Quello che segue è il manifesto del neonato Collettivo Educatori e Operatori del Sociale di Parma e Provincia, che riceviamo e pubblichiamo
Chi siamo
Lavoriamo nelle scuole, negli asili, nei centri di accoglienza, nelle case di riposo, ci prendiamo cura di bambini, ragazzi, disabili, anziani, persone con fragilità. Siamo lavoratori “del sociale”, le nostre mansioni possono essere molto diverse, così come le nostre qualifiche e le nostre specializzazioni, ma ci accomuna l’essere parte del mondo del welfare. Siamo soci-lavoratori di cooperative che sovente di sociale hanno solo il nome, realtà di migliaia di dipendenti che gestiscono una pluralità di servizi alla persona. Il nostro contratto di categoria è uno dei peggiori, perché spesso lavoriamo in solitudine o in equipe con colleghi che hanno committenti e inquadramenti differenti, il che rende molto difficile mettersi insieme per chiedere di vedere rispettata la propria dignità. A completare il quadro abbiamo sindacati confederali storicamente molto vicini alle grandi centrali cooperative e le contrattazioni si svolgono opache, nell’indifferenza rassegnata dei lavoratori.
Lavorando a contatto con i settori più fragili della società se il nostro lavoro non viene riconosciuto, e viene sottopagato, i servizi per cui lavoriamo saranno sempre più scadenti. E questi servizi, sanità istruzione e assistenza sono quelli che possono fare la differenza nella qualità della vita di ognuno di noi. E la realtà è sotto gli occhi di chiunque li voglia aprire: il servizio pubblico da 20 anni a questa parte sta sistematicamente tagliando il welfare per ragioni ideologiche, economiche e politiche, cercando di trasformare diritti acquisiti in benefit aziendali, o servizi a pagamento, come una qualsiasi merce. Le fragilità sociali diventano così un’occasione di business e non più problemi della collettività. Le cooperative, da attuatori di politiche pubbliche, devono diventare imprese sociali che offrono i loro servizi nel mercato delle necessità. E noi che ci lavoriamo ci siamo trasformati in operai della cura.
Un collettivo di operai della cura a Parma
Ci costituiamo in collettivo per stimolare un dibattito interno al nostro mondo ma non solo, intendiamo rivolgerci alle persone di cui ci prendiamo cura ogni giorno, alle istituzioni che dovrebbero organizzare l’accesso ai servizi e che dovrebbero occuparsi di stanziare fondi adeguati. Vogliamo porre un problema che non è esclusivamente di riconoscimento della nostra categoria professionale da un punto di vista economico, ma far capire che la qualità del lavoro nei servizi sociali è la qualità dei servizi sociali.
Per farlo pensiamo sia importante prima di tutto riconoscerci tra noi, scambiare le nostre esperienze per andare all’origine del problema al di là delle singole contingenze aziendali o professionali. Dobbiamo ricomporre un’unità di intenti che non può conoscere barriere professionali o sindacali di sorta, crediamo che questa possa essere la nostra forza.
Il rinnovo del CCNL Cooperazione sociale
Il nostro contratto è in attesa di rinnovo da quasi 8 anni. Chiediamo innanzitutto ai nostri colleghi di occuparsi di questo problema, perché dovrebbe ormai essere chiaro che nessuno ci regalerà nulla. Il problema non è solo di trattativa con la controparte, le centrali cooperative, ma anche con le istituzioni pubbliche che costruiscono gare con ribassi economici ai limiti della decenza, facendo pagare il costo dei tagli ai lavoratori e agli utenti dei servizi.
Siamo stanche di vedere tagli di servizi presentati come progetti innovativi, inglesismi e discorsi commoventi sull’importanza del welfare e della comunità mentre chi lavora nei servizi osserva una realtà ben diversa, fatta di strutture costantemente in carenza di organico, abuso della banca ore (nel nostro settore qualcuno ha mai visto degli straordinari riconosciuti?) e tanta sofferenza sociale che non trova risposte e sfoga la sua rabbia.
Negli ultimi anni, assieme al costante peggioramento delle condizioni di lavoro (destino simile a tutte le altre categorie di lavoratori dipendenti e parasubordinati), ai tagli inesorabili e sistematici, anche l’aumento esponenziale delle criticità sociali, esplose dopo il 2008, una crisi che dura da più di un decennio, con risultati drammatici. Questo dramma lo viviamo quotidianamente, il nostro lavoro spesso cerca di mettere delle pezze a ferite sempre più profonde.
Non è solo il nostro contratto collettivo ma è il contratto sociale più ampio a dover essere messo in discussione. Sosteniamo quindi con forza la piattaforma per un rinnovo dignitoso del contratto collettivo nazionale redatta da lavoratori e lavoratrici di tante città insieme alla rete Renos (rete nazionale operatori sociali) con un coordinamento intersindacale.
Legge “ex-Iori”
E come ciliegina sulla torta, dall’anno scorso ci hanno fatto un altro bel regalo: dobbiamo pagare una tangente alle università per svolgere lo stesso lavoro che svolgiamo in molti casi da più di 15 anni. Con alcuni commi della legge di bilancio 2017 si è deciso per avere la qualifica di educatore professionale, qualifica fino ad oggi riconosciuta da una miriade di corsi regionali con le più disparate specializzazioni, occorre frequentare un corso universitario di 60 crediti formativi. Il costo è a completo carico del lavoratore e non per un titolo di studio ma per una qualifica. Il costo varia da università a università. Si va da quelle online convenzionate a circa 700€ ai 1500€ di un corso universitario normale (alcuni atenei offrono rette proporzionali all’ISEE, altri no). Ogni università offre una sua soluzione sia didattica che organizzativa, in una giungla dove è difficile destreggiarsi. Si tratta della legge “ex-Iori”, un pasticcio legislativo che ha il solo risultato di arricchire le università.
Sull’importanza della formazione non c’è discussione, su come questa sia gestita e su chi debbano ricadere i costi invece riteniamo di sì. È come se ci sanzionassero con una multa (e 1500 ore di corso in un anno, che per un lavoratore magari con famiglia non sono uno scherzo) per continuare a fare quello che, sottopagati, facciamo da anni. Tutto questo presentato come il modo di riconoscere la nostra professionalità, oltre al danno, la beffa. Chiediamo con fermezza la cancellazione di questi 4 commi che istituiscono questa tangente e chiediamo un piano di formazione e qualificazione professionale unico in tutta Italia, senza oneri per i lavoratori e che riconosca in modo adeguato la professionalità acquisita sul campo in decenni di lavoro (e di formazione).
Lotto marzo
Intendiamo aderire allo sciopero dell’8 marzo indetto da diverse sigle sindacali per iniziare il nostro risveglio. Siamo donne per la maggior parte a svolgere questo mestiere, e la sistematica distruzione del welfare pubblico verrà pagato dalle donne doppiamente, perché quando asili, ospedali, scuole, case di cura per anziani e disabili non ci sono, non funzionano, o costano troppo, il lavoro di cura ricade sulle donne, riproponendo modelli familiari e sociali inquietanti (pensiamo solo alla legge Pillon). Un’ottima ragione in più per un 8 marzo di risveglio e di lotta.