di Emilio Rossi
C’è molto razzismo in giro. Agli immigrati non si affittano case. C’è molto razzismo nelle generalizzazioni, diffusissime, che dipingono come temibili e invivibili i quartieri abitati da immigrati. C’è molto razzismo nelle frasi che, così spesso, a ciascuno di noi accade d’ascoltare che esprimono pregiudizio, false informazioni ed astio verso i migranti, declamate con sicurezza come se si trattasse di senso comune. Toni e azioni, e talvolta aggressioni, che prima non si vedevano. Nel paese il diritto e la cultura sembrano soccombere al formarsi di un clima che ricorda quello che precedette la promulgazione delle leggi razziali, ottanta anni fa.
Tragica, fuorviante, volta a ottenere il consenso elettorale, è l’operazione di chi indica nei più deboli – i migranti – i nemici, la causa dei mali e dell’insicurezza, le persone di cui aver paura. E chi alimenta la paura si fa paladino di indimostrate esigenze di sicurezza e dispone misure che consistono nell’uso della forza, nella maggiore carcerazione (i tempi della detenzione amministrativa nei Centri di permanenza per il rimpatrio sono raddoppiati rispetto alla legge Minniti-Orlando), nella promessa di rimpatri irrealistici. Misure che ai migranti tolgono i diritti, che tolgono i permessi di soggiorno a centinaia di migliaia di persone le quali permarranno effettivamente in Italia. Producendo in realtà un aumento esponenziale di insicurezza: per i migranti stessi e per tutti.
Questo c’è nel decreto Salvini. E in aggiunta c’è l’ostacolo posto all’integrazione. Il ministro sa bene che per l’integrazione lo Sprar (Sistema nazionale di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) è indispensabile, lo ha scritto nella Relazione sull’accoglienza, inviata al Parlamento in data 14 agosto 2018, a sua firma, e sceglie – con il decreto – di smantellare lo Sprar, cioè il sistema pubblico, impedendo che possano beneficiarne richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria concessa prima dello scorso 4 ottobre, svuotandolo di possibili beneficiari, condannando lo Sprar a una morte lenta. Al contempo si attribuisce l’accoglienza dei richiedenti asilo ai soli privati, che pure spesso hanno dato dimostrazione di gestioni inefficienti quando non scandalose. Molto peggiorata la condizione dei richiedenti asilo che non avranno tutela, né possibilità di formazione, né iscrizione anagrafica. Completamente agli antipodi rispetto alla proposta d’alcuni anni fa per lo ius soli, il decreto pone problemi anche all’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di immigrati regolarissimi e presenti da anni: la procedura richiederà un tempo doppio, di almeno quattro anni, e inoltre nel loro caso sarà una cittadinanza italiana limitata, che potrà essere revocata in caso di gravi reati, cosa che non accade per i cittadini autoctoni. Una cittadinanza depotenziata, in cui si legge una connotazione etnica. Una discriminazione, in ogni caso.
Fortunatamente abbiamo sempre la Costituzione italiana che, invece, ci dice di mettere al primo posto la dignità e l’integrità delle persone, indipendentemente dal colore della pelle. Diversi articoli – gli artt. 3, 10, 13, 117 – appaiono non rispettati. Prendiamo l’articolo 10: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica. La sua condizione giuridica è regolata in conformità alle leggi e ai trattati internazionali». Ne deriva che non si può vietare l’ingresso. Al contrario, il decreto Salvini ha abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che proprio dall’art. 10 traeva origine. Occorre ripristinare questo permesso di soggiorno, che si è dimostrato strumento indispensabile in molte situazioni concrete.
Stiamo parlando di diritti, di diritti fondamentali. Perciò al decreto Salvini bisogna resistere. Bisogna resistere al razzismo. In tanti, insieme. Sono convinto che la maggioranza degli italiani sia formata da persone che non rinunciano al senso di umanità, credono nel rispetto dei diritti, alla pace, alla democrazia. E dobbiamo riaffermare il valore della solidarietà, elemento indispensabile della coesione sociale e oggi, invece, troppo dimenticato.
Dovremo essere solidali con i migranti, essere insieme a loro, perché privare dei diritti fondamentali un numero spaventoso di persone significa una condanna alla vita nelle strade delle nostre città, la probabilità o anche l’inevitabilità d’essere prede del lavoro nero e della criminalità. Insomma, è un decreto che produce gravissima insicurezza e un altrettanto grave pericolo di tensione sociale, a dispetto del nome “Sicurezza e immigrazione” che porta. Come se non bastasse, una notizia di questi giorni, inerente la manovra economica del governo Lega-5 Stelle, aggiunge terribilità al decreto Salvini: nel testo della legge di Bilancio del governo Conte è sparito il «tavolo per il contrasto del caporalato», promesso dal ministro Di Maio in continuità con la legge n.199 sullo stesso tema del 2016 del governo Gentiloni. Una legge che è criticata dal ministro dell’Interno e dal ministro dell’Agricoltura, Centinaio, secondo i quali «complica la vita agli agricoltori».
Occorre difendere lo Sprar. Poiché ci troviamo a Parma, mi piace ricordare che proprio qui, nel 1993, in anticipo di otto anni rispetto all’istituzione del sistema statale d’accoglienza, realizzammo – una associazione di volontari antimilitaristi in collaborazione con il Comune – un’esperienza di accoglienza e sostegno ai disertori dalla guerra nella ex Jugoslavia che è considerata la prefigurazione, la prima origine dello Sprar, il sistema d’accoglienza e integrazione per richiedenti asilo e rifugiati dello Stato italiano, esistente dal 2001, che da subito – saggiamente – si volle articolato in progetti territoriali, ciascuno avente a titolare un comune e svolto nella collaborazione con un ente di tutela. Dalla legge istitutiva, lo Sprar è stato concepito come sistema unico, che si fa carico con continuità delle persone nelle fasi giuridiche che si succedono: da richiedente asilo a titolare d’un grado di protezione. E le accompagna all’autonomia. Il percorso viene ora impedito dal decreto Salvini che vieta ai richiedenti asilo l’ingresso nel sistema pubblico, oltreché ai titolari di protezione umanitaria. Lo Sprar inoltre è conforme a obblighi internazionali (ad esempio la Direttiva n. 33 del 2013 in materia di richiedenti asilo) che prevedono il rispetto di standard di accoglienza e possibilità di integrazione.
Questo porta alla conclusione che bisogna difendere lo Sprar perché è il sistema pubblico, rigorosamente rendicontato, sotto la responsabilità dei comuni; perché è sistema di comprovata efficacia, che funziona, che segue le persone con percorsi qualificati e consente loro l’integrazione sociale. Il decreto Salvini mira alla cancellazione progressiva di questo sistema e ad ostacolare la possibilità di integrazione. Quando invece è solo dall’integrazione che può derivare la sicurezza.