare il bottone in modo autonomo e magari redistribuire poi il ricavato su tutta la popolazione. Dal regno della barbarie saremmo entrati allora nel regno della libertà, dove tutti potranno dedicarsi al proprio arricchimento intellettuale, imparare a suonare il piano, perfezionare la chimica, la matematica e il greco antico. Si passeranno le giornate a fare sport e divertirsi senza l’assillo di dover procurarsi da vivere o di perdere il lavoro. Potremo, allora si, sfidarci a ping pong, o a calcio balilla. Ma solo tra uomini. Il gioco sarà sicuramente più imprevedibile e quindi più divertente. E allora questa volta saranno i robot ad essere superflui, ad essere scartati. Ed insieme a loro i padroni e quanti non riescono a fare a meno di succhiare la ricchezza conciando la pelle agli operai.